La coda lunga dei videogiochi: part 2

Avatar

a cura di Francesco Ursino

Continuiamo il viaggio alla scoperta di quali possano essere le conseguenze di una curva di domanda a coda lunga per il mercato videoludico, iniziato con il nostro primo articolo dedicato all’intuizione di Chris Anderson. Avevamo concluso la nostra prima riflessione chiedendoci quali potessero essere i titoli che sono in grado di “navigare” dalla coda della curva, fatta di una moltitudine di piccolissimi progetti, fino ad arrivare alla testa, dominata da poche super hit. Prima di passare ad alcuni esempi concreti, vediamo quali sono le condizioni affinché ciò avvenga, e perché un titolo può passare in poco tempo dall’essere un gioco sconosciuto a diventare un vero e proprio fenomeno di costume.

Da soli è meglio?Lo scorso 26 luglio Actvision Blizzard ha finalizzato un’operazione di buyout da circa 2 miliardi di dollari, che ha portato all’acquisizione di circa 439 milioni di azioni dal precedente proprietario, il colosso francese Vivendi. Il publisher di World of Warcraft e Call of Duty, dunque, con questa mossa, è diventato indipendente. Un’operazione dalle cifre importanti all’insegna dell’indipendenza, cui si affiancano le sempre più frequenti iniziative, a differenti livelli, che puntano proprio ad avere una maggiore libertà d’azione in ambito videoludico. La maggioranza delle operazioni, in questo senso, sono portate avanti dagli sviluppatori, a volte anche molto conosciuti; pensiamo a Double Fine, di Tim Schafer, che ha da poco ottenuto via Kickstarter i fondi necessari per iniziare la lavorazione di Massive ChaliceProprio la parola “indipendente”, e la conseguente contrazione anglofona indie, sembra essere uno dei punti principali su cui poggiano le dinamiche a coda lunga videoludiche. Prendiamola alla larga: a livello puramente concettuale, l’indipendenza in sé e per sé è un concetto senza senso: dire che un qualcosa è indipendente, cioè, non significa nulla fino a quando non si specifica “da chi” o “da cosa” si è indipendenti; se si è uno sviluppatore di videogiochi, spesso, l’indipendenza è quella dai publisher.Per un team di sviluppo, dunque, l’assenza di un publisher è assimilabile all’assenza di una casa discografica per un cantante; seguendo quanto scritto da Anderson, infatti, alcune delle funzioni principali di una casa discografica (e quindi di un publisher di videogiochi) sono finanziare progetti, in alcuni casi distribuirli e soprattutto supportarli con azioni di marketing. Nel momento in cui un publisher (o casa discografica) investe soldi in un progetto, si aspetta un sacrosanto ritorno, e tutto ciò si riverbera in scelte che cercano di incontrare il più possibile i gusti comuni delle grandi masse. Insomma, se l’obiettivo principale è quello di far felici soci e investitori, direte al vostro sviluppatore di progettare un gioco facente parte di uno dei generi che vanno per la maggiore nei mercati più importanti (FPS, sportivi), e magari inserirete qualche bella scena scriptata, investirete in un motore grafico capace di lasciare a bocca aperta, e via di questo passo.Nel momento in cui lo sviluppatore riesce però a “evadere” da questa logica, e può disporre direttamente dei soldi necessari alla realizzazione del videogioco, ecco che cominciano ad arrivare i prodotti sperimentali e di nicchia, che come visto la volta scorsa sono il tipo di giochi che è possibile trovare nella coda della curva di domanda. Insomma, non scopriamo nulla di clamoroso quando affermiamo che le sperimentazioni che nutrono le nicchie videoludiche nascono quasi sempre dalla libertà di sviluppare senza tanti vincoli.

