L’Italia, i videogiochi, la musica, Destiny 2. Sono questi i quattro elementi protagonisti dell’intervista che abbiamo avuto il piacere di fare a Daniele Carli, sound designer trevigiano emigrato da diversi anni a Los Angeles per trovare il giusto posto nel mondo del suono. Prima la televisione, in Italia, poi il cinema e infine i videogiochi: dapprima Call of Duty Infinity Warfare da Infinity Ward, poi Destiny 2 con Bungie, un lavoro durato due mesi che ha permesso a Carli di mettere le mani, e le orecchie, su gran parte delle cutscenes. Quello che state ascoltando, insomma, potrebbe esser stato prodotto proprio da Daniele, un italiano per gli italiani. Gli abbiamo fatto un paio di domande per farci raccontare com’è nato questo percorso e qual è la sua storia.
Dall’Italia con la musica«Innanzitutto io sono cresciuto amando la cultura americana, tra film e videogiochi, ma anche la loro musica. L’idea di trasferirmi a Los Angeles, o comunque in America, è sempre stata eccitante per me. Ti dico, ho incominciato come musicista: ero un timpanista e percussionista, poi a Roma ho studiato sound design e lì mi hanno parlato di Los Angeles. Chiedevo quale fosse il posto migliore dove esercitare la mia professione e tutti mi indicavano Hollywood: molti si trasferiscono lì pensando di trovare l’oro sin da subito, ma in realtà bisogna lavorare duro per raggiungere collaborazioni a livelli alti. Ho cominciato a prendere nota anche di nomi di supervisori del suono, come primo passaggio: ho raccolto un po’ di informazione su queste persone, cercando nei credits dei film inizialmente. L’importante è trovare contatti, perché è fondamentale in molti dei mestieri. Uno dei primi film che ho analizzato e dai quali ho attinto è stato Matrix e ho avuto modo, qualche anno dopo, di entrare in contatto con il supervisore del sonoro, che ha vinto anche l’Oscar (miglior sonoro e miglior montaggio sonoro, ndr): ho avuto modo di interfacciarmi con i suoi colleghi, farmi conoscere. Prima di questo ho avuto occasione di conoscere altri supervisori del suono, tra cui anche dipendenti della Walt Disney Productions, anche tramite i social network. Avevo chiaramente già delle esperienze lavorative: non partivo da zero e quando mi presentavo mostravo sempre il mio portfolio. Per iniziare ho fatto un giretto nel 2010: sono stato per tre mesi a Los Angeles, così da conoscere l’ambiente e anche la città, come funzionava. Sono andato da Universal, da Sony, un po’ ovunque per conoscere come funzionasse e per farmi conoscere. Insomma ho cercato di creare delle basi per arrivare a trasferirmi e avere dei contatti».
Lo sbarco nei videogiochi
«Per arrivare a Destiny 2 sono stato aiutato dal fatto di aver lavorato dapprima per Call of Duty. Faccio parte della MPSE, Motion Pictures Sound Editors, un’associazione che comprende molti dei sound designer, e qui ho conosciuto il supervisore del suono di Destiny, l’ho contatto di persone, ci siamo conosciuti e lui mi ha chiamato a lavorare poco dopo. Ha avuto modo di vedere come lavoro e da lì abbiamo iniziato la collaborazione. Ho la passione per i videogiochi sin da piccolo: ho iniziato con Pong, poi dal Commodore 64 verso il PC e tutte le PlayStation. Quando giocavo a Modern Warfare 2 mi ero segnato il nome del supervisore del suono, così come ho fatto per i film poi, e fatalità ho lavorato con lui anni dopo, quindi è stata una piccola soddisfazione che mi sono tolto. Sostanzialmente, a parte l’application che fai sul sito, la mia esperienza si basa molto sulla conoscenza delle persone: mi sono fatto conoscere dal supervisore di Matrix che mi ha passato un altro contatto, che lavora qui a Los Angeles. Questa persona poi mi ha fatto conoscere qualcun altro, ossia il supervisore di di CoD: abbiamo fatto un’interview, dei test su quello che sapevo fare e così via. E poi mi hanno scelto. Se fai un’application attraverso il sito di una grande azienda è difficile dal nulla essere scelti, con la conoscenza invece si riesce ad avere uno sprint in più. Farmi conoscere, farmi un buon nome è stato fondamentale, ma poi devi dimostrare di saper lavorare, di saperci fare e di saper fare una buona interview. far capire che hai le qualità per fare quel lavoro. Non solo a livello psicologico, ma anche a livello pratico, far sentire qualcosa. Ho preparato dei pezzi su dei loro lavori e li ho portati: sono piaciuti e abbiamo iniziato a collaborare».
