Da svariati anni a questa parte, Nintendo ha sempre agito in veste di pseudo-outsider dell’industria. Per quanto concerne la produzione e i contenuti dei propri titoli, il colosso giapponese non ha mai seguito i trend del momento, scegliendo al contrario un approccio estremamente personale: ad un pubblico che chiede a gran voce grafiche esagerate Nintendo risponde con gameplay solidissimi, proponendo decine di ore di divertimento nonostante il mercato saturo di giochi effettivamente brevissimi. In determinati casi, il volontario distacco della società dalle principali rivali rischia però di alienare la grande N (quanto la propria fanbase) da innovazioni collaudate, nonché inevitabilmente onnipresenti in qualsivoglia visione del futuro si intenda ritener plausibile. Nel 2003 Microsoft lanciò Xbox Live, introducendo le console all’uso massiccio di internet così com’è inteso tuttora; 13 anni dopo, Nintendo risulta ancora priva di un sistema di account online unificato funzionale (con caratteristiche pari o analoghe a quelle proposte dalla concorrenza), per quanto – come feature – sia ormai praticamente data per scontata nell’imminente Switch. La compagnia di Super Mario è sempre stata piuttosto carente in fatto di funzionalità legate all’online, preferendo concentrarsi sulle esperienze in singolo (o tuttalpiù, sul multiplayer locale). Vista la svolta interconnessa e “social” dell’industria, era inevitabile che prima o poi anche la società giapponese si adeguasse ai tempi, volgendo il proprio sguardo verso internet; ciò che la compagnia ha visto, però, non sembra esserle affatto piaciuto. Fangames, fumetti non ufficiali, Let’s Play, tributi, Rule 34, tonnellate di fanart e via dicendo: il web trasuda di un amore per le IP Nintendo assai più vasto di quanto suggerito dai numeri totalizzati dalla compagnia. Nintendo ha quindi deciso di agire come qualunque amministratore di proprietà intellettuali giunto sul web una ventina d’anni fa: dichiarando guerra legale a tutto e tutti.
Copyright nell’era digitale
Nella seconda metà degli anni ’90 (e nei primi del 2000), il web si riempì di… beh, qualunque cosa; internet era praticamente una novità, e il periodo antecedente al web 2.0 vide il collezionarsi spontaneo di un’accozzaglia di dati e materiali riguardanti gli argomenti più disparati. Non era ancora chiaro cosa fosse consono (o concesso) pubblicare online, mentre a livello legale la rete si ritrovò in una sorta di anarchico limbo fumoso. Ci si ritrovò quindi con un perpetuo uso e abuso di copyright altrui, tale da attirare in breve tempo l’attenzione di innumerevoli società -o meglio, delle loro schiere di avvocati. Le conseguenze furono prevedibili: decine e decine di fansite cancellati, privando così il mondo intero di sterminati archivi di varia natura (ricolmi, tra le altre cose, di spropositate quantità di informazioni accumulate dalle community dietro agli show, cartoon, videogames ed hobby più vari).
Nel giro di qualche anno, tuttavia, ebbe modo di venire a galla una verità non certo scontata quanto oggi. A furia di far chiudere/cancellare siti e materiale non ufficiale, le società finivano infatti con l’inimicarsi i fans, andando a danneggiare ancor più i prodotti che il copyright avrebbe dovuto proteggere. Uno dopo l’altro, gli svariati IP holder smisero quindi di curarsi delle violazioni dei propri diritti, intervenendo solo in casi tali da portare effettivi danni economici; i videogiochi non hanno fatto eccezione, specie per quanto riguarda i colossi giapponesi. Sebbene nomi del calibro di Capcom, Square Enix e Sega abbiano passato un periodo di semi-ostilità nei confronti delle proprie community, ad oggi è raro che le compagnie più influenti si preoccupino di restringere le possibilità creative dei propri fans (escludendo lo sfruttamento delle proprie IP a fini di lucro, chiaramente); solo poche eccezioni (come Konami) attuano ancora simili politiche di vecchio stampo, e i risultati in fatto di popolarità con i videogiocatori sono quantomeno evidenti.
