Milano – Pochi giorni fa, siamo stati a New Game Designer 2016, l’appuntamento annuale con il mondo dei videogiochi organizzato dall’Università Statale di Milano, con il laboratorio PONG, e dal Politecnico di Milano, nel quale l’industry del nostro medium preferito incontra i nuovi talenti. La sede dell’Università è stata quindi la suggestiva cornice dell’evento che, tra titoli esordienti, grandissimi nomi e speed dating, tratta il videogioco con tutta la dignità che gli è dovuta.
Giochiamo tanto, ma produciamo poco
Possiamo riassumere così, il contesto italiano della produzione videoludica: il mercato italiano è tra i primi al mondo per il consumo di software d’intrattenimento, mentre—rispetto a vicini Paesi europei—siamo decisamente indietro nell’ambito della realizzazione made in Italy. Un problema del quale, nel corso dell’evento, abbiamo discusso anche con il professor Dario Maggiorini, docente del corso di Online Game Design della Statale, facente parte del corso di Laurea Magistrale in Informatica a indirizzo videogame: “i posti di lavoro ci sono sempre stati e ci sono da anni, il videogioco è un medium che ha un fatturato paragonabile e spesso superiore a quello del cinema. La domanda c’è sempre stata, non siamo riusciti fino a questi anni a creare un’offerta adeguata” ci ha spiegato. “Questo non vuol dire l’offerta sia solo questa [lo sbocco lavorativo offerto dal corso di laurea, ndr], ma si sta muovendo il mercato dal punto di vista della produzione dei cervelli, tanto è vero che anni fa aziende che facevano videogiochi, anche con nomi significativi, qui a Milano, andavano a cercare talenti all’estero. Con questo contributo, speriamo di avviare un circolo virtuoso per cui più persone vengono formate nel territorio, più queste aziende riescono ad espandere i loro team, migliori sono i prodotti. Questo aumenta la loro capacità economica, per cui potranno assumere più persone. Potrebbe diventare un circolo virtuoso capace di innescare anche nel nostro Paese una produzione di primo livello. Se ci pensiamo, qui in Italia abbiamo tutto: la cultura, la capacità imprenditoriale, un territorio pieno di giovani che hanno voglia di darsi da fare. Ci manca solo il colpo iniziale per far partire la ruota.“
Effettivamente, l’evento si è confermato come un appuntamento di grande interesse non solo per chi voleva mettere le mani, assolutamente gratis, sui prototipi di videogioco realizzati dagli allievi del professor Maggiorini e dagli studenti di Videogame Design and Programming del Politecnico di Milano, ma anche per chiunque fosse a caccia di un’occasione per entrare nell’industry: tra le aziende che offrivano speed dating ai giovani candidati non c’erano infatti solo Ubisoft Milano e Digital Tales, partner del corso di laurea della Statale, ma altri nomi altrettanto importanti, come Milestone e Forge Reply.
Concorda con il professor Maggiorini e la sua analisi anche il professor Davide Gadia: “l’idea e la speranza sono che l’Italia possa crescere, anche se i contesti economici e storici sono diversi. In alcuni Paesi anche vicino all’Italia l’industria dei videogiochi nasce prima, molti studios sono nati in Francia, o in Inghilterra, o altrove. In altri Paesi c’è una diversa incentivazione dal punto di vista fiscale per favorire la nascita di nuove realtà industriali, per favorirne l’espansione. In Italia non è ancora in atto, AESVI sta lavorando in tal senso. Noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di far vedere, con eventi pubblici per studenti ma anche esterni, che i videogiochi non sono solo giochi ma anche potenzialità di lavoro evidenti, reali, e che i giovani che vogliono intraprendere un certo percorso hanno ottime prospettive di trasformare quella che è una passione in una realtà, anche dal punto di vista economico.“
Gli studenti in gara con i loro giochi.
Insomma, se fino a qualche anno fa il nostro Belpaese era semplicemente dedito all’acquisto di videogiochi rigorosamente prodotti all’estero, nei tempi recenti anche i giovani italiani che mirano ad un lavoro nell’industria hanno visto aprirsi le porte di percorsi realizzati appositamente con questo scopo: “speriamo che questo corso possa sdoganare l’interesse dei giovani per l’entrata nell’industry, abbiamo studenti arrivati da tutta Italia. Tra l’altro, il fatto che sia una laurea in informatica con enfasi sui videogiochi ti offre una sicurezza anche se non dovessi riuscire ad entrare nell’industry, visto che il 100% degli informatici lavorano ad un anno dalla laurea. Per ora, quasi il 70% dei nostri si è collocato nell’industria” ci ha raccontato la professoressa Laura Ripamonti, docente del corso di Online Game Design.
