Una storiella da bar, per far ridere. E’ questo l’unico posto che i videogiochi possono avere nel mondo degli Sport. O perlomeno questo è quanto ha affermato Giovanni Malagò, presidente del Coni, in prima serata su Rai 1 ospite del programma Che Tempo che Fa di Fabio Fazio. Una dichiarazione che, al contrario di quanto successo, sembra invece presa da una conversazione da circolino tra gente di una certa età, che fa battute immotivate sulla vita da quartiere, tra un bicchiere di vino e una fetta di salame.
Un pregiudizio frutto della “saggezza” popolare, che non conosce e denigra, che parla e non si interroga. Esattamente come quotidianamente gran parte del Web vive il suo contatto con la disinformazione. “Erediterà anche i videogiochi. Come se la cava con gli Space Invaders?” (risatina) oppure “Nel mondo questi videogiochi li giocano milioni di ragazzi. E’ tutto sbagliato!”: questi sono i demoni che cercano di combattere con l’apparente superiorità di un adulto che giudica l’adolescente ribelle senza chiedergli nemmeno come sta. Poi, ad un tratto, tra uscite da cabaret e battute, cercano di parlare seriamente del videogioco: come un problema, come un vizio da arginare, come un sistema da controllare, come un Moloch a cui mettere le briglie. Ed ecco che uno sforzo comune dei media, dei ragazzi che lavorano in questo settore, e di tutti quelli che riconoscono nel videogioco di più di un’immagine malevola a schermo, cerca di essere goffamente soffocato da chi parla di videogiochi per sentito dire, e dimentica il metodo sperimentale come base delle proprie argomentazioni.
Quello che infastidisce, però, non è l’allontanamento da un risultato. Personalmente non penso che introdurre i videogiochi alle Olimpiadi possa essere la giusta strada per questo settore. Ma è la forma con cui il messaggio passa al grande pubblico della TV, in larga parte altrettanto disinformato; ovvero tramite un esercizio del proprio ruolo di “auctoritas”, e di presidente del Coni, esteso su competenze tecniche che non c’erano.