Hardcore!

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Il pensiero comune di chi ha visto il film al cinema è stato tanto semplice quanto scontato: Hardcore! è il naturale anello di congiunzione tra cinema e videogiochi. Almeno nelle intenzioni, il film di Ilya Naishuller fa di tutto per presentarsi come il ponte ideale tra queste due forme di intrattenimento, creando una commistione tra estetiche e tecniche registiche che appartengono di fatto a entrambi i media. Da questa sperimentazione, a tratti ardita, ne esce fuori un prodotto che presenta soluzioni per certi versi nuove, capaci potenzialmente di spianare la strada a un nuovo modo di dirigere le pellicole ad alto tasso d’azione: attraverso la visuale in soggettiva, dall’inizio alla fine, dando la sensazione allo spettatore di essere il vero protagonista. Le insidie di questa scelta registica sono però tante, e possono talvolta influire sulla qualità finale dell’opera.
First Person Action
La prima parte di Hardcore! è ambientata all’interno di un laboratorio che fluttua sui cieli di Mosca. Al suo interno si trova Henry, privato di un braccio, una gamba, alcuni organi interni e della propria memoria. Riportato in vita da colei che di dichiara di essere sua moglie, Henry beneficia di alcuni innesti cibernetici che lo rimettono in sesto, riportandolo a una condizione di vita surrogata ma comunque degna di essere vissuta, dove la rincorsa al recupero dei ricordi si mescola all’impellente necessità di fermare un pericolo concreto ed enorme qui identificato col folle personaggio di Akan. Nonostante l’incipit ricordi con prepotenza il primo Robocop di Paul Verhoeven, Hardcore! prende ben presto le distanze da quel film, incanalandosi sin dai primi istanti in quello che può essere definito un crocevia di situazioni ad alto tasso di pericolo, che si traducono in scene sincopate, rapide, assurde. E tutte vissute attraverso gli occhi di Henry, privato della voce a causa del mancato innesto di un modulo dedicato alla parola, che lo costringe di fatto a essere un involucro che lo spettatore è costretto a indossare. L’escamotage adottato per mettere in scena un protagonista muto funziona bene, richiama alla memoria i videogiochi di qualche generazione fa e rafforza un senso di immedesimazione già reso intenso dalla visuale in soggettiva. 
Se da una parte Hardcore! rievoca le suggestioni fantascientifiche dei film di qualche decennio fa, senza dimenticare di affacciarsi a più riprese verso quel futuro distopico e ancora impossibile dove i cyborg agiscono e “vivono” tra gli umani, dall’altra è evidente quanto i videogiochi abbiano influito pesantemente sull’idea di base della pellicola. Idea originaria mostrata tra l’altro attraverso un cortometraggio pubblicato qualche mese fa e divenuto virale in brevissimo tempo: quel “Bad Motherfucker” che ha colpito il produttore Timur Bekmambetov al punto da spingerlo a contattare il regista per sviluppare su larga scala quell’intuizione che ha da subito ritenuto vincente. 
Azione in soggettiva
La sfida più difficile per Hardcore! era senza dubbio riuscire a mantenere un ritmo elevato per tutto l’arco del film, senza tediare lo spettatore con soluzioni che alla lunga avrebbero potuto risultare ripetitive. Ebbene, la pellicola di Naishuller riesce a superare questo scoglio solo in parte, in special modo quando adotta soluzioni visive che hanno fatto (e continuano a fare) la fortuna degli FPS moderni. Sebbene molte scene funzionino bene e richiamino in modo evidente le classiche fasi del videogioco (Henry sembra quasi iniziare con un tutorial, passare immediatamente all’azione, attraversare aree di relativa calma e affrontare il boss finale), va detto che alcune scene risultano sin troppo artificiose e gratuite, fungendo in fin dei conti da riempitivo. Una volta usciti dalla sala, ad onor del vero, ve ne resteranno in mente davvero poche. 
Girare l’intero film con delle GoPro, oltretutto, si è rivelata un’idea convincente a metà. L’effetto “tondeggiante” ai margini del video è molto evidente e alla lunga può dare fastidio durante le scene più caotiche e concitate, che costituiscono un buon settanta percento del film.
Si tratta insomma di un’opera capace di sperimentare e indicare una direzione tutta nuova, di una prova registica interessante e da valutare attentamente, se non altro perché incentiva lo sviluppo di un filone cinematografico di cui se ne intuiscono chiaramente i contorni; è una pellicola che tende la mano al nostro medium, replica l’estetica di uno dei generi più popolari e ne loda indirettamente la struttura facendola propria. Si tratta però di un film imperfetto, che avrebbe beneficiato senz’altro di mezzi più adeguati e di una maggiore attenzione a particolari non esattamente marginali per la godibilità dell’utente finale. Hardcore! è forse il sogno di tanti videogiocatori che diventa realtà, ma è anche un film appena sufficiente, a cui serviva una pianificazione più profonda. Se siete tra coloro che non disdegnano mai un’insana dose di violenza gratuita, azione a tutto campo ed esigono in definitiva un’esperienza visiva completamente nuova e diversa da tutto il resto, dovreste quantomeno dargli una chance.
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