Questo perché, in fondo, i tempi sono cambiati: un decennio fa, Capcom avrebbe ucciso sul nascere un fan project come Street Fighter X Mega Man; quattro anni fa, invece, la compagnia si offrì di supportare il singolo sviluppatore singaporiano al lavoro sul progetto, permettendo al gioco di essere completato – e diffuso gratuitamente – entro il venticinquesimo anniversario dei due franchise. Allo stesso modo Sega ha recentemente riconquistato le simpatie della propria fanbase storica, annunciando Sonic Mania: il titolo, presentato con un look volutamente retrò, è realizzato da alcuni tra i modders e creatori di fangames più noti nella storica web-community del riccio blu.
Con la saga di Metroid, Nintendo avrebbe potuto fare altrettanto, valorizzando un ambizioso progetto in corso da oltre otto anni e seguito estremamente da vicino da una folta community; peccato abbia al contrario deciso di sfruttare l’occasione per prendere di mira la parte più creativa e produttiva della propria fanbase.
Prima di entrare nel merito della questione, vale comunque la pena di ricapitolare i punti più importanti della storia del tanto bistrattato (almeno ultimamente) franchise storico.
Il primo capitolo
L’originale Metroid uscì all’incirca in concomitanza con la release europea del NES, grazie alla collaborazione tra Nintendo ed Intelligent System (studio tuttora noto per le serie Fire Emblem, WarioWare e Paper Mario). A suo modo è stato rivoluzionario: atmosfere cupe e talvolta opprimenti (in netto contrasto con i toni dell’allora recentissimo Super Mario Bros) fecero da sfondo a un’avventura per la prima volta non lineare, focalizzata -anche- sulla componente action piuttosto che sul consueto platforming.
Il team di sviluppo straripava di vecchie glorie della grande N, tra cui Sakamoto (Kid Icarus, Warioland 4, Super Smas Bros Melee) alla direzione, Kano (Pokémon Stadium, Super Mario Land 2) ai concept e Tanaka (Donkey Kong 1-3, Duck Hunt, Mother, Dr Mario etc) alle musiche; insomma, le premesse per un piccolo capolavoro c’erano tutte. Pur soffrendo degli evidenti limiti imposti dal NES, il titolo riuscì a distinguersi dalle produzioni del tempo grazie a una lunga serie di mostruose innovazioni: fu, ad esempio, tra i primissimi giochi a introdurre i potenziamenti permanenti, essenziali per completare l’avventura (ai tempi i power-up erano infatti generalmente momentanei e opzionali). La struttura dell’intero gioco non seguiva poi uno schema fisso, variando -entro certi limiti- in base alle scelte del giocatore (cosa assai rara in un mercato saturo di videogames “a livelli”). Probabilmente, l’elemento più peculiare e ground-breaking della produzione riguarda tuttavia un aspetto inizialmente ignoto. A nascondersi sotto quell’armatura spaziale, i giocatori non hanno ritrovato il classico eroe anni ’80 dal mascellone e bicipiti invidiabili: come tutti ormai sanno, Samus è infatti una donna. Io stesso rimasi spiazzato nello scoprire di non aver interpretato per l’intera durata del gioco un generico protagonista qualunque (l’aspetto vero e proprio non viene rivelato prima del finale); il titolo combatte insomma lo stereotipo della ragazza vulnerabile da salvare, ponendoci fin da subito nei panni di una potente, abilissima e temibile guerriera, capace di farsi strada in totale solitudine negli abissi profondi di un pianeta ostile e quantomai ricolmo di pericoli. Nel 2015, Ubisoft si vantava di aver incluso in Assassin’s Creed “uno dei primi protagonisti femminili nella storia dei videogames“; Metroid risale al 1986.
