Pokémon GO, approdato sui nostri smartphone da qualche settimana, ha rappresentato un fenomeno di massa inatteso. Inattese, però, sono state anche altre situazioni venutesi a creare all’interno di questo vero e proprio ecosistema, che ha un po’ stravolto le abitudini di videogiocatori e non. Un aspetto, più degli altri, ha da subito generato curiosità tra gli utenti: stiamo ovviamente parlando del sistema delle impronte (e del caso) Pokévision, vero e proprio radar infallibile che ha sorpreso Niantic e Nintendo.
C’erano una volta tre zampette, poi non ne rimase nessuna
Inizialmente, in Pokémon GO, era presente un sistema per facilitare il ritrovamento dei Pokémon nelle vicinanze. Avete notato il tempo verbale al passato? Ecco, su questo ci arriveremo tra un attimo. Questo sistema consisteva nell’identificare ogni Pokémon con un numero di impronte, da nessuna a un massimo di tre man mano che ne aumentava la distanza, dando modo ai giocatori-allenatori di avere una minima idea della direzione, e dunque dell’ubicazione, del Pokémon adocchiato.
Questo sistema è stato quasi subito disattivato, affibbiando a tutti i mostriciattoli nelle vicinanze tre impronte fisse a prescindere dalla loro posizione e distanza, poiché il calcolo simultaneo gravava enormemente sui server di gioco, già abbastanza inadeguati a gestire il normale traffico di utenza che si aggirava in media attorno ai 40 milioni.
Agli utenti tutto questo non piacque affatto, soprattutto perché eliminava uno degli elementi migliori che il gioco aveva da offrire, che trasformava la caccia in una vera e propria ricerca: avere la soddisfazione di veder quelle tre orme diminuire finché appariva proprio quel Pokémon di fianco al proprio avatar virtuale.In un attimo non ci fu più.
Il malcontento comunque non fu eccessivo e venne presto archiviato. In primis perché, finalmente, i server mostravano una certa stabilità e questo dava modo agli utenti soprattutto di giocare, più o meno bene, in qualsiasi fascia oraria e tornare a cacciare senza grossi grattacapi. La vera svolta, che cambiò notevolmente le carte in tavola per tutti fu Pokévision. Per chi non sapesse cosa fosse, Pokévision è un sito web esterno all’app e non gestito né da Niantic né da Nintendo.
Senza aver nemmeno bisogno di loggare, ma semplicemente con il gps o delle coordinate, era possibile fare una scansione precisa di un’area per scovare l’esatta posizione di tutti i Pokémon presenti, nonché il timer del “despawn”, ossia il tempo limite dopo il quale questi scompaiono.
Anche per Pokévision, visto l’enorme peso del traffico e delle richieste al server, non sono mancati disservizi, durati anche diverse ore. Tutta l’utenza si è tuttavia sempre mantenuta su toni pacati e ha avuto un atteggiamento molto comprensivo, più che soddisfatta dal servizio proposto in modo gratuito e non invasivo. Anche chi vi scrive ha utilizzato con gioia Pokévision e, grazie ad esso, è riuscito a trovare delle vere chicche rare, come gli stadi finali dei tre starter, Snorlax e il possente e pacioccoso Dragonite.
Tenendo conto che ogni spawn sulla mappa ha una durata fissa di 15 minuti, e che l’unica informazione fornita dall’app era che “X è chissà dove in un raggio massimo di 200 metri da te”, non c’erano i presupposti tecnici per riuscire a coprire tutta quell’area in così poco tempo senza nessun ulteriore indizio, rischiando di farsi scappare di tutto sotto il naso senza poter farci assolutamente nulla. Pokévision in questo è stato come un amico fidato che ci dava delle dritte, puntuali e precise, aiutando forse fin troppo tutti i giocatori a completare il proprio Pokédex e rinforzare la propria squadra con potentissimi alleati.
Quanto può essere difficile controbattere ad una dura presa di posizione
Riassumendo la situazione fino a quel momento: Pokémon GO aveva dei server un po’ zoppicanti, non tutte le funzionalità erano operative, eppure la gente continuava a giocare e divertirsi, forse anche più di prima, anche grazie a servizi di terze parti come Pokévision.
Tutto bello, no? Se la vogliamo guardare dalla prospettiva di Niantic, probabilmente no. Se vogliamo provare a ipotizzare quali possano essere le conseguenze che più potrebbero creare delle situazioni spinose per gli sviluppatori, due sono quelle che ci sembrano le più probabili.
La prima è una possibile diminuzione delle microtransazioni effettuate dall’utenza. Se prima poteva essere un po’ noioso girare a vuoto e qualcuno poteva pensare bene di rimediare acquistando un aroma, con Pokévision era certamente chiara non solo l’ubicazione esatta di questo o quello, ma anche individuare la zona più densa e ricca di spawn in cui trovare di tutto, gratuitamente e con più efficienza di quei 30 minuti che l’aroma concede.
