Quello che maggiormente ricorderemo del 2016 saranno la dose massiccia di inutili polemiche e isterismi 2.0 – ringraziamo Hello Games e Sean Murray per avere involontariamente ampliato il nostro vocabolario delle minacce – e le nuove periferiche hardware per la realtà virtuale dalla finora dubbia utilità, ma qua almeno Luckey sarà felice del suo fondamentale endorsement per Trump. Buffonate a parte, gli ultimi dodici mesi non sono affatto da buttare via perché, a dispetto della solita tiritera del giocatore moderno annoiato che “Non ci sono mai giochi”, di titoli interessanti ne sono usciti davvero parecchi, per tutti i palati e per tutte le console e scommettiamo che con le vacanze alle porte, avete qualche tripla A da spuntare dalla lista dei desideri o qualche cosa da recuperare nel triste cimitero del backlog. In mezzo al bombardamento di news, di approfondimenti sulla conta dei peli di Trico o di discussioni attorno al confronto fra i frame di giochi usciti venti anni fa e i loro rifacimenti moderni, ebbene, ecco che vi veniamo incontro dandovi ancora più materiale su cui mettere le mani impastate di mascarpone, una serie di giochi, magari meno conosciuti e passati più in sordina, ma che sicuramente andrebbero recuperati e che hanno reso ancora più ricco quest’ultimo anno.
SHENZHEN I/O
Diamo il là ai consigli con quello che è forse il prodotto più particolare dell’elenco, ossia SHENZHEN I/O, gioco in esclusiva PC e prodotto da Zachtronics. Definirlo gioco è poi un azzardo, perché l’idea alla base del tutto è una corso virtuale di ingegneria, dove l’utente impara lui stesso a creare circuiti per progetti sempre più complessi, con sotto mano un vero e proprio manuale in PDF da stampare. Nel caso vogliate fare una pausa, in SHENZHEN I/O è incluso anche un solitario, il passatempo preferito dei frustrati ingegneri.
GoNNER
Rimaniamo sempre in ambito PC e con GoNNER diamo una piccola perla da giocare a tutti gli appassionati di roguelike, che hanno passato ore e ore a morire con i vari Downwell o The Bindig of Isaac e che vogliono immergersi in uno dei giochi graficamente più ispirati del 2016, anche in tutta la sua semplicità, con un mondo disegnato a mano che prende forma attorno al protagonista. La colonna sonora, prodotta e registrata da Joar “Regular Graphics” Renolen, sarebbe poi da sola una valida giustificazione per investire i vostri dieci euro su GoNNER.
C’è un cabinato con dentro uno stilizzato arcade, con protagonista un pony. Poi ci siete voi, che giocate con quel cabinato. E infine c’è Satana in persona, che gioca con voi che giocate con il cabinato, un cabinato maledetto. Tutto chiaro no? Lo stranissimo “experimental suspence puzzler”, come lo ha definito lo stesso Daniel Mullins è un’esperienza di gioco unica, dove voi, voi per davvero, dovete combattere contro il demonio a suon di codici, linee da decifrare e un inquietante pony stilizzato da mandare avanti nei livelli fatti di ostacoli e glitch. Sì, Pony Island è un gioco abbastanza bizzarro.
Torniamo almeno con un piede dentro il mainstream, perché le meritate vendite di Darkest Dungeon hanno portato il complicato RPG prodotto e sviluppato da Red Hook Games anche su PlayStation 4 e PS Vita. Il gioco è consigliatissimo per tutti quelli che sono in cerca di un’oscura avventura che coniughi le meccaniche tipiche dei roguelike con il gameplay degli RPG a turni e che soprattutto non si sentono in colpa di macchiare le sante festività a suon di improperi e parolacce, perché nel mondo di Darkest Dungeon gli eroi muoiono uno dietro all’altro.
Owlboy
Il 2016 passerà alla storia come l’anno in cui hanno visto la luce titoli con sviluppi più o meno decennali. Accanto ai più noti The Last Guardian e Final Fantasy XV, crediamo che anche Owlboy meriti un po’ di attenzioni, perché il lungo sviluppo, a differenza di molti altri casi, non ha affatto compromesso la qualità del titolo, che anzi è allo stesso tempo uno tra gli esponenti più riusciti della pixel art e un manifesto del level design. I ragazzi di D-Pad Studio ce l’hanno fatto sudare a lungo, ma l’attesa è stata di certo ripagata con sezioni platform in 2D e puzzle perfettamente integrati l’uno con l’altro.
Un po’ per amore di patria, un po’ per il giusto sostegno che dovrebbero ricevere i piccoli sviluppatori nostrani e un po’ perché il gioco è davvero evocativo, perfetto per le sessioni in co-op e con un livello di difficoltà degli enigmi tale da mettere davvero in moto gli ingranaggi del cervello. Il concept ideato dai ragazzi di Yonder è tanto semplice quanto funzionale: in Red Rope: Don’t Fall Behind tutto gira attorno a un uomo e una donna legati da un filo rosso, l’unica chiave per portare a termine i vari labirinti che si parano sul loro percorso, un legame che se spezzato porta al game over.
Forse il gioco non dovrebbe stare in questa lista, in fin dei conti l’avventura grafica di Double Fine è uno dei pilastri della storia dei videogiochi, ma lo mettiamo giusto come promemoria per i giocatori più giovani, che non hanno potuto vivere il periodo d’oro di questo genere e che con questa nuova edizione rimasterizzata possono colmare una grave lacuna.