Sequel e Super Sequel
Il successo di Metroid spinse Nintendo a puntare nuovamente sul franchise. Nel novembre del ’91 (un anno più tardi, se si considera Europa e Giappone) uscì dunque l’inevitabile Metroid II, questa volta per GameBoy. Il titolo, sviluppato in parte dal team originario, fallì nel segnare un punto di svolta quanto il predecessore: all’introdurre elementi innovativi, si preferì piuttosto rifinire e cementare i caratteri distintivi del primo capitolo. Torna dunque la tipica struttura non lineare, arricchita dalla costante necessità di eliminare i numerosi metroid sparsi per il gioco (in sostanza, semplici miniboss); il titolo presenta inoltre un’unica grossa mappa (piuttosto che molteplici aree staccate), introducendo nuove armi, abilità e meccaniche. Per quanto Metroid II appresenti, nel complesso, un degno successore del capitolo originale – nonché uno dei migliori titoli per il primo GameBoy -, svariati critici e fans lo considerano tuttora il capitolo più debole della serie: la stampa specializzata criticò infatti le ripetitive ambientazioni quanto la monotonia generale della produzione, elogiandone comunque gli innegabili pregi.
Le cose andarono parecchio diversamente con il terzo capitolo: considerato da molti come l’apice indiscusso della serie. Super Metroid si pose l’obiettivo di riportare in grande stile la serie su home console: uscito a quasi un decennio dal capitolo originale, è considerato ancor oggi tra i migliori videogiochi della storia, con una media di oltre 95% su Gameranking (che lo classifica anche come secondo miglior gioco rilasciato per SNES). Le prestazioni della console hanno permesso al team di sviluppo la possibilità di colmare alle mancanze del precedente capitolo, proponendo un level design curato in maniera maniacale, ambientazioni estremamente caratterizzate e una soundtrack tutto fuorché dimenticabile, oltre a un gameplay ancor oggi quasi inarrivabile.
Negli ultimi anni ho visto sempre più giovani compararlo a una sorta di precursore delle premesse di Dark Souls; un gioco dal gameplay impegnativo ma stimolante, in cui ci si ritrova sperduti in totale solitudine sulla superficie di un ampio mondo interconnesso e ricolmo di creature ostili (tra cui terribili boss), senza alcun tipo di guida o supporto di sorta. Super ha infatti puntato tutto sul senso di smarrimento e abbandono proposto dal desolante setting. Per quanto più delineata di prima, la trama resta ampiamente marginale, lasciando al giocatore la libertà di plasmare in autonomia la propria avventura.
Metroid nella sesta generazione di console
Allo SNES seguì il Nintendo 64, primo approccio davvero concreto al 3D nel mondo delle home console Nintendo. Sebbene svariati franchise (come Mario, Zelda e Star Fox) non soffrirono particolarmente per l’abbandono del 2D, ai tempi la grande N non fu in grado di proporre una convincente trasposizione in tre dimensioni per Metroid; la saga venne quindi messa in pausa a tempo indeterminato, per poi stupire tutti con un trionfante ritorno nel 2002. Ad otto anni dalla release del terzo capitolo, Nintendo pubblicò infatti Metroid Prime: sfruttando la potenza del GameCube fu possibile dare nuova linfa vitale al brand, riproponendolo in pompa magna in forma di action-adventure in prima persona. Il titolo, vero best-seller per la nuova console nipponica (quell’anno solo GTA Vice City riuscì a vendere di più), inaugurò quindi una nuova serie, generando di conseguenza una fanbase del tutto indipendente dalla saga originale. Nintendo non accantonò tuttavia il classico gameplay 2D, proponendo contemporaneamente Metroid 4.
