I record di Steam, quando scoppierà la bolla?

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Avrò letto almeno una decina di articoli in questo inizio anno che partivano con un elogio al 2017 videoludico, e chi sono io per tirarmi indietro? Quindi: il 2017 bla bla bla, Super Mario Odyssey bla bla bla, Persona 5 bla bla e via dicendo. L’indubbio livello qualitativo degli scorsi dodici mesi ha anche un lato oscuro, vale a dire l’elevato numero di titoli finiti nel dimenticatoio, o perché facenti parte di un genere fin troppo saturo, o perché azzoppati da errori e demeriti propri o vittime di scelte errate da parte dei publisher. Sniper Ghost Warrior 3, Yooka-Laylee, Mass Effect: Andromeda, For Honor, Tom Clancy’s Ghost Recon Wildlands e la lista dei nobili caduti potrebbe andare avanti ancora per un bel po’: la verità è che l’attuale generazione non ha precedenti in quanto a varietà e qualità media, ma l’industria videoludica è diventata un enorme Maelstrom che inghiotte e fa sparire nel nulla la gran parte delle sue stesse, infinite, produzioni. Se c’è un luogo che ben esemplifica questo concetto, quello è senza ombra di dubbio Steam, una macchina continua di record, dove ogni giorno aumenta sia il numero di giocatori presenti sulla piattaforma, sia il numero di titoli a disposizione nel catalogo digitale. Si fa però fatica a definire lo store digitale di Valve come una macchina perfetta, anzi, l’interfaccia è oramai obsoleta, non vi è quasi alcun controllo qualità e divincolarsi fra le migliaia di opere contenute nel negozio è una vera impresa titanica: questo problema non vale solo per noi giocatori, ma tocca soprattutto chi i videogiochi li sviluppa, soprattutto i team di modeste dimensioni e con risorse limitate, che devono scontrarsi contro una marea di produzioni dal dubbio senso. Questo articolo andrà quindi ad indagare due aspetti: il primo è l’anno di Steam dal punto di vista numerico, il secondo sarà invece uno spazio dedicato proprio a tre sviluppatori italiani e al loro punto di vista sullo stato attuale della piattaforma di Valve e alle difficoltà che esso comporta.

