Una delle assunzioni più tipiche del mondo dei videogiochi è che gli appassionati di questo media siano anche appassionati di animazione giapponese o comunque del Giappone più in generale. Un assunto che col passare degli anni probabilmente sta perdendo un po’ d’effetto, in quanto trovava le sue radici ne monopolio delle software house nipponiche sul mercato di ormai parecchi anni fa. Ad ogni modo, il Giappone che abbiamo avuto modo di vedere dall’Italia è arrivato pressoché esclusivamente attraverso gli anime, il 90% dei quali si è sempre focalizzato sulla vita scolastica e dei risvolti amorosi di quest’ultima. Grazie alla globalizzazione imposta da Netflix, però, ora abbiamo la possibilità di accedere a nuovi contenuti e scoprire di più del paese del sol levante. Di seguito potrete trovare alcune delle serie TV prodotte o distribuite da Netflix, interamente girate in Giappone, con attori giapponesi e tematiche strettamente legate alla loro terra.
Hibana – Spark
La prima, e probabilmente quella più corposa, è Hibana, col nome internazionale di Spark. La storia segue il tentativo di Tokunaga e del suo partner di entrare nel mondo professionistico del Manzai, uno spettacolo di cabaret in cui due individui dall’indole opposta parlano tra loro davanti al pubblico. Una forma di spettacolo che per alcuni è arte, ha delle regole e viene insegnata. Un mondo difficile in cui strappare una risata diventa un’impresa, ore di dedizione tra preparazione dei testi e di prove. Qualcosa che due giovani squattrinati non possono sopportare a lungo nella micidiale Tokyo. Tra un festival e l’altro Tokunaga incontra Kamiya, un praticante del manzai molto più esperto di lui in grado di prendere la vita con molta filosofia e senza arrovellarsi con problemi che, come si vedrà poi col passare degli episodi, si faranno comunque sempre più incresciosi. Una storia di crescita di un personaggio controverso e sempre sul bilico della depressione; una Tokyo che solitamente siamo abituati a vedere come meta ultima dei giovani di tutto il Giappone, qui diventa l’isola dei balocchi da cui si è costretti a scappare per vivere una vita dignitosa. Nonostante sia una delle poche serie Tv disponibili in HDR Hibana non ne fa un grande sfoggio e anzi in più di qualche frangente mostra il fianco di una produzione non ad altissimo budget. Più in generale si possono trovare difetti nelle prove attoriali non esaltanti, in una regia poco conventa e in un montaggio non molto deciso, ma queste sono problematiche che accomunano bene o male tutte le produzioni giapponesi.
Midnight Diner: Tokyo Stories
Nei meandri delle viette di Shinjuku c’è un ristorante che sta aperto da mezzanotte fino alle sette del mattino. All’interno di questo angusto locale avente una manciata di coperti, c’è un cuoco dal volto inespressivo e tagliato da una vistosa cicatrice. Non c’è un menu e chi entra è libero di chiedere al cuoco una pietanza, a patto che lui abbia gli ingredienti per completarla. Da questi presupposti prende vita una storia episodica dove ogni situazione ha un inizio e una fine all’interno dello stesso episodio: la formula vuole che si inizi con un nuovo personaggio che accede al ristorante, chiedendo un piatto ben preciso, magari con delle variazioni rispetto a quanto si vede tradizionalmente, e da lì si parte verso la narrazione di una nuova storia. In generale Midnight Diner cerca di mostrare al mondo aspetti del Giappone e di Tokyo che solitamente non vengono discussi, come i lavori notturni o alcune particolari abitudini. Il tutto viene spesso declinato in siparietti comici, ma in molti casi si può assistere a storie drammatiche che vengono per lo meno in parte risolte dalle parole sagge e mai fuori luogo del cuoco. Anche qui si possono ritrovare le stesse problematiche riscontrate con Hibana, ma figlie di un budget evidentemente ancora più basso. Niente che vada a inficiare la guardabilità complessiva dell’opera, ma in più di qualche occasione potreste restare con un “se solo fosse stato girato meglio…”