Com’era lecito aspettarsi, anche Fusion – così venne chiamato il quarto capitolo – si rivelò un successo. Ricordato tra i migliori giochi per GameBoy Advance (vanta dopotutto di un rispettabilissimo 92/100 su Metacritic), il titolo decise di evolvere ulteriormente la formula che segnò il successo della saga, estremizzandone alcuni fattori e introducendo nuovi elementi chiave. Il gameplay resta all’incirca quello di Super Metroid, mentre la fisica risulta aggiornata; alla classica componente esplorativa viene inoltre affiancata una trama lineare, novità assoluta per la serie. Scegliendo di proseguire la storia, il giocatore si ritrova infatti di fronte a un impianto narrativo quasi onnipresente: numerosissimi dialoghi con l’intelligenza artificiale Adam si alternano a svariati monologhi interiori della protagonista, con qualche sporadica cutscene ad arricchire il tutto. La linearità della storia non priva comunque Fusion della libertà tipica di tutti i Metroid: per quanto le nuove aree vengano introdotte dall’IA, gran parte della mappa resta del tutto ignota. L’esplorazione è dunque permessa dal tipico backtracking della serie, reso persino godibile dal brillante level design che caratterizza il titolo. Come punta di diamante della produzione troviamo invece le bossfight (questa volta assai numerose ed estremamente caratterizzate), nonché le sezioni pseudo-horror: Samus si ritrova infatti a dover scappare e nascondersi da una terribile minaccia, ritrovandosi per la prima volta da cacciatore a preda indifesa (in determinate sezioni che ricordano a tratti le disperate fughe dal Nemesis di Resident Evil 3).
Da Zero Mission…
Oltre ad essere l’ultimo Metroid 2D, Zero Mission rappresenta di fatto l’ultimo gioco realizzato da Nintendo Research & Development 1, il più vecchio team di sviluppo interno della grande N. Pubblicato due anni dopo Fusion, il titolo seguì la logica dietro ai remake del calibro di Super Mario All-Stars e Pokèmon Rosso Fuoco/Verde Foglia: riproporre una nuova versione del titolo originale aggiornata agli standard del tempo, arricchendo il tutto con inediti contenuti aggiuntivi. In parole povere, Zero Mission è semplicemente il primo Metroid, ricostruito sul motore grafico di Fusion. Visivamente similissimi, i due giochi presentano inoltre la stessa fisica, nonché un gameplay sostanzialmente identico; oltre a quanto visto nel capitolo originale, Zero Mission ripropone però items tratti da Super in poi, nuovi boss e aree inedite (come Chozodia, un’intera sezione di mappa mai vista prima). Per ovviare alla brevità del titolo a cui si ispira, Zero Mission approfondisce inoltre la trama del capitolo originale, riscrivendone (tra le altre cose) il finale. Questa volta la protagonista non riuscirà a fuggire dal pianeta Zebes, subendo un attacco dai pirati spaziali: nell’ultima sezione del gioco (caratterizzata da un gameplay prettamente stealth) ci si ritrova quindi a sgattaiolare sull’astronave nemica nei panni di Samus Tuta Zero, popolare versione dell’eroina priva della caratteristica armatura.
Nonostante le ottime vendite e la quasi totale approvazione da parte della critica, Zero Mission non vide mai un sequel diretto. Nintendo decise invece di focalizzarsi sulla serie Prime (assai più commercializzabile, visto il 3D), producendo due seguiti di grande successo ed una collection su Wii; quando fu tempo di proporre un nuovo Metroid sull’imminente Nintendo DS, si decise quindi di accantonare la serie canonica. Prime Hunters, uscito nel 2006, seguì a tratti la falsariga di molti titoli Nintendo dell’epoca: puntare tutto su gimmick interessanti, basando interi giochi su determinati selling points vincenti. In questo caso, si trattò del connubio tra grafica 3D (inusuale per uno shooter su handheld) e comandi touch. Il nuovo team di sviluppo si concentrò però sul multiplayer (a dir poco devastato dagli hacker in seguito alla release), proponendo una campagna singleplayer piuttosto ripetitiva e sottotono, per quanto piacevole; i comandi risultarono però tutto fuorché comodi, ed in definitiva il gioco piacque più per le caratteristiche tecniche che per gli effettivi contenuti. Insomma, Prime Hunters fu più una tech demo per il DS che un vero e proprio Metroid, al pari del successivo spin-off Prime Pinball.