Forze democratizzantiImmaginate ora di essere uno sviluppatore con un progetto appena finanziato dalla comunità di Kickstarter: avrete un obbligo verso coloro i quali hanno creduto nel vostro progetto, che il più delle volte saranno appassionati del genere di gioco che proponete. Cercare di accontentare questo tipo di finanziatori, piuttosto che un’anonima assemblea di azionisti, comporta come visto una serie di imposizioni minori. Secondo Anderson, dunque, la prima forza della coda lunga si esplica nel momento in cui il progettare opere artistiche diventa accessibile a tutti; nel caso dei videogiochi non stiamo parlando di mera accessibilità tecnica (gli appassionati sviluppano autonomamente titoli fin dagli anni ’80), ma di accessibilità finanziaria: ci riferiamo, senza tanti giri di parole, al crowdfunding.Tom Schafer, in un intervista, ha spiegato come funzionava lo sviluppo di un videogioco nell’era pre-internet: “Ci sentivamo isolati, come se stessimo sviluppando giochi su un’isola deserta, perché internet non c’era, e conoscevi solo i tuoi colleghi più stretti. Se eri fortunato, potevi stringere amicizia con qualcun altro durante la Game Developers Conference. Quando facevi uscire il gioco, tutto quello che potevi fare era aspettare qualche recensione di qualche rivista, e questo era tutto il feedback che potevi ricevere”.Con l’arrivo di internet, oltre alla possibilità di reperire fondi in maniera indipendente si è manifestata poi anche la seconda forza della coda lunga, ovvero la democratizzazione della distribuzione. Di questo abbiamo parlato anche la volta scorsa: le piattaforme di digital delivery, per non parlare dei social network, hanno messo in comunicazione sviluppatori e appassionati, che possono interagire direttamente e senza filtri. Se quindi il vostro progetto finanziato su Kickstarter può avere del marketing gratuito (fatto attraverso social network, newsletter e recensioni su decine di siti specializzati), una distribuzione semplificata (attraverso il digital delivery), e un finanziamento autonomo (attraverso Kickstarter), ecco che l’opprimente presenza del publisher potrebbe non essere più indispensabile. Cosi si creano le cosiddette hit bottom-up, prodotti spesso indipendenti che partono dal basso e che, grazie al passaparola degli appassionati, diventano blockbuster clamorosi.La coda lunga, cosi, si trasforma in una massa pixellosa di mattoncini.

Dritti alla vettaAlla fine dello scorso speciale, oltre agli interessanti commenti ricevuti (e ai numerosi, gentilissimi apprezzamenti), alcuni di voi si sono sbilanciati indicando alcuni titoli capaci di “scalare” la coda, partendo dal fondo fino ad arrivare in cima. Alcuni hanno citato Deadlight e Limbo, altri Trine, Journey, fino ad arrivare a RAGE ed L.A. Noire.Diciamo subito che questi titoli, in effetti, hanno compiuto una certa scalata ma, tranne alcuni casi, in generale possono essere posti in un’ipotetica parte centrale della curva. Dobbiamo pensare infatti alla curva di domanda a coda lunga come a un enorme agglomerato di cifre che parte, facciamo un esempio, da progetti realizzati in due settimane al costo di $ 180 (come l’interessante Fibrillation), fino ad arrivare a prodotti come Bioshock Infinite, che secondo il New York Times, è costato qualcosa come $ 200 milioni (divisi equamente tra sviluppo e marketing), da cui Take Two deve peraltro ancora rientrare, stando alle ultime notizie.LA Noire, cominciando ad analizzare i vari titoli proposti, non si può dire sia mai stato un titolo da coda: secondo la stessa Take Two ha venduto circa 5 milioni di copie, e di certo non è stato percepito come un progetto di nicchia. Sebbene non sia da considerare una super mega hit, di sicuro è da piazzare nella prima parte della curva.Journey, invece, è un esempio di come un progetto sia stato capace di guadagnare notorietà grazie alla qualità, ma sebbene stiamo parlando di un gioco indie (o almeno, percepito come tale), vero è che l’apporto di Sony è stato fondamentale, tanto è vero che solo da poco lo sviluppatore Thatgamecompany ha cominciato a ricevere i guadagni delle vendite del titolo (ovvero: dopo che Sony è riuscita a coprire le risorse investite). L’aver guadagnato il titolo di gioco che ha battuto tutti i record su Playstation Network, in ogni caso, pone Journey nella parte alta della curva.E’ curioso però constatare come uno degli esempi più didascalici, quasi scolastici, di hit totalmente indie e bottom up da coda lunga sia sfuggito ai più: stiamo parlando, nello specifico, di Minecraft.