La seconda, forse un po’ più polemica, è correlata al fatto che una buona fetta di giocatori, una volta trovati i propri mostri preferiti o avviandosi verso il completamento del Pokédex, possa fisiologicamente stufarsi di andare in giro per ore e ore al giorno, magari sotto al cocente sole estivo, e abbia quindi deciso di parcheggiare o addirittura abbandonare il gioco.
Qualsiasi siano state le motivazioni, è certo però che Pokévision abbia ricevuto una richiesta, congiuntamente da Niantic e Nintendo, di sospensione del servizio. In gergo legale questa operazione viene chiamata “cease and desist”, ossia una lettera di diffida. In sostanza è come un avvertimento prima di procedere per vie legali, costose e potenzialmente pericolose per una realtà così piccola se rapportata a uno dei colossi dell’industria videoludica, protagonista sulla scena da oltre trent’anni.
In data 31 Luglio, Pokévision annuncia ufficialmente tramite Twitter la collaborazione con gli sviluppatori, nonché l’impegno a rispettare la volontà di Niantic e Nintendo sospendendo di fatto il servizio, augurandosi che la situazione possa cambiare nei giorni a venire.
Il 2 Agosto, invece, Yang Liu, proprietario del sito Pokévision, ha diffuso in rete una lettera aperta proprio verso questi ultimi, spiegando le sue ragioni, secondo le quali il suo sito non voleva in alcun modo interferire lesivamente con Pokémon GO, quanto in realtà aiutare con un servizio ausiliario “temporaneo”, almeno finché non fosse stato ripristinato il tracker delle impronte, nel frattempo totalmente rimosso dal codice.
Dipinto così lo scenario, ci sembra fin troppo nobile lo scopo e, quindi, difficilmente credibile che l’unica funzione fosse aiutare in via temporanea i videogiocatori per sopperire a un disservizio dei server del gioco, senza peraltro ricevere nulla in cambio. Tuttavia sarebbe anche ipocrita non ammettere che ciò che proponeva Liu era estremamente valido e funzionale, apprezzato da una grossa fetta d’utenza. Utenza che si è vista dunque nuovamente portare via un pezzo, stavolta, senza una valida alternativa; si è stufata di giocare o – al contrario – ha cercato di far arrivare il proprio pensiero a chi di dovere, con recensioni con una stella sugli store digitali o con tweet di protesta.
Questo è probabilmente il più grosso casino scoppiato all’interno di Pokémon GO, che riguarda esclusivamente chi gioca e gli sviluppatori, reo di aver messo in luce non solo quei difetti che gli utenti erano riusciti a perdonare nelle prime settimane, ma anche e soprattutto la pochezza di contenuti finora disponibili. Inizialmente 151 sembrava un numero esagerato, anche se poi, in realtà, il numero di Pokémon realmente catturabili è al momento di 142. Niantic avrà sicuramente programmato un certo periodo in cui i giocatori sarebbero stati impegnati ad andare in giro, prima di distribuire tramite eventi dedicati anche i leggendari, e solo poi avrebbero potuto iniziare a pensare di riversare virtualmente sul mondo la seconda serie e così via. I tempi sono stati bruciati ma non ci sentiamo di condannare un servizio di terze parti come Pokévision, semmai il problema vero potrebbe giungere da altri programmi, invasivi e dunque illeciti, come fake-GPS. Preferiamo però non approfondire l’argomento in questa sede, sia per ovvie ragioni e sia perché nulla ha realmente a che fare con chi gioca e vuole, giustamente, un prodotto in grado di intrattenere. Oggi, invece, ci si ritrova a dover girare assolutamente a caso nella speranza di trovare uno Zubat o un Rattata, un Pidgey o un Nidoran ogni tanto. Ora è forse addirittura preferibile non imbattersi mai nella sagoma di un Charizard nei dintorni, per non dover affrontare il fastidio di non trovarlo dopo un quarto d’ora a girare freneticamente in tondo inutilmente.
La vicenda Pokévision rappresenta un triste paradosso: un servizio gratuito e funzionale che l’utenza apprezza tantissimo, che va però a cozzare con le esigenze degli sviluppatori, che non possono lasciare che dall’esterno si influenzi in modo così diretto una delle meccaniche base (se non l’unica) più peculiari della propria creazione. Pokémon GO, tuttavia, deve il suo successo esclusivamente alle milioni di persone che hanno supportato il progetto scaricando l’app e giocandoci. Questi stessi giocatori, che si sono divertiti fino a questo momento, stanno vedendo affievolirsi la scintilla di intrattenimento che il gioco ha da offrire, in alcuni casi sentendosi come se addirittura gli sviluppatori si stessero riprendendo i loro giocattoli dopo un breve assaggio. Le impronte sono un ottimo esempio in questo senso. Ci auguriamo, come ovvio, che si voglia fare il possibile per assecondare le volontà e le esigenze di quello stesso pubblico che ha portato in poche settimane fama e introiti ad una software house fino a quel momento quasi sconosciuta ai più, e che quindi Niantic si dia da fare per migliorare la propria app con tutti i mezzi possibili… fosse anche necessario chiudere un occhio e far ripartire Pokévision, per il bene di tutti.