L’ascesa dei videogiochi nell’ambito dei settori capaci di generare grandi entrate (come e più dell’ industria cinematografica, ad esempio), ha rappresentato un’occasione colta al volo dai grandi brand per arrivare ad una fascia d’utenza, quella dei videogiocatori, oggi molto variegata e trasversale. Dal connubio tra marketing e videogiochi, dunque, nasce l’advergaming, termine che richiama tutte le varie pratiche che coinvolgono i videogiochi e la comunicazione d’impresa. In questo ambito le strategie più utilizzate sono due: la creazione di branded promotional games e l’in-game advertising. Scopriamone gli aspetti più importanti
Branded promotional Games: “giochini” su misuraAttraverso i branded promotional games l’impresa cerca di diffondere la propria immagine creando un videogioco ex novo. Questo meccanismo si esplica in linea di massima in ambiente online, laddove è possibile provare diversi minigiochi sul sito ufficiale dei maggiori brand come Mc Dondald’s, Axe e Nike, e si basa su diversi meccanismi di sfida. Al di là delle differenze tecniche (la maggioranza dei giochi è programmata in Flash, presenta una grafica in 2D e di certo non segue raffinate dinamiche di gameplay), buona parte di questi minigiochi si basa classici canovacci: per esempio, molti consistono in prove di memoria, sfidando il giocatore nel ricordare una determinata sequenza di eventi, oppure richiedono conoscenze specifiche del prodotto (questo è il caso dei quiz, che possono avere come premio finale proprio il prodotto/servizio oggetto del gioco). L’importante, in questa tipologia di giochi, è inserire il marchio in più contesti possibili: condire l’ultima pietanza di Mc Donald’s nella sequenza corretta ed indicata precedentemente, calciare rigori con le ultime scarpe Nike, testare “su strada” il nuovo bolide proposto dalla Volvo. Questa tipologia di minigiochi, che spesso si configurano come veri e propri browser game, si rivolge soprattutto ad un pubblico casual, in cerca di un passatempo. In molti casi, proprio per questo, i giochi appena descritti sono basati su un sistema di giudizio della prestazione del giocatore tramite un punteggio. La funzione di questo elemento è duplice: stimolare il giocatore nella continuazione del gioco, al fine di “scalare” la classifica dei risultati migliori, e soprattutto invitare un amico a fare meglio. Sotto il profilo puramente videoludico, in ultima analisi, i branded promotional games hanno poco da offrire: il loro scopo, come è facile intuire, è puramente commerciale.
In-game advertising: il videogioco come spazio pubblicitarioIn un certo senso la seconda categoria di azioni di advergaming, l’in-game advertising, è quella che in questa sede ci interessa di più, andando a coinvolgere i videogiochi che ben conosciamo e di cui discutiamo giornalmente su queste pagine. Questa pratica di marketing si basa infatti sull’inserimento di brand all’interno di videogiochi di terzi ed è, storicamente, utilizzata in modo assiduo. Uno dei generi maggioramente complici di questa pratica di marketing è sicuramente quella dei giochi sportivi: solo per fare qualche esempio, nel recente Madden NFL 11, la schermata riassuntiva dei migliori giocatori in campo alla fine del primo tempo era sponsorizzata dalla bevanda energetica Gatorade, quella relativa al migliore giocatore in campo dell’intera partita dal deodorante Old Spice, mentre il riassunto del punteggio si segnalava per la presenza del marchio dalla compagnia telefonica Verizon; per ultimo, il riepilogo delle migliori azioni della partita era sponsorizzato dalle patatine Doritos. Oltre alla presenza dell’immagine relativa al marchio, anche la telecronaca del gioco non mancava di enfatizzare gli slogan relativi ai brand presenti; tra tutti, lo “Smell like a man, man” della Old Spice. Gli esempi non si fermano solo al titolo EA Sports; nell’ottimo NBA 2K11, ad esempio, la schermata relativa alla schiacciata più spettacolare era brandizzata Sprite, mentre quella relativa alle miglior giocate portava il marchio Gatorade; l’half time report, infine, era affidato ad HP. Allo stesso modo nei vari FIFA e PES sono presenti cartelloni pubblicitari di brand realmente esistenti, cosi come sono rappresentati modelli di scarpini dei marchi più prestigiosi; ancora, è possibile rintracciare elementi commerciali in giochi di guida come quelli della serie Nascar e Burnout; proprio Burnout Paradise, uscito nel 2008, nascondeva tra i meandri delle strade di Paradise City un bel cartellone che invitava a votare per il futuro presidente degli Stati Uniti Barack Obama. L’in-game advertising, però, affonda le sue radici in titoli anche molto lontani nel tempo: fin dai tempi del Sega Mega Drive infatti importanti brand come MicroMachines, McDonald’s e Disney inseriscono il proprio brand nei videogiochi; il caso più interessante, in questo senso, è forse quello rappresentato dal gioco FIFA – International Soccer, pubblicato nel 1998 e considerato il capostipite della serie calcistica di Electronic Arts (publisher che, come visto, si è sempre dimostrato molto attivo in questo campo di promozione pubblicitaria). In questo gioco facevano bella mostra, tra i cartelloni pubblicitari, brand come Adidas e Panasonic.Tirando le somme, questo approccio di advergaming è efficace soprattutto nei confronti dei giocatori più attenti ai particolari: in effetti il gioco contenente cosi tanti brand riprende in modo pedissequo quanto succede nella realtà, dove le interruzioni pubblicitarie durante le partite (in special modo negli sport americani quali basket, football, baseball e altro) sono un fatto molto comune; per molti giocatori, infatti, l’obiettivo primario è quello di poter vivere un’esperienza più vicina possibile alla realtà: il fatto di aggiungere gli stessi brand pubblicizzati nella vita reale, dunque, non può che aumentare l’immedesimazione. Al contrario, i giocatori poco attenti o comunque non interessati a particolari di contorno, difficilmente noteranno la presenza dei brand.
L’advergaming è un fenomeno di sicuro interesse, che indica come il mezzo videoludico sia considerato di una certa importanza dai brand più in vista; difficile dire quali sviluppi potrà avere in futuro questa pratica di marketing che, come visto, viene utilizzata da molto tempo, cosi come non è compito di questo speciale dare un giudizio sulla qualità di queste “intrusioni” pubblicitarie durante la fruizione dei videogame. Sta di fatto che, almeno in ambito commerciale, il videogioco assurge a media strategico utilizzato per cercare di arrivare ad una fetta di consumatori, ovvero gli appassionati, che, d’altro canto, si identificano sempre più spesso in individui di età media (e dalla discreta capacità economica), e non in bambini piccoli o individui socialmente pericolosi (cosi come una certa opinione pubblica vorrebbe far credere). L’importante, in ultima analisi, è saper riconoscere il messaggio pubbicitario, e comprendere come questo sia un elemento esterno al gioco (almeno per quanto riguarda l’in-game advertising); acquistare gli stessi prodotti/servizi pubblicizzati, di conseguenza, sarà cosi solo una decisione libera e personale.