Che sia nella sua versione per PlayStation VR o che sia nella sua veste più semplice per PC, Thumper rimane comunque uno degli imperdibili dell’anno che va terminando, un gioco capace di trasmettere una fisicità tremenda, reinventando il genere dei rhythm game grazie ad uno scarabeo spaziale lanciato a velocità folle su dei binari senza fine, mentre tutto attorno, in un gioco psichedelico e terrificante, le forme sono in continuo movimento, in una liquidità che diventa dura geometria, mentre una testa demoniaca infuocata si cela all’orizzonte. Visivamente, Thumper è una copertina di un cd dei Tool che prende vita.
Il Santissimo Natale si sposa bene con la famiglia e le cene, ma anche con la Necro, la droga pesante che inonda come un fiume le violenti strade di Mother Russia Bleeds, un concentrato di sangue, botte e degrado in pixel art. Il picchiaduro a scorrimento è un chiaro tributo di Le Cartel Studio ai tempi che furono e ai nostri passatempi in salagiochi, anche se sotto effetto di steroidi e carico come non mai di una rabbia e di una violenza distopica tutta moderna.
Cursed Castilla (Maldita Castilla EX) – Recensione
Gli elogi ai tempi che furono proseguono con Cursed Castilla (Maldita Castilla EX), un gioco che se venisse preso e trasportato a cavallo fra gli anni ‘80 e ‘90 non risulterebbe affatto fuori posto. La battaglia dello sviluppatore indipendente spagnolo Locomalito è quella di preservare le atmosfere e il feeling dei vecchi arcade ed in effetti, Cursed Castilla è un moderno Ghosts’n Goblins, ambientato in una landa iberica in un medioevo fantasy, invasa da mostri di ogni genere.
Hyper Light Drifter è un gioco tanto difficile quanto appagante, esteticamente affascinante e con una storia allo stesso tempo ermetica e coinvolgente. Se non avete paura di morire infinite volte e volete testare le vostre abilità con uno dei combat system più raffinati del panorama videoludico, l’action sviluppato da Heart Machine è uno dei titoli di spicco fra quelli da recuperare dell’ultimo anno. Come se non bastasse, la colonna sonora è stata fatta da Disasterpeace: cosa volete di più?
Rimaniamo in tema action, con quello che a tutti gli effetti è una mal celata imitazione dei Souls in 2D. Le atmosfere cupe dell’opera di Ska Studios richiamano da vicino quelle già viste nei titoli di Miyazaki, così come molte delle meccaniche sanno di già visto, con il sale che prende il posto delle anime. Ma in fin dei conti, se le creazioni di From Software funzionano e piacciono al pubblico, perché non dovrebbe fare altrettanto un suo riuscito clone in 2D?
Si vi avessero congelato nel 1997 e tirato fuori solo ora, la visione di un gioco come I Am Setsuna vi farebbe pensare di aver fatto solo un breve pisolino. Il JRPG di Tokyo RPG Factory, nonostante sia uscito solo pochi mesi fa, può essere considerato un classico del suo genere, non tanto per la sua comunque buona qualità, quanto piuttosto per il forte richiamo a tutti quei titoli della Squaresoft dei tempi che furono, con un combat system basato sulle meccaniche di Chrono Trigger e una storia che ruota attorno al sacrificio della giovane Setsuna.
Lasciamoci alle spalle le atmosfere sognanti nipponiche e diamo spazio all’azione frenetica di Enter the Gungeon, un titolo basato sulle meccaniche dei rogue-like, sulle quale si innesta il gameplay tipico dei twin stick shooter. La formula è tanto semplice quanto funzionale: si sceglie uno fra i quattro personaggi e si fanno fuori a suon di piombo tutti i nemici generati casualmente nei livelli, fino a che non si mettono le mani su un’arma in grado di distruggere il passato.
Se lo avete già accantonato in cantina, è arrivato il momento di rimettere al suo posto il vostro Kinect perché, va bene che siamo nel 2016, ma proprio questo è l’anno in cui vale la pena rispolverare la povera periferica grazie a Fru, forse uno fra i pochi titoli a sfruttare ingegnosamente le potenzialità del Kinect. Magari giocateci quando i vostri parenti o la ragazza non vi vedono, perché per superare gli enigmi si sottopone il proprio corpo a pose ben poco dignitose.
SUPERHOT – SUPERHOT – SUPERHOT… SUPERHOT! Da quando abbiamo messo le mani sullo shooter (si può definire così?) sviluppato da Superhot Team, queste parole ci rimbombano nella testa. SUPERHOT ha davvero segnato il 2016, molto di più delle megaproduzioni dai budget stratosferici, e lo ha fatto con un gameplay semplice e geniale, difficile da inquadrare negli schemi classici, dove le sparatorie sono prima di tutto dei puzzle da risolvere. Accanto a questo, trovano spazio una narrativa per nulla banale ed uno stile artistico minimal, basato su una palette cromatica ristretta me che colpisce decisamente nel segno.
Un po’ ci sentiamo in colpa per aver pubblicato questo articolo, sappiamo che il backlog è uno dei principali mali di questo XXI secolo, ma crediamo sia valsa la pena fare una rapida carrellata di tutti quei titoli che, usciti negli ultimi dodici mesi, valga la pena giocare assieme – se non di più – ai vari Uncharted 4, Gears of War 4 o, ancora, Battlefield 1. Forse siamo sfociati nel “radical chic”, annoverando per lo più titoli indie o di nicchia ma, proprio alla luce di quanto testato con mano in questo 2016, risulta ancora più valida la legge non scritta, la quale afferma che sono proprio queste produzioni di secondo piano – almeno economicamente parlando – ad apportare più innovazioni e voglia di sperimentare.