Disney ha scovato questa formula magica per la produzione infinita di incassi che in un modo o nell’altro sta indubbiamente accrescendo il valore delle loro produzioni cinematografiche. Parliamo di valore economico, non sicuramente però legato all’apprezzamento generale della critica. Gli esperimenti, d’altronde, non sempre sono andati a buon fine: basti pensare a Maleficent, che per quanto visivamente fosse riuscito a essere stupendo nei suoi primissimi minuti nella brughiera, si è poi sciolto in una rivisitazione che ha fatto storcere il naso ai più. I successivi tentativi con Cenerentola e Il Libro della Giungla hanno provato a correggere il tiro, con quest’ultimo che a oggi è sicuramente il migliore dei live action proposti da Disney. E continuerà a esserlo, perché il lavoro svolto con La Bella e la Bestia non è tale da farci gridare al capolavoro, salvo a chi, per l’effetto nostalgia, non vogliano lasciarsi irradiare il cuore da quella magia rinascimentale che musicò Alan Menken.
Emancipazione pariginaLa riproposizione in live action de La Bella e la Bestia ripercorre quasi completamente la storia proposta nel Classico Disney, con alcune varianti che, va da sé, devono rispettare la credibilità cinematografica che esula quella dell’animazione in sé. I filler, se ci concedete l’utilizzo di questa terminologia, sono immancabilmente presenti e vanno a rimpinguare una storia che non aveva bisogno di alcun tipo di edulcorazioni: d’altronde già raccontando dell’amore di una ragazza con una bestia, Disney era riuscita a soddisfare le necessità del pubblico. Qui, invece, il sottotesto proposto per i due protagonisti deve necessariamente sfociare, nella visione di Bill Condon, nella spiegazione visiva del loro passato: per la prima volta, quindi, arriviamo a porci domande sulla madre di Belle, sulla sua vita e sul perché la ragazza viva soltanto con Maurice, così come scopriamo che le inclinazioni del principe divenuto bestia sono dovute a un rapporto burrascoso con il padre. Due figure, questi genitori improvvisamente importanti, che vanno a perseguire una necessità che non era per niente dichiarata da un pubblico che si era lasciato ammagliare già dalla storia cardine, senza necessità di inserimenti genealogici. Allo stesso modo la figura di Maurice, che nel Classico era apostrofato a ben vedere come “matto” per le sue invenzioni strampalate, ha qui una connotazione completamente diversa: è un artista, un pittore e all’occorrenza anche un attento orologiaio, attento agli ingranaggi. Un padre molto più austero, più sentimentale, più accorto all’evoluzione della vita, diversamente dal panciuto e quasi comico personaggio che Disney aveva realizzato negli anni ’90. Soluzioni che provano a dare un senso molto più maturo al Classico che aveva convinto quelli che eravamo e che adesso siamo, a fronte della nostra età avanzata che può portarci a comprendere meglio la magia se ci viene indorata con più drammaticità. Infine, posto a distanza da queste necessità di modifiche, il personaggio sicuramente meglio riproposto tra quelli secondari è Gaston: l’instancabile pretendente di Belle è pedissequamente simile a quello del Classico, salvo in una sua inaspettata idea per liberarsi di Maurice, che precede la scelta ultima di mandarlo in manicomio per la sua pazzia, che cade dal cielo in maniera inaspettata e completamente decontestualizzata. Tali scelte per fortuna non inficiano la storyline principale, d’altronde Belle, così la Bestia, restano gli stessi personaggi che avevamo conosciuto nel cartone animato, così come vengono mantenute tutte le caratterizzazioni dei servitori del castello, da Lumiere a Tokins, che nella loro veste molto più decadente sono ancora più apprezzabili. Il concept, pertanto, rimane sempre lo stesso, che ho sempre voluto vedere in maniera diversa: La Bella e la Bestia è la storia di una ragazza che si riabilita agli occhi dello spettatore, e che vince la propria arroganza imparando ad amare una bestia. Belle, però, è anche la forza della prima principessa emancipata nella storia Disney: la cultura è, per lei, il punto di forza dal quale ripartire: in questo Condon riesce a offrire un personaggio più attivo di quello che era l’originale Belle, una ragazzina che già abbiamo definito arrogante oltre che abbastanza piena di sé. Nel live action la sua è una missione da portare a termine, quella di far vincere e trionfare la lettura, la capacità di studiare, la passione per i libri: lo si accusa quando si ingegna per inventare una proto-lavatrice o anche quando si applica per insegnare a una ragazzina come leggere. Esasperando adeguatamente, quindi, quella mission che era proprio di Belle, Condon riesce a offrirci un personaggio molto più caratterizzato e godibile, che soffre soltanto dell’interpretazione di Emma Watson, non sempre al passo della Bestia, molto più capace dinanzi alla telecamera a reggere il suo ruolo borioso e polemico.
