Come ricorderete il 2012? Cos’ha rappresentato per voi l’anno appena passato? Non è difficile lanciare un paio di dadi e intuire che per molti non è stato un periodo felice, ma qui siamo su un sito specializzato in videogiochi e non è il caso di scoperchiare per l’ennesima volta tutti i malumori derivanti dal venefico ambiente politico italiano, o dallo stato catastrofico dell’economia mondiale. Ho deciso pertanto di buttar giù due righe su quello che ha rappresentato secondo me il 2012 per l’industria videoludica, e di aprire una breve discussione sullo stato attuale del gaming. Chiaramente non ci si può tuffare nell’argomento senza tirare in ballo i soldi, ma almeno l’articolo non verterà solo su tale fattore. Mi sembra il minimo per dare una rispolverata agli avvenimenti più importanti appena trascorsi. Ammetto che il mio piano iniziale consisteva nella stesura di un elogio alla mia barba, che mi ha permesso di entrare finalmente nella top 25 dei redattori più pelosi d’Italia 2012/13 (sogno che coltivo fin da quando avevo 4 anni e vantavo solo un pizzetto accennato), ma purtroppo ho riscontrato pareri piuttosto negativi dal resto della redazione. Oibò, pur facendo ancora fatica a capacitarmi del rifiuto dei miei colleghi, inizio la disamina.
Another brick in the wall
Per il sottoscritto questo è stato l’anno del “muro”, quello in cui quegli sviluppatori capaci di destreggiarsi nel limbo della mediocrità si sono quasi completamente estinti, ormai ridotti a una minuscola realtà parallela supportata solitamente da motivazioni esterne al mercato normale, e le software house si sono sostanzialmente divise in due principali tipologie, molto lontane ma non necessariamente avverse.
Il punto è piuttosto semplice: l’industria si è evoluta, spingendosi in ogni possibile direzione. La migrazione delle software house è stata tuttavia incredibilmente caotica, con spostamenti diversificati sia nella forza che nel rischio corso. Molti colossi si sono mossi bene in più sensi, basti pensare a Ubisoft che si è espansa con furbizia in quasi ogni settore. Altri hanno corso rischi enormi i cui frutti non si sono ancora visti, e altri ancora hanno preso cantonate immense che ne hanno scosso struttura e gerarchia interna. Dal canto loro i piccoli sviluppatori hanno dovuto arrabattarsi al meglio, tra team decisi a partire in quarta nel tunnel prescelto e dozzine di questi che dal buio non sono poi riusciti a uscire. Già, perché il 2012 è stato un anno ricco di cambiamenti, ma contemporaneamente molto negativo per l’industria. Crisi economica e investimenti eccessivi hanno dato una bordata terrificante anche a software house attive da decenni, e sono saltate più teste di quanto fosse lecito calcolare.
Non fatevi ingannare dalle solite cifre fuori di testa dei Call of Duty, dai guadagni strabilianti di marchi noti come Halo e Assassin’s Creed e dalle promesse di giochi sempre più belli, realistici, spettacolari e avanzati tecnologicamente. I costi dei “titoloni” (chiamateli tripla A se proprio dovete farlo) hanno superato di molto quelli del cinema, sono arrivati a cifre stellari ed eccessive, che richiedono vendite inarrivabili per troppi progetti, anche per quelli più pubblicizzati e osannati da pubblico e critica.
Volete un esempio diretto? Allora lasciate perdere 38 Studios e il casino apocalittico combinato da Schilling e compagnia bella. Lì si tratta di gestione partita male, continuata peggio e chiusa in modo atroce, la cui implosione era inevitabile nonostante il talento degli sviluppatori. No, l’esempio che voglio mettere in campo è quello di THQ, per quanto sia una scelta banale e scontata. Una compagnia che ha sempre sfornato prodotti di qualità è affondata praticamente per il fallimento del solo uDraw, un progetto su cui i capissimi avevano investito milioni per ragioni oscure a chiunque sia sano di mente. Nulla è bastato a risollevare il titolo in borsa: non è servita l’entrata in campo di Jason Rubin, inutili le molteplici dimostrazioni di valore degli IP posseduti dalla compagnia, e non è servito neppure un parco titoli futuro maledettamente promettente. Pur salvaguardando i giochi in sviluppo, la società alla fine ha capitolato, e la cosa più terrificante non è la velocità con cui è accaduto, bensì il fatto che una situazione simile potrebbe ripetersi presto su giganti ben più stabili.
Chiaramente una tale direzione non poteva che creare una divisione nettissima tra sviluppatori minori e non, le case indipendenti hanno pertanto cercato la salvezza nella verdeggiante oasi del finanziamento alternativo. Kickstarter è divenuto un faro nella nebbia la cui luminosità pochi potevano prevedere. Un semplice sistema che ha dato modo alle menti più creative dell’industria di fare una cosa che in passato si evitava quasi di sussurrare al di fuori di garage e studi improvvisati, distaccarsi dai publisher. Le piattaforme digitali si sono trasformate in ponti di lancio per titoli praticamente sconosciuti, il passaparola online è riuscito in molti casi a trasformarsi in una macchina propagandistica superiore a pubblicità e sponsorizzazioni strapagate, e più che mai la scena indie è riuscita a delinearsi. Confusionaria, sì, caotica, senza dubbio, ma pur sempre reale alternativa ai grandi nomi, in un “suo piccolo” che tanto piccolo ormai più non è. Mai come nel 2012 il distacco tra questi due mondi si è fatto evidente, ed è per questo che l’immagine del muro mi sembra quanto mai azzeccata. Ma se dal punto di vista economico ormai la distanza è enorme, da quello creativo forse ci può essere ancora comunione tra le parti.