Mai così grande

Purtroppo Valve non diffonde in modo approfondito i dati riguardanti Steam e attualmente l’unica fonte abbastanza attendibile è SteamSpy, tool di analisi e sito fondato da Sergey Galyonkin, il quale fornisce svariati database – titoli pubblicati in un anno, prezzi, publisher, utenti che possiedono il gioco X – che possono essere sfruttati per capire meglio la situazione di Steam. Occorre comunque precisare che i dati contenuti in SteamSpy non sono precisi al 100%, ma per l’analisi che seguirà sono più che sufficienti e attendibili. Il numero dei giochi pubblicati nel corso di questo 2017 è uno tra i fatti accertati: stiamo parlando di 7674, cifra che potrebbe abbassarsi di qualche unità eliminando nomi “anomali”, come Vegas Pro e un paio di GameMaker Studio, ma il concetto non cambierebbe: Steam è esploso negli ultimi dodici mesi. Nel caso non vi sia sufficiente la cifra assoluta, 7674 equivale a circa 640 giochi nuovi ogni mese o, se preferite, 21 giochi nuovi ad ogni sveglia. In realtà la crescita avviene a ritmo serrato già da qualche anno a questa parte, se si pensa che nel 2015 i giochi pubblicati erano stati circa 3000, cifra che è cresciuta fino a 5018 nel 2016 per poi arrivare ai famosi 7674 dello scorso anno.
L’aumento è stato però tutt’altro che costante e la curva ha avuto un’impennata quando, a metà giugno 2017, Valve ha sostituito Steam Greenlight con Steam Direct, un sistema ancora più veloce per far arrivare il proprio gioco sul catalogo per gli sviluppatori, senza la necessità che questo venga votato dalla community, un meccanismo che ha mostrato parecchie falle sul fronte del controllo qualità. Il grafico che riporta l’andamento mensile delle pubblicazioni è abbastanza autoesplicativo ed è facile vedere come, a partire dalla scorsa estate ci sia stata una vera invasione da parte di nuovi titoli: agosto, settembre e ottobre hanno contribuito ciascuno all’approdo di oltre 800 titoli, mentre a giugno le pubblicazioni erano state solo – si fa per dire – poco più di 400. 
Al di là delle mere cifre, questo ha avuto un ovvio impatto sulla qualità media di ciò che viaggia su Steam, notoriamente non proprio elevatissima, ma che ora sfiora davvero il ridicolo. Una prova concreta dello sbilanciamento tra opere meritevoli e mera spazzatura è il confronto tra la percentuale di giochi che hanno ricevuto un qualsivoglia voto e tutti gli altri che sono passati senza lasciare alcuna traccia. Considerando come voto sia il Metactritic – stampa o user – sia le recensioni di Steam, nello scorso anno solo il 22% delle pubblicazioni ha ricevuto una valutazione, mentre il restante 78% è passato inosservato. Questa proporzione può tuttavia non essere corretta ed essere sbilanciata a causa dei tempi necessari a SteamSpy per assorbire i dati provenienti dal negozio virtuale e, visto che sono ottimista, sono sicuro che i titoli di fine dicembre non dovrebbero essere inseriti in questa considerazione. Al di là di queste sporcature, osservando il trend degli ultimi tre anni appare comunque chiaro l’abbassamento qualitativo dei titoli presenti su Steam: nel 2015 i “senza voto” erano infatti il 49%, poi sono diventati il 62% nel 2016, fino a mangiare quasi l’80% dello store nel 2017. Ancora una volta queste cifre vanno pesate: un gioco presente da tre anni sul catalogo è facile che abbia avuto una recensione nel corso del tempo, ma è altrettanto vero che, o un lavoro viene visto e valutato nei primi mesi della sua vita, oppure sparisce per sempre nel dimenticatoio. 
Il fatto che su Steam ci sia davvero troppa carne al fuoco e anzi, spesso ci sia più fumo che arrosto, è cosa assodata, così come è vero che un gioco appena lanciato – e che non faccia parte della stretta cerchia dei soliti noti – entri in un vero e proprio rat race, una lotta disperata per quel poco ossigeno a disposizione. Qualche anno fa si parlava di indiepocalypse – tipo qui, qui e ancora qui – e, nonostante qualche scetticismo – ancora una volta qui – pare che questo fenomeno di erosione degli spazi sia sul serio in atto. Il crescente numero di utenti presenti su Steam, che si aggira oramai attorno a quota 70 milioni, con una crescita media di un milione e mezzo di nuovi iscritti per ogni mese – questa volta qui – non riesce infatti a riassorbire il volume mastodontico del catalogo di Steam. Come è apparso di recente su Ask a Game Dev (grazie FP e Brunodinoi Ndr.): “For the statistically-inclined, there were 5018 games added to Steam in 2016, with an average of 73,000 copies owned per game and a median of 10,000 copies owned per game (meaning that the big sellers skewed the numbers a lot). In 2017, there were 7674 games added to Steam, but the average and median dropped – 47,000 average copies per game owned, and only 4,000 median copies per game owned”. Senza nemmeno tradurre letteralmente, è chiaro come gli spazi nel mercato videoludico siano sempre più stretti. Se per noi giocatori l’affollamento di Steam – ma un po’ di tutti gli store digitali – è principalmente una rottura e fonte di infiniti scroll, per chi i videogiochi li sviluppa e ci campa è un problema ben più serio: quanto è reale l’indiepocalypse, fenomeno che in realtà non tocca solo i piccoli team di sviluppo? Quale è la reazione davanti a questi numeri? Cosa può fare Steam per “aiutare” le produzioni meritevoli ad uscire dalla melma? È un problema reale? C’è modo per fermare il treno? Queste domande sono state girate rispettivamente a Daniele Monaco, dev di Picaresque Studio e in procinto di pubblicare Nantucket, la loro prima opera, Matteo Sciutteri di RunHeads Studios, team alle spalle di Fall of Light, interessante Souls-Like isometrico pubblicato lo scorso autunno e Mattia Traverso, autore di FRU, noto per esser stato uno degli ultimi giochi – forse anche uno tra i migliori – ad aver sfruttato il Kinect..

La parola ai dev

I numeri di Steam sono reali e preoccupanti ma, con un po’ di sorpresa, la crescente quantità di titoli presenti sullo store non viene avvertita come una catastrofe imminente. Secondo Daniele Monaco: “Medie e mediane si sono abbassate, ma anche la qualità dei giochi in uscita su Steam, quindi non è detto che ci sia un’indiepocalypse, ma forse semplicemente si tratta della fine dell’era d’oro di Steam, in cui c’erano molti utenti e pochi giochi, e il solo “essere su Steam” ti garantiva una visibilità enorme”. Con parole leggermente diverse, anche dal pensiero di Matteo Sciutteri emerge un sentimento simile: “Da sempre il mondo dei videogiochi è un mondo dinamico, le cui regole cambiano anche drasticamente nel giro di 4-5 anni…  Nel 2017 sono stati 8000,  nel 2016 5000 e nel 2018 usciranno 10000 giochi, tutti spinti dal miraggio del “Undertale ha venduto milioni! Quindi Steam è una piattaforma dove posso diventare miliardario!”, che è una gran stupidata, se uno sviluppa un gioco pensando di vendere un milione di copie (specifico: se quello è il suo business model), finirà sotto un ponte. End”. Forse non sarà quindi la fine dei videogiochi indipendenti e delle produzioni medie, forse la scomparsa di alcuni studi durante lo scorso anno non è stata causata semplicemente da altre motivazioni, ma è innegabile che Steam e gli altri store digitali abbiano dei seri problemi e che per far fronte a queste falle sia necessario cercare la soluzione oltre ai loro confini. Sempre Daniele Monaco: “Si deve lavorare molto fuori da Steam, attirare l’attenzione della stampa, saper coinvolgere youtuber e twitcher, costruire una community dall’inizio. Dal canto suo Steam deve continuare il lavoro di cura del negozio, deve aumentare gli sforzi e fare in modo che ogni utente abbia in front page solo giochi che giocherebbe. Deve fare ancora tanto lavoro visto che ieri mi consigliava Clicker Heroes perchè ho giocato a Nantucket”. Ricollegandosi al concetto precedente, anche Matteo Sciutteri prosegue su una linea simile: “A una certa, questo “mito” del successo facile su Steam finirà. La gente si accorgerà che non è così e quindi un sacco di sviluppatori porteranno la loro roba altrove. A meno che Valve non cambi qualcosa. Ci sta provando, solo che ogni scelta di Valve peggiora la situazione, invece di migliorarla. Togliere Greenlight aveva senso, mettere Steam Direct è stato un errore madornale”. 

