Finalmente Iron Fist. Dopo Daredevil, Jessica Jones e Luke Cage, Netflix porta nelle nostre case Pugno d’acciaio. Come ben saprete, Iron Fist sarà l’ultima serie dedicata ad un singolo personaggio prima del grande crossover sui Defenders.
Il ritorno di Robinson Crusoe
Come in ogni buon libro di avventura, il naufrago torna a casa e scopre che i lupi hanno già banchettato sulla sua carcassa. Così come Bilbo Baggins trovò i suoi mobili venduti all’asta, allo stesso modo Danny Rand trova la compagnia di famiglia, la Rand, in mano ai figli del socio d’affari del padre.
Danny è scomparso quindici anni prima in seguito ad un disastro aereo. In tutto questo tempo, il ragazzo si è allenato, insieme a dei monaci, nel Kung Fu diventando l’Iron Fist. Tornato a casa, Danny deve fare i conti con la diffidenza dei due ragazzi che più amava quando era un timido bambino: Joy e Ward Meachum, amministratori della Rand e figli del migliore amico dei genitori di Danny, Harold. Naturalmente i due non credono alla vera identità di Danny e tentano in tutti i modi di ostacolarlo.
L’unica a dare una chance al giovane Danny è Colleen Wing, sensei del dojo Chikara. Ma non tutto è come sembra e oscure forze si annidano nel cuore della Rand e dietro Ward Meachum.
A Fist made of Iron
Iron Fist non è mai stato uno dei personaggi principali della Marvel. Se parlate con un qualsiasi fan occasionale della Marvel difficilmente saprà riconoscere Danny Rand nella miriade di personaggi secondari della Casa delle Idee. Netflix, invece, ha deciso di puntare sulla figura dell’uomo dal pugno d’acciaio, con risultati altalenanti. Si perché se Iron Fist risulta un serial godibile, presenta alcuni punti deboli che, ai nostri occhi, risultano decisamente palesi. Partendo da un punto strettamente visivo, Iron Fist, per la maggior parte delle volte, è incredibilmente zoppicante sugli scontri corpo a corpo. Le coreografie sono mal pensate e mal orchestrate e, a volte, sembra di vedere quasi uno slow motion. Più di una volta il tutto è sembrato falso e gli effetti speciali, in molti casi, sembravano quelli di almeno dieci anni fa. Sicuramente il budget non è stato quello di Daredevil.
La scrittura di alcuni episodi, invece, è davvero macchinosa e forzata. Alcune scelte narrative sembrano voler spingere alcune questioni, di prepotenza, all’interno della storyline principale. Il triplo switch di villain è risultato, così come per Luke Cage, deleterio e controproducente. Se c’era una cosa che funzionava perfettamente in Daredevil e Jessica Jones era il cattivo. Kingpin e Killgrave sono due villain che hanno tenuto su le due serie, grazie anche al carisma di due attori del calibro di Vincent D’Onofrio e David Tennant. Forse, uno dei problemi principali delle serie Marvel/Netflix è proprio questa: la mancanza di villain all’altezza del compito: mettere l’eroe in difficoltà, renderlo umano fino in fondo provando a spezzarlo è uno dei tratti principali degli antagonisti del MCU. Perché come in Luke Cage, anche Iron Fist non ha un “cattivo” ben definito fin dall’inizio ma ne aggiunge col passare delle puntate: da Madame Gao, passando per Bakuto e arrivando infine a Harold. Proprio il passaggio tra Gao e Bakuto è un qualcosa che, agli occhi di molti, è sembrato un qualcosa necessario ad allungare il brodo e arrivare al numero canonico di puntate. Un peccato, perché, con un minor numero di episodi e una scrittura più compatta, Iron Fist avrebbe potuto tranquillamente rivaleggiare con Daredevil; la storia rimane comunque interessante e, in alcuni punti, molto appassionante.
Occorre menzionare, come punto a favore, l’ottima interpretazione di Finn Jones che, dopo vari ruoli minori o da comprimario, ottiene la sua prima parte principale in Universo Cinematografico importante come quello Marvel. Il Danny Rand cinematografico è molto simile alla controparte fumettistica e rende perfettamente giustizia al personaggio di Iron Fist. Lo stesso vale per David Wenham nei panni di una delle nemesi storiche del Pugno d’Acciaio, Harold Meachum, villain finale della prima stagione.
Molto apprezzati, anche, i punti di collegamento tra le varie serie Marvel/Netflix, in modo da creare quell’unità e quella coesione all’interno del miniuniverso dei Defenders. Ovviamente torna il personaggio di Claire Temple/Night Nurse e con lei l’avvocato Jeri Hogarth. Proprio quest’ultima funge da collegamento con Jessica Jones che viene citata anche da Joy, indirettamente, che parla di una investigatrice privata molto brava se sobria.
Contrariamente a quanto riportato dalla stampa estera e dalla critica d’oltreoceano, la mia opinione su Iron Fist rimane, comunque, abbastanza positiva. La storia in sé fila via liscia e alcune storyline secondarie funzionano: quella di Colleen e il rapporto travagliato tra Harold, Joy e Ward. Come già precisato, la serie non è per niente al livello di Daredevil che, in ogni caso, ha un ventaglio di nemici e alleati decisamente di altro livello. Punisher, Elektra e Kingpin godono di ben altra fama e visibilità rispetto ad Harold Meachum, Kilgrave e Cottonmouth. A volte si ha quasi la sensazione che Daredevil sia il vero protagonista del miniuniverso Netflix con gli altri tre Defenders a fare solo i comprimari.
Il cliffhanger finale, nonostante tutto, è stato ben pensato e telefonato più di una volta nel corso delle puntate: l’Iron Fist è il protettore della porta per K’Un-Lun e non esserci stato potrebbe aver causato un problema gravissimo. Che sia questo il pretesto per il team up dei Defenders?