Kong: Skull Island

Avatar

a cura di YP

Il fenomeno dei blockbuster sta vivendo una forte e dirompente evoluzione negli ultimi anni, principalmente dettata da quello che il Marvel Cinematic Universe ha messo in piedi ormai nel primo decennio del 2000: un universo condiviso, dove scenari, protagonisti e vicende si intrecciano nell’arco di più pellicole, finendo per creare un grande e gigantesco affresco interconnesso in maniera più o meno riuscita. Visto le enormi potenzialità del MonsterVerse, Legendary Pictures non ci ha pensato due volte: arriva quindi Kong: Skull Island, che assieme a Godzilla (uscito nel 2014) getta le basi per quello che sarà il microcosmo cinematografico più selvaggio e brutale mai visto fino ad ora. Al cinema dal 9 marzo, lo abbiamo visto in anteprima: girato da Jordan Vogt-Roberts e con protagonisti Brie Larson, Tom Hiddleston e Samuel L. Jackson racconta quella che è a tutti gli effetti la genesi del primate più grande di sempre.
King Kong
Dopo una breve introduzione ambientata nel 1944 si passa immediatamente al “presente”, ovvero l’anno di svolgimento del film, il 1973. C’è la Monarch, agenzia governativa che da apparentemente la caccia ai fantasmi (mostri giganteschi, in realtà), che prova ad approfittare della fine della guerra in Vietnam per ricevere un finanziamento utile ad esplorare l’Isola dei Teschi, territorio fino ad allora sconosciuto evidenziato grazie ad immagini satellitari. Passano pochi minuti e si forma la squadra: gli scienziati, l’esploratore, i militari e la fotografa. La sceneggiatura non spende volontariamente troppe forze a sviscerare la psiche o il background dei protagonisti, al contrario ci propone una narrazione banale, liscia e totalmente al servizio della Bestia e degli effetti visivi. Si perché il vero e unico protagonista è Kong, maestoso, forte, irrascibile e -come da tradizione- dal cuore sostanzialmente tenero. Ogni inquadratura serve a rendere onore al lavoro di post-produzione e ad esaltarne gli effetti speciali davvero incredibili: dall’isola passando per i mostri, è tutto bellissimo. Kong e il suo habitat sono una gioia per gli occhi, capaci di accentrare e monopolizzare l’attenzione dello spettatore che rischia di dimenticarsi totalmente delle vicende e dei protagonisti, se non fosse che il terzetto composto da Jackson, Larson e Hiddleston spacca lo schermo, anche se lasciati un po’ in balia di se stessi per via di una scrittura che, come dicevamo prima, trascura volontariamente la vita e i rapporti fra i personaggi. Le movenze dell’enorme Kong poi sono quasi completamente umane: dimenticano in parte le leggi che regolano la coordinazione motoria animale e scelgono così di regalare un impatto visivo decisamente più fluido e quindi spettacolare. In questo senso, le scene di combattimento sono magistrali: anche se realizzate -ovviamente- su scala macroscopica assistiamo comunque a sequenze chiare e studiate apposta per esaltare ogni aspetto di questa produzione che è di ottima fattura, a partire dalla fotografia, che alterna momenti più smorti a piani sequenza dove i colori sembrano voler uscire dello schermo.
Bello ma non troppo
Kong è un prodotto straordinariamente confezionato, che punta sui cavalli giusti e li esalta nel modo migliori. Vogt-Roberts ha capito perfettamente su cosa deve basarsi un monster movie di queste dimensioni, e dimentica in parte l’umanità dei protagonisti per riversarla tutta nella psicologia della Bestia, che nonostante usi versi e movimenti per comunicare è comunque molto empatica. Certo, con un cast come questo si poteva forse osare di più, cercando addirittura di stabilire un nuovo standard per il genere, ma tant’è che senza questi attori il film non avrebbe lo stesso impatto che in realtà ha. Il difetto più grande della pellicola è quello di ricalcare un modello ormai ben noto, blockbuster americano con tema centrale la guerra, pieno di clichè e aspetti trattati superficialmente che rischiano di scoraggiare l’entusiasmo di occhi più attenti ed esigenti. Lo stereotipo del soldato conquistatore e cinico che si scontra con la bontà umana è quanto di più abusato si possa trovare in film del genere (Avatar, per esempio) e compromette in parte l’ottimo lavoro fatto su effetti speciali, design dell’isola e caratterizzazione non solo di Kong, ma anche del resto dei mostruosi abitanti di Skull Island. Un film divertente dunque, che genera la giusta curiosità per quello che sarà lo scontro del secolo (Kong vs Godzilla) e che apre la strada al MonsterVerse: un’operazione che ha certamente il suo fascino e le sue motivazioni, e di cui le fondamenta sono solide ma non esenti da difetti.

Kong: Skull Island è la perfetta incarnazione del blockbuster contemporaneo: punta tutto sulla spettacolarità che ama circondarsi di grandi attori al suo servizio. Il risultato è un film divertente, visivamente impattante e sicuramente empatico per chi ha un certa debolezza nei confronti degli animali, anche in questo caso vittima dell’ingordigia dell’uomo. Kong è maestoso nonché vero e unico protagonista di una pellicola che inaugura a tutti gli effetti il MonsterVerse di cui farà parte anche Godzilla.

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