La differenza tra un suono reale e quello irreale: da film a videogioco
«Come dici, il suono dev’essere sicuramente reale, perché dev’essere credibile, ma allo stesso tempo dev’essere unico, fantastico: noi nel gioco vediamo navicelle spaziali, mezzi che sono futuristici, hanno un suono molto dinamico perché si muovono davanti a noi o magari possiamo pilotarli: il suono dev’essere molto ricco, può richiamare la saga di Star Wars come concetto cardine. Parlo sempre per me stesso, non per l’azienda, o per il gioco in generale, sia chiaro. Pensiamo però alla creatività: hai una scena in cui una nave spaziale arriva da lontano e passa davanti allo schermo per far sentire la massa sonora, con il motore dietro l’astronave che passa e subito dopo si allontana e infine gira su se stessa per atterrare da qualche parte. Presa questa scena, in questo caso bisogna arricchire il suono di tanti dettagli, dev’essere un lavoro pulito, ma allo stesso tempo devi cercare quei suoni che siano distanti il più possibile da un comune oggetto. Qualcosa che possa non essere banale e per questo usi degli strumenti che ti permettono di elaborare il suono, plugin e così via, che usiamo per creare qualcosa di unico: a volte ci affidiamo anche a librerie di altri lavori, che ci permettono di creare un suono che sia molto particolare, può capitare. Quando arriva la nave spaziale devi sentire da distante il rombo del motore, per capire che si sta avvicinando, poi inizi a sentire il motore, la combustione e sai bene che non andrai a creare un suono banale come se fosse un jet, ma cercherai qualcosa di profondo, di grave, che possa dare articolazione al movimento. Non solo dal punto di vista della combustione, in base al motore che c’è dietro, ma anche che dia un suono articolato. Qualcosa che sia molto cavernoso, che possa colorire la nave per renderla particolare. Ci sono degli aspetti molto particolari in questo processo, quando passa davanti alla telecamera: devi sentire un bell’impatto, è come se ti passasse vicino un aereo e il suono deve avvolgerti e devi sentire un impatto delle basse frequenze, come se sentissi uno scoppio. Quando invece la nave gira su se stessa, lì ci sono vari livelli che puoi lavorare, come per esempio disegnare il suono per la rotazione, un altro quando appare il retro dell’astronave e senti più il fuoco piuttosto che la parte davanti dell’astronave, come se fosse una creatura che deve parlare e devi animarla. Dargli molta modulazione e fargliela sentire».
Pellicola e disco
«C’è un mondo di differenza tra cinema e videogioco: il suono di un film deve essere trasmesso attraverso un qualcosa che non è interattivo con lo spettatore. Dev’esserci un impatto immediato del sonoro e deve coinvolgere lo spettatore tanto da farlo commuovere, o comunque dargli un po’ di pathos. Il suono dev’essere legato all’immagine che noi vediamo rappresentata in un film. Nel videogioco invece il suono va tutto all’interno di un motore, di un engine, viene tutto elaborato dal codice del videogioco. Ogni cosa che senti passa attraverso una serie di calcoli, ci sono dei box all’interno dei quali vengono inseriti tutti i dettagli e i suoni da cui provengono. Noi testiamo tantissimo i suoni all’interno del gioco: si usano le casse, si fanno dei controlli, lo lavori e poi sai che verrà compresso per le console, ognuna ha il suo formato di compressione e bisogna considerare questo aspetto per arrivare ad avere un suono abbastanza aggressivo, ma anche chiaro, che sia molto limpido. Ci sono necessità diverse: vedi una scena di un film, di un’arma che fa fuoco, trovi quel suono per quel momento lì, mentre per il videogioco devi trovare molti assets per una scena, versioni diverse dello stesso suono.
Il lavoro fatto su Destiny 2 penso sia durato due anni: io c’ho lavorato per tre mesi. Quando mi veniva consegnato uno spezzone delle cut scenes dovevo occuparmi di tutto il suono: mi sono state consegnate tot animazioni e io creavo il suono di tutto, anche i passi, le armature, gli ambienti, tutto ciò che si vede nella scena. Questo è il bello perché puoi decidere, avendo controllo totale della scena, cosa far spiccare di più, un momento rispetto a un altro. Avevo scene con molte astronavi che passavano davanti alla telecamera e dovevo decidere cosa far sentire di più rispetto a un’altra cosa, per dare anche uniformità e spazio giusto all’interno della creazione sonora. Ovviamente tutti i lavori sono stati consegnati alla casa madre, e alla fine c’è un lavoro di mixaggio e revisione. Da quello che ho capito, però, per il lavoro che ho fatto insieme ad altri colleghi, non c’è stato bisogno di lavorarci troppo».
Il futuro
«Sono molto contento di potermi dividere tra cinema e videogiochi: sono molto fiero di questo aspetto. Sono due mondi molto separati, ci sono professionisti diversi, competenze diverse, una sensibilità diversa. Sono contento di poter mettere un piede di qua e un piede di là, perché mi permette di spaziare: per lavorare nei videogiochi è fondamentale conoscere molti plugin, utilizzarli, anche per i film però in maniera minore. Per me lavorare nei film è una questione emotiva, come sfruttare una scena, come capire quella scena di cosa ha bisogno e enfatizzare lo storytelling attraverso il suono.
Tornare in Italia? A parte le vacanze, non si sa mai nel futuro, magari tra 30 anni potrei tornare: adesso come adesso tendenzialmente ti direi di no. Io amo il mio paese, amo l’Italia, però in America ho un mondo molto vasto con tantissime opportunità, gli artisti vengono qui per fare tanto, qui è pieno di studi. Tornare non mi affascina molto, non si trovava molto lavoro. L’unica idea potrebbe essere quella di un giorno tornare con tanta esperienza fatta e aprire uno studio mio. Sentire che c’è fermento in Italia è una cosa meravigliosa, mi fa molto piacere: avrei avuto piacere di scoprire altre realtà in Italia anche per fare più esperienza, poi non si sa mai nella vita. Non bisogna mai fissarsi con Los Angeles, mai con l’America, fissarsi mai con niente».