Icona indiscussa dell’horror e protagonista di una delle serie di genere più influenti della storia del cinema, Leatherface è un personaggio che nel corso degli anni ha avuto una evidente evoluzione, fino ad a essere rappresentato in maniera un po’ diversa dal solito nelle ultime pellicole. A causa di alcuni cambiamenti che non rispecchiano la visione originale di Tobe Hooper, Kim Henkel e Gunnar Hansen (l’attore che lo interpreta nel primo film), in questo articolo che traccia l’identikit di Faccia di Cuoio verranno presi in considerazione solo i primi due capitoli della serie originale. Il motivo, oltre alle più ovvie ragioni di fedeltà e aderenza ai modelli creativi delle opere originali, è legato alla volontà di ricollegarsi al prossimo film in uscita questa settimana nelle sale: Leatherface, che è a tutti gli effetti un prequel della pellicola del ’74.
Anatomia di un mostro
Quasi tutti sanno che la figura di Leatherface è ispirata – ma solo in piccola parte – al popolare serial killer Ed Gein, ma in pochi sono pronti ad ammettere di non conoscere un fatto cruciale per la costruzione del personaggio: Kim Henkel, che ha co-scritto il film insieme a Hooper, ha studiato certamente Gein, ma la sua attenzione è poi caduta su Elmer Wayne Henley, un altro serial killer coinvolto nella “Houston Mass Murders“, in cui almeno ventotto ragazzi sono stati rapiti, torturati, violentati e uccisi. In seguito ad alcune dichiarazioni di Henley, da cui erano emersi chiaramente diversi tratti di quella che viene chiamata da Henkel “schizofrenia morale”, è diventato più chiaro il modello di riferimento di Leatherface e della sua famiglia, i quali aderiscono proprio a questo profilo psicologico deviato. Leatherface è però un personaggio molto più complesso e sfaccettato di quanto possa sembrare.
Cominciamo da un particolare:
l’idea di fargli imbracciare una motosega, a Hooper venne quasi per caso. Si trovava nella sezione attrezzi di un grande negozio molto affollato, quando pensò a quale fosse il modo migliore per aprirsi la strada velocemente attraverso la calca di gente. Da qui, l’intuizione di dotare il suo mostro con un’arma dalla potenza così prorompente, che è anche un simbolo reazionario – per il periodo storico in cui è ambientato il film – e un oggetto di forza per risollevarsi dalla situazione in cui versavano lui e la famiglia (per approfondimenti, vi consigliamo di leggere l’
articolo precedente).
Un ruolo fondamentale lo ebbe però Gunnar Hansen, l’attore islandese che venne selezionato per interpretare Faccia di Cuoio nel primo capitolo della serie, il quale rifiutò lo stesso ruolo per Non Aprite Quella Porta – Parte II, “abdicando” in favore di Bill Johnson, che reinterpretò il personaggio in maniera piuttosto diversa per via dei toni molto più dark-comedy della pellicola.
Contrariamente all’idea di Hooper e Henkel, Gunnar Hansen riteneva che Leatherface dovesse essere mentalmente ritardato e che non dovesse mai aver dovuto imparato a parlare correttamente. Per calarsi alla perfezione nella parte, l’attore si recò per diverso tempo in un istituto per disabili al fine di studiare con attenzione i loro movimenti, le reazioni, il modo di approcciarsi agli altri e gli atteggiamenti quotidiani.
Com’è cambiato Faccia di Cuoio
Nel primo film, Leatherface è un personaggio unico, molto diverso da come verrà rappresentato nei seguiti, che in alcuni casi lo ridicolizzano e lo riducono a una macchietta. La sostanziale differenza dagli altri mostri sacri apparsi negli slasher e negli horror dell’ultimo trentennio dello scorso secolo, è rappresentata dai motivi reali che lo spingono a uccidere le sue vittime. Nonostante sia brutale e implacabile, Leatherface non uccide per crudeltà o per quell’immancabile senso di sadismo che è un tratto tipico di tutti gli altri cattivi dei film; lo fa perché è ritardato, perché non è in grado d’interpretare in maniera corretta il mondo che lo circonda. Attacca perché ha paura quando qualcuno invade la sua abitazione, perché si sente minacciato, in pericolo. Lo si capisce dal modo in cui viene soggiogato e comandato dalla famiglia, che lo usa come strumento, arma impropria o braccio armato (se preferite), e questo è un elemento che nei successivi capitoli prende sempre più forma. Leatherface è pericoloso perché quando si trova in solitudine è ingestibile; è come un animale che ha bisogno di attaccare per non essere attaccato. Ha paura del rifiuto, di non essere accettato; è un mostro col volto deforme e completamente sfigurato, con la necessità di indossare una maschera per occultare il proprio aspetto.
Ha anche dei gravi deficit cognitivi, è frutto di un incesto, è tardo, si esprime a grugniti e versacci ed è alessitimico. Proprio per questo motivo lo vediamo indossare maschere sempre diverse (da macellaio, da ragazza, da uomo arrabbiato), perché è il suo modo perverso e infantile di esprimere la propria interiorità e di determinare la personalità che si sente di sfoggiare in alcuni specifici momenti. Ma la verità è che dietro tutte quelle maschere non c’è nulla, motivo ulteriore per cui Leatherface risultava essere davvero terrorizzante nel primo film.
Nel secondo lo troviamo cambiato. Inserito in un contesto da commedia dark per via di una precisa scelta a monte di Tobe Hooper, che voleva cambiare registro e dare un’enfasi diversa alla serie, Faccia di Cuoio prova per la prima volta una specie di sentimento verso una delle potenziali vittime, verso quella donna che acuisce i suoi appetiti sessuali, a cui poggerà sul viso una maschera nel goffo tentativo di nasconderla alla sua famiglia. Quando il fratello gli ordina di andarla a uccidere all’interno del bar, Leatherface tentenna, muove la motosega spenta in direzione della sua vagina, come un prolungamento di se stesso che tenta di esplorarne l’intimità mentre dalla bocca storta si muove sinuosa la sua lingua gonfia e oscena. Lei lo invita a continuare così, perché ha bisogno di distrarlo e di salvarsi la vita, ma Faccia di Cuoio è imprevedibile e gli sviluppi successivi li potrete rivedere – se vi va – nel secondo film, che presenta un’evidente evoluzione del personaggio… Prima che il terzo lo rendesse padre di una figlia e il quarto lo trasformasse in un mangiatore di pizza dalle sembianze da travestito che viene coinvolto in un intrigo cospirazionista dagli illuminati.
Sarebbe meglio ricordare Leatherface durante l’era di Hooper, in attesa che il prequel ci faccia conoscere da vicino come tutto ha avuto inizio.
Dal ’74 fino a oggi, Leatherface è stato un personaggio che si è evoluto molto, e non sempre in maniera positivo. Dopo l’era di Tobe Hooper, che curò i primi due film, la serie originale cadde in rovina e si schiantò contro il muro dell’indecenza quando uscì il quarto capitolo. La rinascita avvenne grazie ai discreti tentativi di rianimare la saga con un remake, ma la verità è che sin troppo venne cambiato di quel personaggio che avevamo conosciuto all’epoca.
Il prossimo film, in tal senso, potrebbe rappresentare un ritorno alle origini, alla visione originale dei suoi ideatori, mostrandoci il passato (quello vero) di una delle più grandi icone dell’horror.