La storia sottesa a Kingsman è il più tradizionale dei viaggi dell’eroe: un giovane scapestrato e ribelle, ma con eccellenti potenzialità (Taron Egerton), viene preso sotto l’ala protettiva di un mentore, un agente segreto appartenente alla misteriosa organizzazione dei “sarti” Kingsman (Colin Firth), il quale ha il compito di formarlo e addestrarlo in vista dello scontro finale con il villain di turno (Samuel L. Jackson), che – come da tradizione – è uno psicopatico, con in mente il più brutale e diabolico dei piani.
Tinteggiato di colori squisitamente pop e impregnato di battute al limite del politically correct e del surrealismo, Kingsman: Secret Service conferma le (buone) intenzioni di Vaughn di “svecchiare” e dare nuova linfa vitale ad un genere che, a parte qualche rara eccezione – gli ultimi Bond e La Talpa di Tomas Alfredson – ha vissuto i suoi fasti principalmente in decadi passate. E non è un caso che per l’occasione, quasi a voler crearne un continuum ma al tempo stesso una frattura con la tradizione, Vaughn si serva proprio di attori impeccabilmente british e già noti al genere spy, quali Colin Firth (La Talpa, appunto) e Michael Caine (indimenticabile il suo ruolo nei panni della spia Harry Palmer, nato dalla penna di Len Deighton, interpretato per anni dal noto attore britannico in diverse pellicole, a partire da Ipcress di Sidney J. Furie). Interpreti, Firth e Caine, cui si contrappone la doppietta perfetta di protagonisti in da ghetto, Eggsy (Egerton) e Valentine (Jackson), caricaturizzati al limite dell’eccesso e i cui tratti sono più vicini alla cultura fumettara americana, per enfatizzare e creare un dinamico e insolito dualismo.
In un turbinio di citazioni volutamente irriverenti – da My fair lady a Planet Terror, passando per Unbreakable – Il predestinato di M. Night Shyamalan, in cui lo stesso Jackson interpretava lo strano ruolo del villian/not villian – la pellicola di Vaughn è un continuo rollercoster, in cui la macchina da presa – grazie ai particolari tagli delle inquadrature – ricrea situazioni visive simili a quelle di un fumetto d’annata, ma con il ritmo tipico delle spy-story. Con una fotografia volutamente al limite della saturazione cromatica, Kingsman imprime alle situazioni narrate un brillante livello di iper-realismo, ancora una volta tipico da fumetto, ma anche del genere spy-story, con oggetti di uso comune (da ombrelli a penne) trasformati in armi letali.
Se l’unico limite della pellicola di Vaughn risiede nella sua eccessiva lunghezza e da una trama abbondantemente diluita, Kingsman: Secret Service si rivela un’interessante boccata d’aria fresca, mixando tra loro e senza remore due generi (il movie super-hero e la spy-story) che da sempre hanno avuto punti di tangenza (una spia, alla fine, altro non è che una versione “normalizzata” di un super-eroe!), ma che forse nessuno aveva mai avuto il coraggio di contaminare. Ma per questo, fortunatamente, c’è il buon vecchio Vaughn.