Nel nostro primo speciale abbiamo definito cosa si intende per crowdsourcing, e quali sono le implicazioni che questo modello di problem solving ha nei videogiochi. In questo secondo articolo dedicato al fenomeno in questione, allora, analizzeremo brevemente uno dei pilastri su cui si fondano le dinamiche di collaborazione tra sviluppatori, publisher e giocatori. Andiamo a scoprire, dunque, il ruolo dell’intelligenza collettiva dei gamer.
Problematiche esistenzialiCapire cosa sia l’intelligenza collettiva senza scomodare autori e libri è abbastanza semplice, specie se ci si rifà ad esempi relativi al mondo videoludico. Di base, questo fenomeno illustra come un gruppo di problem solver scelti a caso superi, per qualità delle decisioni prese, le scelte del miglior problem solver disponibile. Pensiamo ad un caso concreto: se si chiede a un migliaio di persone di terminare Super Mario Bros. in meno di cinque ore, il tempo medio fatto registrare non supererà il record attuale (che è di 4:57.260, per la precisione); si tratterà, piuttosto, di un tempo molto più alto, mediocre. Se si chiede a un centinaio di persone di prendere una decisione o di replicare a una domanda, invece, la risposta media sarà buona almeno quanto quella del membro più intelligente del gruppo. A questo proposito, pensiamo ancora ai videogiochi, e immaginiamo che un qualsiasi giocatore sia bloccato in un livello particolarmente ostico. Quando ero piccolo, ad esempio, ricordo chiaramente di essere rimasto bloccato per giorni nel secondo stage di Michael Jackson’s Moonwalker per Sega Mega Drive; nel gioco, bisognava andare a scovare delle bambine nascoste nei posti più strani come bagagliai delle auto e cabine telefoniche. In questo particolare livello, le mie decisioni si erano dimostrate sbagliate, in quanto non avevo avuto l’intuizione giusta, che era quella di andare a rovistare tra i bidoni dell’immondizia. Un giorno, giocando insieme ad alcuni amici, invece, venne fuori la decisione di andare a mettere il naso anche negli infami bidoni; uno dei questi, ovviamente, conteneva la bambina tanto preziosa. La lezione è che in molte situazioni, la media delle azioni di un gruppo di persone rappresenta la mediocrità. Quando si parla di decisioni, invece, la collettività può rappresentare spesso l’eccellenza.Capire perché questo meccanismo sia alla base del crowdsourcing videoludico è semplice: nel momento in cui un publisher o uno sviluppatore chiede ai giocatori di contribuire, quella che gli utenti della rete compiono è proprio un’opera decisionale collettiva, che difatti avviene anche involontariamente; facciamo ancora una volta un esempio, e immaginiamo per assurdo l’esistenza di un giocatore con in mano tantissimi fondi da spendere in finanziamenti nel crowdfunding. In questo caso, è perfettamente plausibile pensare che alcuni degli osannati giochi usciti grazie a Kickstarter non avrebbero visto la luce, perché i titoli finanziati dal ricchissimo giocatore sarebbero stati solo quelli appartenenti ai suoi generi preferiti. La media dei giudizi dei giocatori, invece, ha fatto sì che il crowdfunding abbia fatto emergere i titoli migliori appartenenti alle tipologie più disparate, dai giochi di ruolo alle avventure grafiche.
