Perché non si localizza in italiano

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Gli approfondimenti possono nascere da una news inaspettata, da una bomba rilasciata da Sony o da Microsoft oppure, proprio come in questo caso, dal puro bighellonare su internet. Perdendo tempo su Twitter, qualche giorno fa mi sono imbattuto nel seguente “cinguettio” di Gordon van Dyke, ex executive producer di Paradox e EA Visceral e attualmente in capo a Raw Fury Games: “Dev Tip: Skip translating into Italian. It’s a waste. Use that budget for Russian or Portuguese-Brazilian instead”. La traduzione è molto semplice: non perdete il vostro tempo a tradurre in italiano, è uno spreco di soldi. Usate il budget per il russo o il portoghese. Questa frase mi ha subito portato con la testa al commento che puntualmente si ripresenta al di sotto di molte recensioni che appaiono su Spaziogames: “Ma il gioco è tradotto in italiano?”. Quando non si tratta di un tripla A, nella maggior parte dei casi la risposta è negativa e dunque al primo commento seguono una serie di risposte da parte di utenti indignati che si scagliano contro publisher e sviluppatori, rei di aver tralasciato noi italiani in favore magari di altri paesi come la Russia, la Germania o la Polonia. Prima di ergersi a paladini dell’italiano a tutti i costi, sarebbe forse il caso di chiedersi come mai molti team di sviluppo, in particolar modo quelli indipendenti, preferiscano spendere il loro risicato budget per localizzare i loro prodotti in lingue che non siano la nostra. Ho quindi girato la questione direttamente ad alcuni sviluppatori italiani alle prese con la creazione di giochi, per sentire il loro punto di vista e per avere qualche informazione in più riguardante il mondo della localizzazione.
Le dimensioni contano
Il punto di partenza non può che essere la dimensione del mercato videoludico nei vari paesi perché, vale sempre la pena ricordarlo, le software house non sono ong, i publisher non sono onlus ed è quindi ovvio che essi dirigano le loro attenzioni in primis verso quelle aree dove potenzialmente vi sono maggiori profitti. Una buona base di analisi possono essere essere le statistiche fornite da Steam che, seppur non esaustive, riescono a dare un’idea della diffusione del pc gaming negli stati. La mappa del traffico globale degli ultimi 7 giorni fornita dallo store digitale di Valve parla chiaro: almeno nel mondo pc, non teniamo testa non solo ai colossi come USA, Russia o Cina ma, se si parla di byte totale scaricati nell’ultima settimana, ci piazziamo anche alle spalle di Brasile, Germania, Francia, Spagna e Turchia. In questo lasso di tempo, nelle case italiane sono stati infatti scaricati circa 960 TB, contro i 21 PB americani, i 9.5 PB russi, gli 8 PB tedeschi e i 3,6 PB francesi. 
Insomma, se limitiamo l’analisi solo al pc gaming, non saremo di certo il fanalino di coda, ma d’altro canto non siamo nemmeno il paese con il mercato più florido e, stando al punto da cui siamo partiti, appare evidente il perché sviluppatori e publisher ci considerino un mercato di secondo livello e preferiscano non investire risorse per tradurre i loro giochi in italiano. Anche cambiando le fonti, il risultato appare sempre il medesimo. Rivolgiamo lo sguardo all’analisi effettuata lo scorso giugno da NewZoo – leader delle ricerca nel settore dei videogame – in merito alle revenues generate dai mercati nei vari paesi e le percentuali di popolazione che spende ore davanti a console, pc e con i giochi mobile. Il quadro che emerge quando si scorrono le infografiche fornite è abbastanza auto-esplicativo: i ricavi che generiamo sono inferiori a quelli dei principali stati europei, mentre, se ci confrontiamo con un mercato come quello russo, la disparità non è tanto un fattore economico, quanto proprio di teste: non è certo una scoperta, ma la Russia ha molti più abitanti di noi e quindi anche più videogiocatori. 
Chiunque sviluppi un gioco ha quindi bene a mente questi dati e conosce i mercati che, almeno sulla carta, possono essere più profittevoli. Tramite qualche mail, ho così scambiato quattro chiacchiere sull’argomento con Daniele Monaco, sviluppatore presso Picaresque Studio e in questo momento al lavoro su Nantucket, futuro strategico per pc. Senza troppi giri di parole, anche lui ha confermato quanto sopra detto. Ecco ad esempio uno dei motivi per cui Nantucket al lancio non avrà la lingua italiana: “È interessante più che altro il dato sulla lingua usata per il client Steam. Come puoi ben vedere la quantità di giocatori italiani è ridicola, circa un giocatore italiano per ogni 50 inglesi, ciò significa che per rientrare almeno nei costi dobbiamo vendere tanto. Localizzare (il gioco) post-rilascio ci dà la possibilità di fare i conti e fare delle stime quasi precise se una localizzazione ci conviene o meno”. Il calcolo delle copie vendute su ogni singolo stato non è ovviamente l’unico parametro in base al quale una software house decide o meno se investire risorse in un lavoro di traduzione. Soprattutto se consideriamo i team composti da pochi programmatori e game designer, è quasi del tutto ovvio che al loro interno non vi sia una divisione preposta alla localizzazione del gioco e quindi questo lavoro deve essere per forza di cose essere commissionato all’esterno, alzando così i costi di produzione. Non conoscendo nei dettagli questo settore, ancora una volta Daniele Monaco mi ha fornito alcuni interessanti dati:  “Prevediamo di inserire 1000 eventi casuali; una stima bruta mi dice che ogni evento ha circa 60 parole, la localizzazione costa dai 5 ai 20 centesimi per parola… Quindi ogni lingua costerebbe dai 3000 ai 12000 euro. Poi ci sono tooltip, menu e interfacce”. Capite facilmente come per un gioco che fa largo uso di testi, come strategici, gestionali o gdr, l’esborso per delegare il lavoro in outsourcing sia molto importante. 