…a Metroid: Other M
L’ultimo Metroid “serio” arrivò infine nel 2010. Le premesse per un vero e proprio capolavoro c’erano tutte: Sakamoto (co-creatore della serie) al comando, il Team Ninja (autori di Ninja Gaiden) allo sviluppo, e un abbandono della prima persona in favore di un gameplay più simile a quelli classici. Qualcosa nello sviluppo di Metroid: Other M dev’essere però andato terribilmente storto. Inutile negarlo, il titolo riuscì a dividere la critica (con voti che spaziano dal 4 al 9/10) e tutto sommato piacque ai nuovi giocatori; il problema, fu probabilmente la reazione della fanbase storica. Il personaggio di Samus venne completamente stravolto e snaturato, passando da guerriera inarrestabile a ragazzina piagnucolosa e vulnerabile; il lore subì cambiamenti ingiustificati, al punto che, considerando il gioco come canonico, si andrebbe a de-canonizzare praticamente qualunque altro titolo della saga. Gameplay e level design scontentarono tutti: volutamente semplici e casualizzati, non furono minimamente in grado di rendere giustizia allo spessore di quelli assaporati nella serie Prime, perdendo anche la difficoltà e i tecnicismi dei capitoli originali. Insomma, per veterani del 2D quanto per la generazione di Prime, Other M ebbe tristemente modo di rivelarsi una cocente delusione. Dopo il flop del titolo (sì, anche commerciale), la grande N interpretò la reazione di critica e pubblico come un messaggio molto chiaro: l’interesse per Metroid era morto, tanto valeva accantonarlo nel sempre più ampio mucchio di IP inutilizzate dalla compagnia giapponese (per quanto amate da una nicchia più o meno numerosa).
In retrospettiva, uno degli errori di Nintendo è stato probabilmente quello di abbandonare definitivamente il gameplay classico in favore del 3D. Sebbene franchise come Mario e Zelda vantino di superlative iterazioni in tre dimensioni, si tratta di serie divenute famose in primo luogo proprio grazie ai titoli 2D: se funzionavano all’epoca, ci sono ampie probabilità che vantino di una formula collaudata, in grado di offrire qualcosa anche all’utenza di oggi. Non fraintendete: Nintendo ne è perfettamente consapevole. In altro caso, non avremmo mai potuto assaporare titoli del calibro di New Super Mario Bros e Zelda: A Link Between Worlds, che ripropongono i vecchi gameplay riadattati in chiave moderna. Sfortunatamente, svariati fattori (dalla visione leggermente distorta che i developer orientali sembrano avere rispetto al nostro mercato, all’insuccesso storico di Samus in Giappone) sembrano aver spinto la società a non investire in un titolo orientato al passato; un sequel diretto di Fusion, denominato provvisoriamente Metroid Dread ed in sviluppo per DS, venne infatti cancellato senza apparenti spiegazioni. Un secondo prototipo, questa volta per 3DS, subì dopo qualche anno dopo il medesimo fato: Kensuke Tanabe (sceneggiatore di Zelda: A Link to the Past) rimase particolarmente colpito dalla demo realizzata da Next Level Games (creatori di Punch-Out!! per Wii), decidendo così di proporre allo studio un progetto più ambizioso. Il team realizzò dunque Luigi’s Manson: Dark Room, lasciando ancora una volta i fans di Metroid a bocca asciutta.
Metroid non ha certo bisogno di presentazioni: sebbene il titolo originale risalga a una trentina di anni fa, la saga resta tuttora tra i franchise più noti e iconici di Nintendo. Dopo un primo capitolo rivoluzionario sotto molteplici aspetti, il franchise non ha potuto che evolversi in svariate forme, anche profondamente differenti, tra capitoli canonici, spin-off, serie secondarie ed esperimenti di varia natura. Oltre alla serie 2D, anche la saga di Prime riscosse grande successo, generando una nuova fanbase; entrambe vennero però deluse dal “recente” Other M, titolo apprezzato dalla critica (e dai nuovi giocatori) ma troppo semplificato per gran parte dei fans storici. Sono ormai passati sei anni dall’ultimo titolo principale della saga, e circa tredici dall’ultimo capitolo 2D. Che Nintendo stia segretamente considerando l’idea di realizzare un nuovo capitolo per Switch, come recentemente rumoreggiato?