Se, quindi, in Italia abbiamo diversi eventi dedicati al consumo del videogioco, dove l’utente può provare i prodotti in arrivo sul mercato, New Game Designer punta invece all’altro lato della medaglia, a far scoprire al pubblico e agli aspiranti addetti ai lavori tutto quello che c’è dietro. Ecco così che il videogioco smette di arrivare sullo scaffale come per magia e si concretizzano i passi e le fatiche che ogni singolo componente dei team di sviluppo deve affrontare: un quadro generale sicuramente importante per chi vuole tentare una carriera nell’industria senza sapere ancora bene come immaginarla.
Il videogioco come veicolo di emozioni
Diciamocelo chiaramente: anche se siamo nel 2016, non sono affatto rari i casi in cui ci si sente dire “sono solo videogiochi”, o altre frasi come “sei un po’ troppo vecchio per i videogiochi”. Tralasciamo, poi, le miriadi di evenienze nelle quali sembra addirittura che, in caso di un crimine, ad essere colpevole non sia l’instabilità del perpetratore ma, beh, sì, i videogiochi. All’interno di una visione ancora difficile da sradicare, non stupisce che fino ad oggi imporsi sia stato complesso per l’industria dei videogiochi made in Italy, che in qualche modo—a differenza di media più anziani, come letteratura e cinema—vengono spesso additati e colpevolizzati di essere uno svago per bambini. Una valutazione spiccia che dimentica le varie forme espressive del videogioco e le differenti fasce d’età a cui esso si rivolge, limitandosi ad associare l’interattività e quindi lo stimolo ludico, per qualche motivo, ai soli giovanissimi. Una visione alla quale anche New Game Designer ha voluto controbattere, come spiegato dal professor Maggiorini: “sono anni che mi batto per affermare il videogioco come un artefatto digitale con una sua dignità, e come tale credo sia inquadrabile come un veicolo di emozioni. Se vogliamo ridurci a veicoli per le emozioni spicce o orientate per un pubblico molto giovane, c’è da dire che esistono anche produzioni importanti e significative per veicolare forti emozioni, con un indirizzo molto specifico per un pubblico adulto. Pertanto, io non considero il videogioco in modo così riduttivo, come ‘solo un gioco’“. Dello stesso avviso anche il professor Gadia: “gli studi dimostrano che l’età media dei videogiocatori non è così bassa come si crede. Io ho 39 anni e sono nella media statistica. I videogiochi sono un medium rivolto a tutte le età, ovviamente va progettato per l’età che si vuole avere come target. Un videogioco per bambini o per adolescenti è diverso da quello per un adulto, ha diversi contenuti e diverse sensibilità. Ciascuna è una realtà seria, sia dal punto di vista dello sforzo per crearli, sia da quello tecnico che da quello artistico. Abbiamo visto alcuni esempi a Los Angeles, con alcuni livelli quasi cinematografici per la realizzazione della storia e della grafica, i budget sono elevatissimi. Il medium è serio, può coinvolgere tutta la famiglia, i singoli, o le coppie giovani. Ormai è paragonabile ad altri medium di divertimento. Oltretutto, c’è anche una parte di utilizzo dei videogiochi per addestramento o riabilitazione, dove l’utilizzo è al di fuori del puro entertainment. Anche questo è un aspetto che dimostra che il videogioco ha un fronte di applicazione molto più esteso di quanto si possa pensare.“
Proprio con l’intento di affermare il videogioco come un medium, New Game Designer non ha ospitato solo i progetti degli studenti e gli speed dating, ma anche una galleria d’arte con concept art creati dai giovani artisti, una sala dedicata al retrogaming e alla storia dei videogame e, nel pomeriggio, un convegno nel quale alcuni dei grandi nomi dell’industria hanno dibattuto su alcuni temi chiave del nostro medium preferito—passando dai cambiamenti nel marketing dopo l’avvento di Nintendo Wii al passato e al futuro del mondo PlayStation, senza dimenticare la storia del gaming online e l’evoluzione dello storytelling.
