La localizzazione videoludica

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a cura di jewel

Quando giochiamo un titolo da cima a fondo è normale valutarne ogni singolo aspetto tecnico, a prescindere dalla nostra esperienza in materia. Spesso e volentieri, com’è giusto che sia, ci si perde in riflessioni sul comparto grafico, sulla colonna sonora oppure sul gameplay di un prodotto, mentre è più rara l’occasione in cui quello che ci preme analizzare è la qualità della localizzazione. Per i pochissimi di voi che non fossero a conoscenza dell’argomento, ciò di cui parliamo è semplicemente il processo in cui un videogioco viene “tradotto” dalla sua lingua originale a quella di un’altra zona, un argomento che quindi ci riguarda in maniera specifica. Facile a dirsi ma molto meno a farsi, dal momento che localizzare un prodotto non vuol dire semplicemente prendere una tonnellata di frasi e infilarle in un traduttore automatico, ma significa anche tener conto della cultura di una specifica area, delle differenze linguistiche, legali e a volte perfino religiose. Con questo speciale cerchiamo quindi di lanciare uno sguardo a questo mondo tanto nascosto quanto influente, studiando gli aspetti principali che incidono sulla traduzione di un videogioco.

“All your base are belong to us”Almeno nei mercati più grandi, la prima fase del processo di localizzazione consiste in uno studio del gioco da localizzare: gli addetti alla traduzione hanno naturalmente tutti i testi a loro disposizione e, a volte, la possibilità di giocare l’originale per una visione più profonda dei temi che si devono trattare. Nel caso di progetti di grandi dimensioni questa fase può durare anche due o tre settimane, tempo necessario per avere una visione d’insieme delle caratteristiche del gioco e per capire, almeno a grandi linee, la trama dello stesso. Avere una visione onnisciente della storia di un titolo è fondamentale per la fase di traduzione: il modo in cui un personaggio pronuncia una frase può infatti cambiare anche in base agli eventi che lo attendono o il contesto in cui avviene la scena. E’ proprio sottovalutando questi aspetti che i giocatori possono finire per avere una versione distorta di alcune sezioni di gioco, fino a perdere totalmente il filo degli avvenimenti. Ne è un esempio una celebre scena di Call of Duty: Modern Warfare 2, in cui il malvagio Makarov ricorda ai suoi compagni di non parlare russo, dicendo semplicemente: “Ricordatevi: niente russo”. Purtroppo, nella versione giapponese, come per magia, la frase è stata tradotta in “Uccideteli, sono russi!”, travisando completamente il significato originale dello spezzone. In tutt’altre occasioni, le piccole o grandi differenze nei testi tradotti possono essere il risultato di un adattamento a una cultura differente. E’ questo il caso delle conversioni di titoli come Saints Row, o altre produzioni simili in cui il linguaggio, giustamente, viene spesso “pulito” o privato delle espressioni gergali più forti per evitare traduzioni letterali, che fuori dal contesto originale potrebbero risultare prive di senso per buona parte dei giocatori. Ad aggravare la situazione degli utenti del vecchio continente c’è poi la questione dei titoli di matrice giapponese tradotti prima in inglese e solo successivamente in italiano, francese, tedesco e via dicendo. Naturalmente in questo modo si perderà sempre una piccola parte del significato originale: se già nel primo passaggio verso i paesi anglofoni si cerca di limare i dialoghi in modo da renderli più appetibili all’utenza del posto, immaginate quanto potrà differire una versione nostrana dall’originale. Purtroppo il famoso detto “tutto il mondo è paese” non si applica neanche minimamente alla sfera videoludica: per i publisher ogni area d’utenza ha i propri gusti generali, da soddisfare ad ogni costo, almeno se non si vuole rischiare di perdere i favori del dio denaro. Ad esempio, uno dei luoghi comuni più noti è quello secondo il quale giocatori asiatici preferirebbero impersonare personaggi dai tratti fanciulleschi, mentre per gli occidentali l’ago della bilancia protenderebbe verso protagonisti con caratteristiche e lineamenti più adulti. Per simili convinzioni sono stati applicati cambiamenti anche significativi, come nel caso della localizzazione inglese di Fatal Frame, in cui non solo cambiarono le espressioni facciali del personaggio principale di Miku, ma addirittura il suo aspetto, i vestiti e il suo modo di parlare. La giovane protagonista della versione giapponese, con uniforme scolastica e tipiche caratteristiche da ragazzina, venne mutata in modo avvicinarsi a quelli che si ritengono essere “gusti occidentali”, eliminando l’uniforme e aumentando la sua età da diciassette a diciannove anni.

Doppiaggio vs. SottotitoliQuasi fossero arcinemici al pari di Darth Sidious e Yoda o Tom e Jerry, da sempre il doppiaggio e i sottotitoli si trascinano dietro una folta schiera di ammiratori e detrattori, entrambe parti legati a motivazioni più o meno valide. Il vantaggio dei sottotitoli è che solitamente non costringono a limare i dialoghi in maniera esagerata, cosa che invece può accadere nel caso del doppiaggio. Per fare un esempio, la lingua tedesca ha in genere parole più lunghe rispetto all’inglese, quindi le frasi che i doppiatori dovranno leggere non potranno mai essere tradotte in maniera letterale, ma sarà necessario apportare i dovuti cambiamenti per farle entrare nel tempo previsto dal pattern. A rendere tutto più difficile, c’è poi la misera quantità di materiale che arriva ai doppiatori: spesso si tratta solo di una traccia audio e di un testo già approvato dal publisher, su cui quindi non si possono fare ulteriori modifiche. In più, spesso e volentieri, i doppiatori non hanno a disposizione i video delle parti da recitare, motivo per il quale vedere un doppiaggio in sync dalle nostre parti è un avvenimento più unico che raro. Nonostante tutto, a volte si riesce ad avere risultato ottimale, come per il primo Alan Wake, in cui Alessandro Zurla era stato in grado di trasmettere perfettamente i sentimenti di angoscia del protagonista senza far rimpiangere l’originale. L’altra faccia della medaglia è però rappresentata da interpretazioni imperdonabili come quella di Johnny Cage in Mortal Kombat 9, o peggio, di Dario Argento in Dead Space, sicuramente la cosa più “horror” dell’intera produzione.

Quello della localizzazione è davvero un lavoraccio dietro le quinte e, nel caso specifico dei videogiochi italiani, il risultato è più che incerto. Se esistesse una sorta di google translate in grado di tradurre un testo facendo attenzione a modificare i proverbi, le bestemmie e quant’altro, in modo da confezionare un prodotto su misura per la zona desiderata, allora sarebbe un mondo fantastico. Purtroppo una cosa del genere non esiste, ma anche se esitesse, il processo di localizzazione non sarebbe comunque legato unicamente ai testi da tradurre, ma anche all’aspetto del gioco stesso e alla sua presentazione sul suolo internazionale. Ciò che leggiamo e sentiamo quando abbiamo il controller fra le mani è frutto di mesi di scambi e correzioni tra scrittori, publisher, traduttori e chi più ne ha più ne metta. Tutto questo per dire che spesso, stabilire chi è responsabile per una pessima localizzazione, è più difficile di quanto si potrebbe immaginare.

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