L'eroismo di Avengers: Infinity War

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a cura di Parzival

Un decennio non è una cosa da prendere sotto gamba. Quante cose succedono in un decennio? Ci sono storie d’amore che nascono e muoiono anche in meno tempo, altre che durano molto di più. Ci sono mode, questo senz’altro. Di decennio in decennio, chissà perché poi, ci piace portare in un modo i pantaloni e le magliette, gli occhiali e i costumi da bagno. Una cosa che non è mai passata di moda però, decennio dopo decennio, è il fascino che i supereroi e le loro storie esercitano sulle nostre vite. Talvolta incarnando archetipi e iperboli di ciò che è giusto e sbagliato, in un’ottica dove non conta tanto quello che è ma quello che dovrebbe essere, le storie sgangherate di questi uomini e donne dotati di poteri straordinari hanno saputo evolversi, attualizzarsi, raccontare di decennio in decennio la società occidentale coi suoi pregi e difetti, in uno specchio cromaticamente ricco ed esotico.

La vera forza del supereroe non sta tanto nei suoi gadget e poteri, funzionali quanto la maschera che solitamente portano a uno scopo, ma nell’eroismo inteso come valore, nel coraggio di fare la cosa giusta ad ogni costo, di lottare anche nella situazione più disperata perché, come ormai ci è stato insegnato ampiamente nell’ultimo decennio, da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Ed è proprio nella faccia sotto la maschera che riscopriamo di essere anche noi un po’ un po’ Tony Stark, un po’ Steve Rogers, e allora possiamo essere anche noi un po’ Iron Man, un po’ Cap. Dieci anni, tanto è servito ai Marvel Studios dall’uscita nel 2008 del primo film di Iron Man diretto da Jon Favreau, per mettere in piedi un’impresa colossale non soltanto per l’ormai sdoganata macchina da soldi che è il segmento dei cinecomics, ma per l’intera storia del cinema. Bisogna riconoscere a Kevin Feige di essere riuscito a creare un mastodonte, con ben diciotto film all’attivo le cui vicende si intrecciano e conducono, ciascuno con le sue diramazioni, al nuovo Avengers: Infinity War, da oggi disponibile nelle sale.


La chiave del successo del Marvel Cinematic Universe sta nell’essere allo stesso tempo tanto omogeneo quanto eterogeneo, seguendo una linea ben precisa ma lasciando spazio creativo a tanti registi che hanno saputo creare un mosaico di stili ben distinti. Si trattava di un rischio bello grosso, e ne è consapevole lo stesso Feige che in merito alla sua visione del progetto ha dichiarato: “È una cosa al tempo stesso scoraggiante e divertente. Non è mai stato fatto prima ed è questo lo spirito con cui tutti stanno affrontando questa avventura. I registi non sono soliti prendere attori da un film che un altro regista ha diretto, o alcuni punti della trama che sono connessi con altri o altri luoghi che sono connessi tra loro, ma penso che tutti credano nel progetto e lo ritengano divertente. Principalmente perché abbiamo sempre detto che i film che stiamo facendo in un determinato momento vengono sempre prima. Tutta la storia della continuità, tutta questa roba è divertente e sarà molto importante se il pubblico lo vorrà. Se i fan vogliono cercare i riferimenti e tutti i collegamenti, lo possono fare tranquillamente. Ci sono alcuni riferimenti molto evidenti che spero anche il pubblico più generalista sarà capace di seguire. Ma la ragione per cui tutti questi registi hanno deciso di partecipare è che i loro film devono funzionare anche come singoli film. Devono avere una visione nuova, ognuno con il suo tono, e il fatto che possano connettere tra loro i film è un bonus.”


Avengers: Infinity War, diretto dai fratelli Russo (già registi di Captain America: The Winter Soldier e Captain America: Civil War) è allo stesso tempo una dichiarazione d’amore nei confronti degli eroi e delle loro storie, ma anche un gigantesco esperimento in cui incasellare per la prima volta tante storie che vivono di registri e atmosfere diverse. Molti dei personaggi, che pur sapevamo condividessero lo stesso universo narrativo, si trovano a interagire tra loro per la prima volta. Se dopo Thor: Ragnarok non risulta molto difficile immaginare il figlio di Odino su una navicella spaziale insieme ai Guardiani della Galassia, era un po’ più ostico contestualizzare il tutto dentro i margini di una situazione fortemente drammatica come la crociata di Thanos, il nemico più potente che i Vendicatori abbiano mai incontrato. E la situazione è parecchio drammatica, se si considerano pure gli strascichi di una lotta intestina come quella vista in Civil War, che ha mutato per sempre gli equilibri di quella squadra quasi scanzonata vista in The Avengers del 2012. Il film però riesce perfettamente nel proprio intento e non è azzardato dire che cambia per sempre il modo di fare cinecomics, rappresentando il punto più alto finora raggiunto dal segmento.

Riesce a fare tutto ciò perché ci mostra questi eroi senza maschera, ci mostra i volti che abbiamo imparato a conoscere, ad amare e a odiare, negli ultimi dieci anni. Ci mostra l’eroismo in tutto il suo significato più puro, il non arrendersi neanche davanti a un nemico troppo più grande di noi. Gli ideali del sacrificio e dell’altruismo, che sono poi l’eredità più pura che l’operazione Marvel Cinematic Universe ha donato ai più giovani, dando un volto ai loro eroi.

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