“A game about breaking and placing blocks”Nel momento in cui lasciò il suo lavoro per la King.com per dedicarsi totalmente allo sviluppo del suo progetto, forse Markus “Notch” Persson non pensava di stare creando un gioco capace di vendere 20 milioni di copie. Non pensava, probabilmente, neanche che il proprio titolo avrebbe rappresentato uno dei simboli delle nuove forze che sembrano governare il mercato dei videogiochi.Partiamo dall’inizio: Notch sviluppa la prima versione di Minecraft insieme a un suo collega e amico, Jakob Forsér, e a un altro paio di bravi programmatori. La prima versione alpha del gioco va in rete cosi, senza filtri; a questo stadio, siamo nel 2009, Mojang nemmeno esiste: si tratta solo di un gruppo di persone che hanno creato un gioco. Immaginare qualcosa di più indipendente e di nicchia, almeno a questo stadio, è difficile. In questo momento, infatti, il gioco è esattamente all’inizio della lunga coda di piccole produzioni indipendenti. Poi, però, succede qualcosa; è lo stesso Notch, nel documentario Minecraft – The Story of Mojang, a spiegare cosa: ”All’inizio avevamo 40 copie vendute al giorno, poi 10.000 al giorno, e poi, non ricordo la data, mi sono ritrovato con un milione di corone svedesi sul mio conto…”. Ecco la seconda forza della coda: la distribuzione libera attraverso internet ha fatto sì che il titolo incontrasse i giocatori più interessati al progetto. Da qui, il passaparola ha fatto tutto il resto: con i primi soldi ottenuti, Persson fonda ufficialmente Mojang, e il mondo comincia a fare i conti con uno dei titoli più diffusi di sempre; Minecraft entra nelle scuole (con Minecraft EDU), diventa fenomeno di costume, e Mojang comincia a far parlare di sé. In questo momento, siamo nel 2010, il gioco inizia a risalire prepotentemente la coda; supera, cioè, tutte le piccole produzioni di nicchia meno conosciute, e si mette sul piano di titoli tipici della metà della curva, magari finanziati da publisher non di primissimo piano.Arriviamo ai giorni nostri: nel 2011 viene rilasciata la versione finale del gioco, che nello stesso anno sbarca anche nel tempio delle super produzioni videoludiche dai grandi budget, ovvero l’E3. Nel 2012, infine, la creatura di Notch, già presente su PC, iOS e Android, approda sulla console Microsoft, Xbox 360.A gennaio 2013, come detto, il titolo poteva contare su 20 milioni di copie vendute sulle varie piattaforme, e consegnava Notch alla storia videoludica. La scalata alla testa della curva, in altre parole, era terminata.

Abbiamo visto come due importanti caratteristiche della coda lunga dei videogiochi abbiano permesso a Minecraft di diventare un vero e proprio fenomeno di costume, oltre che videoludico. E’ possibile dunque risalire dalla coda alla testa, e avere successo anche attraverso titoli che (almeno inizialmente) non incontrano i pur giustificabili vincoli dei publisher; come dice Notch: “La prima idea per il tuo videogioco non te l’ha data un publisher, hai solo seguito il tuo amore e la tua ispirazione”.

Nel prossimo speciale, scopriremo l’esistenza di una terza forza della coda lunga dei videogiochi: vedremo, quindi, come la presenza di “filtri” e raccomandazioni sia evoluta nel tempo, aumentando le possibilità di scelta dei giocatori.

Leggi altri articoli