L’evoluzione democratica del videogioco

Il punto di vista di Mattia Traverso è invece leggermente diverso e va in controtendenza rispetto al concetto di indiepocalypse, soprattutto se questo “giorno del giudizio” lo si vede in relazione ai tanti titoli di dubbia qualità che invadono Steam. Secondo Mattia, la piattaforma di Valve riesce infatti a filtrare in modo adeguato i suoi contenuti in base ai gusti del giocatore e, in tal modo, ad oscurare il superfluo: la realtà è che ci sono invece tantissimi giochi di ottima fattura, oltre duecento nel 2017, ma facendo la media di due titoli giocati al mese, una buona fetta di queste produzioni non viene riassorbita dall’utenza. Il caso che meglio esemplifica quanto detto è The End is Night, di Edmund McMillen, nome ben noto nel panorama indipendente, a cui non è però bastata la fama per vendere in modo sufficiente la sua opera, passata tra l’altro sottotraccia nel corso del 2017. Secondo il suo punto di Mattia, è quindi impossibile avere allo stesso tempo una democratizzazione del medium – ora più aperto e accessibile dal basso – e mantenere i livelli di vendita di 5 o 6 anni fa, dove era molto più semplice emergere, vista la scarsa concorrenza: questo fenomeno non è però sinonimo di indiepocalypse, ma solo di maggiore settorializzazione, dove i team di sviluppo devono essere bravi a cercare la loro nicchia di riferimento, un po’ come accade nel mercato dell’arte, perché “sparare nel mucchio” o apparire su Steam non è più sinonimo di successo e non è sufficiente per garantire adeguate vendite. Ritornando a quanto potrebbe far Valve per migliorare il proprio store, pur riconoscendone le imperfezioni, sarebbe una pura utopia sperare in un cambiamento dall’oggi al domani, perché l’azienda di Bellevue non può in alcun modo correre dei rischi e fare delle scelte affrettate nel cambio degli algoritmi, penalizzando magari quelle produzioni che fruttano incassi spaventosi, come attualmente PUBG. Insomma, il futuro prossimo non sarà così roseo come appariva negli anni del boom e dai frame di Indie Game the Movie, ma nemmeno così nefasto come traspare da alcuni segnali d’allarme: “La sfida più complessa per un indie è capire come posizionarsi, dove, con che time to market e con quale prodotto, è tosta, ma, se sei bravo (o, banalmente, se capisci come funziona questo mestiere), ce la puoi fare.” conclude Sciutteri. 

Il 2017 di Steam è stato l’anno dei record, il numero dei giocatori è esploso grazie a fenomeni come PUBG e allo stesso tempo i titoli pubblicati hanno raggiunto delle cifre impensabili fino a qualche anno fa, senza contare l’abbassamento della qualità media. Questi segnali propongono molti spunti di analisi e sembrano in parte confermare i timori che sviluppatori e publisher hanno etichettato anni fa con il termine indiepocalypse, cioè la crisi dei videogiochi indipendenti e delle produzioni di fascia media. Se da un lato le preoccupazioni sono condivise ed è evidente che Valve dovrebbe fare qualcosa per por freno – o quanto meno limitare la visibilità – ai titoli “spazzatura”, d’altro canto emergono, dalle parole di chi i videogiochi li sviluppa, delle prese di coscienza: i tempi delle vacche d’oro sono finiti e occorre quindi lavorare sempre di più per emergere in un mercato saturo, non solo pubblicando il proprio lavoro su Steam, ma indirizzando gli sforzi anche verso il marketing e il passaparola su YouTube e i social. Queste speranze non sono condivise solo dalle software house, ma anche noi giocatori ci auguriamo che nel futuro prossimo le piattaforme digitali propongano una migliore interazione, filtrino più accuratamente i contenuti e agiscano sempre di più in direzione di una maggiore personalizzazione.

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