Atelier
In questo caso, ancora più che in Hibana, si parla di serie di formazione, in cui si segue la vita di una giovane appena uscita dalle scuole che si appresta ad entrare nel mondo del lavoro. In quanto appassionata di tessuti, Mayuko Tokita si ritrova immediatamente a far parte di una sartoria di alto livello. In questo caso però si tratta di Emotion, una boutique che produce pezzi unici di lingerie nel pieno centro della virtuosa Ginza. La storia segue le vicissitudini di Mayuko e di come il suo continuo scontrarsi con la fondatrice e presidente della Emotion la cambi. Se il setting potrebbe sembrare banale, in breve la situazione andrà a complicarsi dal punto, mettendo costantemente in dubbio le scelte dei vari personaggi. Così facendo si hanno ribaltamenti di fronte quasi incessanti, che tengono alta l’attenzione dello spettatore ma in un secondo momento fanno perdere di determinazione ai personaggi, mentre si cerca di dipingerli certi delle proprio idee. Nonostante l’argomento potrebbe non essere vicino alle vostre corde, la continua glorificazione della lingerie e del suo processo produttivo fanno sì che tutti i passaggi risultino chiari e comprensibili anche ai meno avvezzi. Di nuovo anche qui siamo di fronte ad attori che faticherebbero a trovare spazio nel mercato internazionale, ma la scelta di usare per lo più una sola location aiuta ad aumentare quel senso di partecipazione all’interno dell’azienda.
Good Morning Call
Per concludere bisogna tornare per forza tra i banchi di scuola. Good Morning Call è uno shojo, classificazione ben conosciuta dagli amanti di manga e anime, sotto cui si racchiudono tutte le opere che hanno come target il pubblico delle ragazze adolescenti. Nonostante la struttura particolarmente classica che impiega un po’ ad ingranare, la storia cerca di differenziarsi mettendo i due protagonisti di fronte ad una frode immobiliare che li costringerà a vivere nello stesso appartamento. Nei 17 episodi da circa 50 minuti l’uno ritroverete le atmosfere classiche, amori non corrisposti, triangoli improbabili, parole non dette e quant’altro possiate aspettarvi da uno shojo. La lunghezza degli episodi in questo caso si presta meno con il formato dell’opera, facendo sì che ogni numero sembri contenere più capitoli dell’originale manga, andando così a caricare di avvenimenti ogni singola visione. Anche quest’opera soffre delle stesse problematiche delle altre sopracitate, confinando fino a riprese con droni non esattamente stabili. Nonostante il tutto sia comunque apprezzabile, resta il dubbio che una serie Tv sia il modo migliore per guardare questo genere di storie, che così appaiono ancora più incompatibili con la realtà.
Terrace House
Giusto una menzione, in quanto non si tratta di una serie tv, bensì di un reality show. In questo “Grande Fratello” giapponese si possono seguire le vicissitudini di alcuni ragazzi e ragazze che vivono i loro giorni nella stessa casa, più qualche commento esterno a fine episodio. Nel caso cerchiate qualcosa di più naturale Terrace House potrebbe fare al caso vostro, ma entrate sapendo a cosa andrete in contro.
Se siete alla ricerca di qualche serie Tv per conoscere meglio il Giappone, eccovi un bel riassunto di come Netflix stia lavorando sodo per portare alla ribalta internazionale opere che altrimenti sarebbero rimaste confinate nel sol levante. Il 17 marzo, inoltre, ci sarà da aggiungere alla lista anche Samura Gourmet, adattamento televisivo dell’omonimo manga inedito in Italia.
Restando nel catalogo, ma esulando dalle produzioni originali Netflix, ci sono da segnalare altre due serie shojo come “Il mio piccolo amore” e “Un bacio malizioso”, oltre ad interessanti documentari come “The birth of sakè” oppure “Jiro e l’arte del Sushi”.