Global Game Jam

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a cura di FraFont

Milano – Anche quest’anno il Politecnico di Milano ha preso parte a Global Game Jam, una meravigliosa iniziativa dedicata allo sviluppo videoludico. La domanda era la seguente: è possibile sviluppare e presentare un videogioco in sole 48 ore? Secondo i circa 290 partecipanti sì, ed è un’esperienza indimenticabile. 
Sviluppa, dormi (poco), sviluppa
Milano si è piazzata settima nella classifica mondiale delle GGJ con più partecipanti. Il Politecnico ha infatti lasciato a disposizione una sala conferenze per il venerdì mattina, dove alcuni esperti hanno parlato del mondo videoludico e delle problematiche odierne ad esso inerenti. Per la vera e propria Jam è stato concesso invece un intero edificio per tutta la sua durata, notte compresa. Questo si è trasformato in una casa accogliente per i ragazzi che, tra una riga di codice e l’altra, hanno dormito nelle aule solitamente destinate alle lezioni. 
L’organizzazione di Pier Luca Lanzi ha permesso uno svolgimento ottimale dell’evento: il professore è rimasto sempre presente e ha seguito i jammers lungo tutta la loro avventura per ogni necessità. L’entusiasmo e la passione per questo mondo hanno dato vita a ben 36 titoli, quasi tutti giocabili. Ma come funziona esattamente la Global Game Jam? 
Un appuntamento mondiale
L’evento, come suggerisce il nome, è su scala mondiale e la jam è sincronizzata con i fusi orari delle nazioni. I ragazzi si presentano e dichiarano le loro competenze, in base a queste ottengono un badge con un ruolo (programmatore, game designer, musicista o semplice spettatore) in modo tale che sia riconoscibili a vista tramite il simbolo relativo. 
Poi arriva la parte cruciale: la formazione dei gruppi. Gli organizzatori hanno spesso consigliato e ribadito il fatto di creare gruppi con persone conosciute sul posto, questo anche per ampliare la propria rete di contatti. Anche i ragazzi di Rising Pixel, con la loro presentazione iniziale “Come sopravvivere alla Global Game Jam”, hanno consigliato vivamente di cogliere l’occasione per fare esperienza con nuove persone che forse, in futuro,  potremmo incontrare in vesti più professionali. Questo era forse il miglior consiglio che potessero dare. 
Formati i gruppi, dopo una breve introduzione, viene finalmente svelato il tema secondo il quale si deve sviluppare il gioco. Il tema di quest’anno era: “Non vediamo le cose per come sono, ma per come siamo”. L’argomento era davvero complesso e ricco di sfumature: inutile dire che molti gruppi hanno trovato soluzioni innovative e fuori dal comune. 
Nessun vincitore (beh, più o meno)
La particolarità di questa iniziativa, spesso causa di stupore, è che non è un concorso o una gara, ma come ha ricordato il professor Lanzi alla fine della jam “siamo tutti vincitori anche solo per essere arrivati fin qui”. L’esperienza, in effetti, mette a dura prova i nervi dei partecipanti, i quali spesso dormono tra le 2 e le 5 ore per notte, e non prevede alcuna premiazione.
Nonostante ciò, gli organizzatori hanno deciso di dichiarare, ufficiosamente ma attraverso una giuria, dei “vincitori” per dare giustamente soddisfazione ai team migliori della sessione. 
Tra questi troviamo: “Dub ‘em Up“, un gioco in cui dobbiamo doppiare alcune scenette disegnate a cartone animato, “Nirvana“, dove si può far crescere un bambino e fargli vivere esperienze tramite alcune opzioni fino alla sua morte, e infine “Twin Eye“, in cui due giocatori in cooperativa devono risolvere vari livelli vedendo solo il personaggio del compagno e dovendogli comunicare come agire. 
Tutti i giochi, sviluppati contemporaneamente in tutto il mondo, sono stati caricati sul sito ufficiale della Global Game Jam e sono scaricabili gratuitamente in ogni momento. 
Uno degli aspetti più interessanti della Jam è che i file, anche quelli di sviluppo, non sono coperti da Copyright ma da Creative Commons, quindi nulla vieta ad altre persone o agli stessi sviluppatori di continuare l’opera e di farne un gioco completo che prenda piede e abbia successo.  

È stato davvero impressionante notare come centinaia di ragazzi, anche senza troppa esperienza alle spalle, abbiamo collaborato per fare ciò che amano. Divisi per ruoli, sono riusciti, per la maggior parte dei casi, ad andare d’accordo e a modificare il loro punto di vista e le loro richieste secondo le esigente di tempo e competenze dell’intero team. Era sicuramente un’esperienza che permetteva ai partecipanti di lanciare un primo sguardo sul lato professionale del mondo videoludico in piccolo, immergendosi nella realtà delle piccole case indipendenti di videogiochi e guardando questo settore, anche per la prima volta, dall’altro lato dello schermo.

Sono stati creati prodotti per la maggior parte giocabili e promettenti, tutto ciò è avvenuto in sole 48 ore.

La domanda dunque sorge spontanea: cosa nascerebbe se continuassero per una settimana?

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