Ciò che emerge dal mero ragionamento fatto attorno al rapporto tra costi e ricavi è piuttosto chiaro: localizzare il gioco in più lingue ha un costo che grava sulle spalle di sviluppatori indie, i quali per cercare di rientrare nei costi di produzione e per trarre guadagni dal proprio titolo, finiscono con il favorire i mercati dove è più lecito aspettarsi vengano piazzate più copie. La questione della localizzazione non si esaurisce però qui e, parlando con chi si occupa proprio di codici e programmazione, sono venute fuori altre tipologie di problematiche, questa volta inerenti proprio al lato tecnico. Sempre Daniele Monaco: “Molti testi (di Nantucket) sono composti e il traduttore potrebbe non avere la minima idea di cosa sta per tradurre. Alcune righe dei tooltip, ad esempio, sono completamente generate. Nel nostro spreadsheet abbiamo tipo la riga “{0} {1}” che genererebbe un testo come “Rotten Sloop”, ma che in italiano si dovrebbe tradurre come “Sloop Pessima” e quindi la localizzazione dovrebbe trasformare la riga in “{1} {0}” per rovesciare le 2 parole. In generale, ci sono dei pezzi di testo che l’eventuale traduttore non avrebbe la minima possibilità di capirne il contesto. Ci sarebbe del lavoro da fare per spiegare ogni riga cosa sarebbe, con esempio allegato, ma richiede ovviamente tempo”. E ancora: “La difficoltà è data da testi che dipendono da dati di gioco. Faccio un esempio: Se nel gioco c’è un testo tipo “Captain Daniele died of Dehydration on the 4th of February of 1829”, il testo nel nostro spreadsheet sarebbe “Captain {0} died of {1} on the {2}che, senza altre informazioni, il traduttore non riuscirebbe ad interpretare correttamente”. Insomma, nei giochi dove parti di testo variano in base ad eventi casuali, anche affidare la localizzazione ad un team esterno non è detto che porti a risultati soddisfacenti ed il processo di traduzione dovrebbe essere seguito parola per parola con non solo un innalzamento dei costi, ma anche con un accumulo di ritardi sulla tabella di marcia. Il discorso varia leggermente per quei giochi che fanno un uso meno massiccio di testi ma, anche in questo caso, non sono pochi gli ostacoli che si nascondono dietro il processo di localizzazione. In questo caso, le informazioni sono venute da Andrea Tabacco e Lara Gianotti, di AntabStudio attualmente impegnati con Gridd: Retroenhanced. Al di là del più complesso meccanismo riguardante il doppiaggio audio, quello che emerge anche solo per la parte riguardante i testi è molto interessante: “La localizzazione richiede un sistema ben integrato con il gioco per essere supportata. Quindi, se un gioco supporta solo l’inglese, allora la risposta è che per il team non valeva la pena lo sbattimento tecnico. Se invece sono presenti altre lingue ma l’italiano no, la cosa è un po’ diversa: tipicamente (la lingua italiana) la si ritiene quasi superflua, perché a farsi due conti, il pubblico di potenziali acquirenti italiani è talmente ridotto da essere il più delle volte ininfluente per il successo commerciale del titolo e quindi, se lo sforzo di localizzazione è > 0, si tende a lasciar perdere”. Prosegue: “Se il gioco supporta solo ed esclusivamente l’inglese, allora è anche probabile che le stringhe di testo siano state “hardcodateall’interno del codice del gioco (pratica molto sbrigativa). È un metodo velocissimo da realizzare ma per nulla flessibile in quanto rende circa impossibile supportare altre lingue senza modificare pesantemente il codice. (Al contrario) sviluppare un sistema generico per supportare più lingue da subito richiede un po’ più di lavoro ma poi rende molto più facile aggiungere una nuova lingua.” Anche in questo frangente, le motivazioni paiono essere sempre le stesse. 
Concludendo, questo articolo aveva lo scopo di fare un po’ più di chiarezza attorno a come funzionano i meccanismi di localizzazione. Avere la consapevolezza di quali sono le considerazioni che vengono fatte prima di procedere con la traduzione delle linee di testo può aiutare a comprendere meglio le azioni intraprese in materia da parte di una software house ed evitare così inutili crociate contro queste ultime. 

Chi ha scritto l’articolo è un videogiocatore nato e cresciuto a pane e strategici, che sin da piccolo si è dovuto abituare all’idea di convivere con lunghi testi in inglese, indispensabili per comprendere le meccaniche base di quasi tutti i giochi su cui stava mettendo mano. Il tema della localizzazione dei videogiochi l’ho quindi sempre sperimentato in prima persona, ma leggere tutorial e menù in inglese non mi ha mai causato molti problemi. D’altro canto, capisco che questo ostacolo possa venire mal digerito da chi mastica con più difficoltà lingue non sue e quindi ho cercato con questo speciale – avvalendomi del prezioso ausilio di chi lavora proprio nel settore dei videogame – di portare alla luce le motivazioni dietro alla poca considerazione che ha la nostra lingua. Quello che viene fuori è piuttosto chiaro: il mercato italiano genera incassi relativamente bassi ed è numericamente ristretto; i costi per tradurre interi testi sono una nota spesa che molti piccoli team non sono in grado di sostenere o meglio, il gioco non vale la candela; dal punto di vista della programmazione, più lingue si inseriscono e più sono le difficoltà tecniche che si incontrano, sia che si decida di affidare il compito ad un team esterno, sia che si lavori in casa.

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