“Volevamo mettere insieme sia nuovi talenti che retrogaming perché, da ateneo, è importante coinvolgere anche l’aspetto culturale del fenomeno, è una cosa che secondo me può essere utile a sdoganare i videogiochi in Italia, ancora visti come qualcosa di non troppo positivo” ha spiegato la professoressa Ripamonti. “I videogiochi hanno tutta la dignità di qualsiasi altro medium anche artistico, visto che comunque la componente artistica è molto importante, ed infatti abbiamo qui anche una galleria d’arte. Nel nostro convegno abbiamo messo insieme un panel di relatori che riuscisse ad analizzare il fenomeno dell’evoluzione storica del videogioco da diversi punti di vista.“
L’incontro tra pilastri del passato e chi cerca un futuro
Possiamo riassumerla così: se, ad oggi, volete tentare di lavorare nel mondo dei videogiochi, sappiate che la realtà sta crescendo anche in Italia, con diversi corsi di studio a tema, di enti privati o pubblici, ed eventi dedicati come New Game Designer. Ha voluto sottolinearlo anche il professor Mario Gerla, docente dell’UCLA in visita all’evento, che in una chiacchierata con noi ha commentato la produzione dei videogiochi dei laureandi: “sono iniziative importantissime per la formazione degli studenti, che possono eseguire, implementare, mettere in atto skill imparate nei loro corsi. Sicuramente è utile per il mondo del lavoro, oltre che per soddisfazione personale. Sono sia produttori che customer, all’interno del ciclo del mondo dei videogiochi.“
Anche Paola Normando, di Ubisoft Milano, ha incoraggiato tutti coloro che vogliono entrare nell’industria a—è il caso di dirlo—mettersi in gioco: “per l’industria sono importanti occasioni come queste, sia per aziende interessate ai laureandi, sia per creare un network con chi è interessato al mondo del game development. A parte gli speed dating, in eventi come questi, con gli stand e il contest al piano di sopra, ci rendiamo conto che è provando e lavorando con le proprie mani che i ragazzi vedono nascere la scintilla, è da lì che si capisce cosa significa sviluppare un videogioco. Anche se piccolo, è sicuramente fondamentale.“
Se state cercando la vostra via per trovare un lavoro nel mondo videoludico, non possiamo che riferirvi anche i consigli di Milestone, che ha parlato apertamente dei futuri talenti nel corso di una chiacchierata che abbiamo fatto durante l’evento: “se si vuole creare un’industria italiana del videogioco, è dalla formazione che si deve partire. La cosa che serve di più è la passione, non è un lavoro che fai per caso—né il designer, né lavorare nell’industria, non capita così. Devi volerlo fortemente, devi concentrarti e avere l’obiettivo chiaro. Ora, col panorama indipendente, con gli engine accessibili come Unreal e Unity, c’è la possibilità per tutti, anche dalla propria stanzetta, di mettere le mani sulle cose e farsi un’esperienza con i propri piccoli progetti. Insomma, servono passione, sbatterci molto la testa e incrociare le dita, anche per un’occasione indipendente, visto che molti indie riescono a ritagliarsi il loro spazio. Chiaro che lavorare per un’azienda come Milestone apra un altro tipo di panorama.“
Il consiglio, insomma, sia dal corpo docente che dai grandi nomi dell’industria, è lo stesso: se avete passione e volete creare videogiochi, cominciate a farlo, anche con progetti piccoli non destinati al commercio. Servono dedizione, interesse e buone idee—e che l’occasione sia un progetto indipendente o un posto di lavoro presso una software house affermata, chissà che anche qualcuno dei nostri lettori non si ritrovi ben presto ad essere parte della crescente industry del videogioco italiana.
Siamo rimasti colpiti da New Game Designer per la volontà degli organizzatori di mostrare a laureandi, aspiranti sviluppatori e appassionati l’altro lato del videogioco—quello realizzativo, quello del sudore, delle idee da mettere insieme e dei dispettosi bug inattesi a cui porre rimedio. Il tutto, in un Paese dove fino a pochi anni fa ci limitavamo ad accogliere i software quasi esclusivamente dall’estero, vedendo solo il lato di intrattenimento e fruizione del videogioco. Finalmente, l’industria sta maturando anche dalle nostre parti e, considerando che parliamo di un mercato costantemente in cerca di talenti, un evento come questo che sottolinea l’apertura ai giovani italiani non può che essere gradito. Armatevi di passione e giocatevi la vostra chance, perché le vie per i cervelli creativi cominciano ad aprirsi anche nel Belpaese.