Metrica scompostaLa versione che ci è stata proposta al cinema, e che tra l’altro avrete modo di guardare anche voi sul grande schermo dal 16 in avanti, era chiaramente doppiata in italiano. Il lavoro svolto nell’adattamento è stato, purtroppo, il vero tallone d’Achille di questa produzione, che siamo sicuri essere di ben altro livello nell’originale: non solo i testi delle canzoni sono stati rivisitati, per necessità che non siamo riusciti a comprendere ancora, ma allo stesso modo non c’è stato quasi mai, soprattutto nelle interpretazioni canore di Emma Watson, un sincrono adeguato con la musica. Oltre alle più note, che per fortuna sono rimaste quasi del tutto invariate, La Bella e la Bestia ci propone anche due canzoni originali, una cantata interamente dalla Bestia e una con una parte molto importante per Belle: entrambe non riescono ad aggiungere nulla alla narrazione e sembrano quasi inserite tanto per completare dello spazio avanzato o per tentare di emulare, quasi trent’anni dopo, il successo ottenuto da Alan Menken. Condon, però, riesce così a mostrare la fede al dito, figlia del matrimonio con il genere musical che è stato ottimamente sposato nel live action. Tutto l’ecosistema, però, non si fa indubbiamente intimorire da questi tentativi di aggiungere dei contenuti originali a una storia che aveva colpito gli adulti di oggi, che erano i bambini di ieri: la passione per i personaggi resta intaccata, così come resta indubbiamente empatico ed emotivo il momento in cui tutti i servitori si risvegliano dalla loro forma da mobili e si ritrovano umani ad abbracciarsi. Ultima chiosa su LeTont e le tantissime polemiche che ha suscitato il suo essere omosessuale: nel film tale aspetto viene sottolineato soltanto nel finale di film, ma in maniera del tutto ingenua e innocua, senza che nessun bambino presente in sala possa porsi domande o riconoscere in lui qualcosa di diverso. Nel Classico Disney, però, non veniva praticamente mai sottolineata questa sua inclinazione, che è un chiaro segnale da parte della produzione di provare a strizzare l’occhio alla comunità omosessuale. La domanda è: è davvero il modo giusto per farlo, quello di accostare uno sgherro tirapiedi tonto e fannullone alla comunità di cui sopra?
La Bella e la Bestia è un film che emozionerà tutti gli appassionati del Classico Disney, che vi sorprenderà nel mostrarvi Emma Watson nel suo vestito giallo al momento del ballo e che vi emozionerà durante la canzone di Gaston, ma per tutti gli altri, che proveranno ad avvicinarsi vergini a questa vicenda non vi sarà nulla che spingerà a gridare al miracolo. Il Libro della Giungla, un anno fa quasi, fu decisamente più gradevole, ma è indubbio che la sua storia e la sua presa empatica sul pubblico spingerà la pletora di appassionati alla rivolta e La Bella e la Bestia diventerà, così, il diamante che mancava ai live action di Walt Disney Pictures.