Insieme siamo tutti più intelligenti?L’idea di fondo, dunque, è che la vera forza del pubblico di giocatori impegnati nel crowdsourcing risieda nella capacità collettiva di prendere decisioni corrette. Ma è veramente sempre così? In qualche modo sì, specie se si allargano le maglie dell’analisi e si vanno a comprendere vari fenomeni di collaborazione tra chi gioca e chi crea. Pensiamo al caso che più di ogni altro fa risplendere l’intelligenza collettiva dei giocatori: la creazione di mod e patch amatoriali. Facciamo ancora un esempio, partendo dall’identificazione del problema di fondo: i contenuti sviluppati dai creatori di un dato videogioco sono scarsi, e dunque vanno aumentati. Mettiamo il caso che lo sviluppatore non possa distribuire più materiale, a causa di vincoli tecnici, economici, promozionali, di marketing o per qualsiasi altra ragione possa venire in mente; l’unico aiuto dato agli utenti è, allora, la distribuzione di tool di sviluppo, con i quali in sostanza gli sviluppatori lasciano nelle mani dei giocatori il problema di ovviare alla scarsità di contenuti attraverso la creazione di nuovi elementi. Non stiamo parlando del caso di mod in qualche modo professionali come Enderal, produzione dedicata a Skyrim dietro alla quale si cela una realtà lavorativa (seppur non commerciale) come lo studio tedesco SureAI; quello su cui vogliamo volgere l’attenzione sono le produzioni più amatoriali, possibili esclusivamente grazie alla collaborazione tra utenti in ambiente online. Fin dai primi anni ‘2000, ad esempio, molte edizioni di titoli annuali come quelli della serie FIFA hanno potuto contare su numerose superpatch realizzate dai giocatori; in queste lavorazioni, l’unione dei giocatori specializzati in diversi settori ha portato all’aggiunta di nuovi elementi grafici, rose aggiornate e addirittura all’introduzione di nuove feature o campionati. Questo dimostra come il crowdsourcing videoludico, almeno nell’accezione in cui viene trattato in questo articolo, sia fenomeno tutt’altro che recente, e che da sempre è andato ad adoperarsi per ovviare alle mancanze degli sviluppatori; in un’epoca dove le connessioni internet non erano velocissime, e gli aggiornamenti periodici delle rose non erano proprio all’ordine del giorno, ecco che l’intelligenza complessiva dei giocatori aveva trovato il modo di superare alcuni problemi critici.
Non solo gioconiConsiderato che uno dei requisiti del crowdsourcing è quello di disporre di una larga quantità di utenti a propria disposizione, di modo che il problema da risolvere sia divisibile in piccoli compiti, potrebbe sorprendere sapere che la grandezza della platea di un determinato gioco non è un fattore così determinante, almeno tenendo conto delle dovute proporzioni. Al contrario, è proprio in alcuni titoli più di nicchia che l’opera complessiva dei giocatori, insieme alla collaborazione delle software house, può portare alla risoluzione di problemi. L’ultimo esempio di mod da intendere come manifestazione dell’intelligenza dei giocatori viene così da un altro titolo sportivo, ovvero la serie di Pro Cycling Manager di Cyanide. Si tratta di giochi evidentemente non molto conosciuti al grande pubblico, ma capaci di raccogliere uno zoccolo duro di utenti appassionati. Ogni anno, alcuni giorni dopo l’uscita della release annuale, i più importanti portali di riferimento rilasciano quelli che vengono definiti expansion pack, ovvero collezioni consistenti di miglioramenti grafici e aggiunte al database, che difatti ridefiniscono l’esperienza di gioco. L’insieme dei giocatori senza particolari abilità specifiche, in collaborazione con la stessa software house, che provvede a distribuire programmi gratuiti e materiale grafico di vario tipo, raggiunge così traguardi che la bravura dei singoli sviluppatori non ha saputo (o potuto, considerati vincoli finanziari e legali) eguagliare. Se un solo giocatore avesse provato a risolvere il problema della scarsità di contenuti il risultato sarebbe stato mediocre; la collaborazione tra decine di autori di magliette, curatori del database e creatori di nuovi stage ha invece riaffermato l’importanza dell’intelligenza collettiva.
La collaborazione tra giocatori, come visto, può arrivare a creare le condizioni necessarie affinché l’azione combinata degli utenti possa andare a risolvere le problematiche poste da sviluppatori e software house. L’intelligenza collettiva è alla base del crowdsourcing videoludico, ed è fenomeno estremamente diffuso, spesso involontario o che si manifesta in maniera indiretta e poco visibile. L’azione primaria dell’intelligenza collettiva è quella, dunque, della creazione di soluzioni e contenuti: tutto ciò, come si può intuire, porta a un flusso di informazioni e dati la cui gestione, soprattutto da parte di sviluppatori e publisher, può portare a risultati e successi inaspettati.