Una stramba sinergia
Mi spiego: da giocatore di vecchia data e palato fino, di anno in anno vengo abituato sempre meglio dalle nuove uscite. Ho visto generi nascere, crescere e mutare, trovate geniali cambiare completamente la faccia del game design, e molte delle più significative le ho vissute sulla mia pelle, spesso con l’espressione ebete di chi ha appena sperimentato una piccola rivoluzione. Vedere tali mutamenti rende arduo accontentarsi, e porta a osservare con un occhio di riguardo qualunque progetto tenti di portare nuove carte in tavola, qualsiasi gioco capace di sperimentare e di esporsi a rischi. Eppure mi è impossibile condannare del tutto chi sceglie semplicemente di perfezionare meccaniche collaudate per assicurarsi il successo, perché sono consapevole che chiedere agli investitori di buttare tonnellate di denaro in un prodotto di nicchia è una follia al giorno d’oggi. Non che la cosa non mi renda triste, sia chiaro, ma ogni tanto la via sicura è quella giusta, ed è possibile sfornare titoli eccelsi anche senza rischiare. Se è vero che tra i tripla A usciti negli ultimi 12 mesi nessuno ha saputo davvero reinventare qualcosa, non si può negare che gran parte delle mosse fatte siano riuscite in pieno. Halo 4 ha rilanciato il multiplayer della serie, eliminando il bloom accentuato e le nuove meccaniche introdotte da Bungie in Reach, Dishonored ha messo in campo un sistema affinatissimo, ma che deriva da Deus Ex e Thief, giochi ancora oggi modernissimi ma con più di qualche ruga. Anche in me, per quanto ben abituato, c’è un piccolo giocatore che ha bisogno di una certa stabilità. Il bello è che tale bisogno non è un oscuro tormento, può tranquillamente convivere con il resto delle mie necessità da gamer, e può farlo proprio per l’esistenza della seconda faccia del gaming, quell’industria indipendente e semi-indipendente dove la creatività può invece sbocciare senza troppi problemi. E’ un posticino felice, da cui possono spuntare piccole perle dedicate agli amanti dello stealth puro come Mark of the Ninja, dove i fan traditi del survival horror possono rifugiarsi in giochi come Amnesia, Lone Survivor e Slender, dove i veterani del gdr old style (presente!) possono supportare un certo Project Eternity e dove la complessità del gameplay può lasciare momentaneamente posto alle viste splendide di Journey o di Unfinished Swan.
La creatività non è morta, si è solo “spostata”, e nulla impedisce agli sviluppatori che ancora devono sottostare alle leggi dell’economia di prendere esempio, rischiare un po’ di più e di venir influenzati da quella massa di modder, amatori e semplici geniacci che ora compongono la scena indie. Devono farlo e i publisher devono lasciarglielo fare. Ne va della loro sopravvivenza, perché la massa di giocatori non core si stanca facilmente, e se non sono bastati il patatrac di Zynga e il ribasso mostruoso delle società mobile a farlo capire ai capoccia ci penseranno le prime bordate in borsa del 2013.
Personalmente ammetto di non essere molto ottimista. Ho visto commettere ai piani alti errori incredibili, derivanti dall’estraneità al mondo dei videogiochi o da genuina incapacità di cogliere i movimenti del mercato e di valorizzare le proprie risorse (ogni riferimento a un paio di società nipponiche con il nome che comincia per S è puramente casuale). Uno spiraglio però c’è: esistono ancora sviluppatori capaci di creare titoli di altissimo livello senza dover necessariamente sperperare una fortuna, e tra i responsabili marketing non mancano coloro che sono stati capaci di adattarsi alle necessità dei videogiocatori, e di rimaneggiare i propri piani di vendita di conseguenza. La tendenza generale è ancora negativa, ma forse non tutto il male viene per nuocere, e i meno furbi sapranno adeguarsi all’andamento del mercato. Se così non sarà poco male, la legge di Darwin è applicabile a tutto, anche all’economia in fondo.
Aspettative di questo tipo mi avrebbero fatto sbiancare qualche anno fa, le avrei viste come un inarrestabile crollo delle fondamenta, ma oggi non è più così. Le realtà alternative si sono fatte troppo poderose, con giochi free to play dall’avanzata inarrestabile, il succitato settore indipendente che sembra esser divenuto la vera anima dell’industria, il pianeta mobile che avanza sempre con costanza, e il gaming pc che zitto zitto quatto quatto ha già abbracciato tutte le caratteristiche desiderate da chi attende senza sosta la next gen. Caduta libera nell’abisso o no, la rete di salvataggio sembra più che sicura insomma.
E per voi cosa ha rappresentato questo 2012? Pensate che le crepe apparse nell’industria siano troppo profonde per essere sanate, o le tante nuove realtà e strategie seguite vi sembrano abbastanza solide da poter trascinare i videogiochi nel futuro? Credete che le super produzioni sopravviveranno, o vedete già ben chiaro in cielo il meteorite che se le porterà via? Discutetene qui sotto, come sempre, e state allegri, che nel 2013 probabilmente spunteranno tante di quelle novità da cambiare ancora una volta completamente faccia al gaming.