Che l’industria videoludica non sia tutta lillà e coniglietti rosa è ormai noto, anzi, l’arrancare delle grandi case davanti a spese esagerate, macchine del marketing i cui ingranaggi sono sempre più grandi e arrugginiti, e aspettative di vendita che iniziano a rasentare la follia è sotto gli occhi di tutti.
La soluzione a tali problemi di solito è quella più drastica: si “lasciano andare” i programmatori, si chiudono intere case di sviluppo, e si cancellano progetti su cui dozzine di persone hanno lavorato anni nel giro di un paio di giorni. In questo campo è, purtroppo, la normalità, figlia di un sistema malato alla base che è andato peggiorando negli anni fino a rendere la vita dello sviluppatore medio instabile e priva di grandi sicurezze per il futuro.
Ci sono ovviamente delle eccezioni, ma sono rare. In generale si tende a tagliare i costi aggiuntivi come se fossero un arto in putrefazione, e questi “costi” sono quasi sempre stipendi di abili programmatori costretti a mandare ondate di curriculum alla fine di ogni incarico. Insomma, noi a lavoro siam messi malaccio, ma in giro per il mondo non si nutrono di ambrosia.
C’era una casa di cui era tuttavia difficile prevedere la dipartita, anche in virtù delle enormi riserve economiche del suo principale supporter e dell’importanza delle sue licenze. Sto parlando di Lucasarts, una software house storica, che ha regalato ai videogiocatori di tutto il mondo titoli indimenticabili e capaci di cambiare per sempre il volto del gaming.
Il piccolo videogiocatore che c’è in me non avrebbe mai pensato di dover leggere un giorno la frase “Lucasarts non esiste più”. Cresciuto a pane e punta e clicca, e fiducioso per il passaggio di consegne del marchio Guerre Stellari a Disney, mi aspettavo un trattamento simile a quello visto con le licenze Marvel: un netto aumento di cura nello sviluppo di progetti dedicati al mondo di Star Wars, uno sfruttamento migliore delle risorse, e magari l’avvio di un titolo davvero indimenticabile dedicato al brand, dopo il floppone di The Old Republic. Invece la casa di Mickey Mouse ha deciso di seguire la strada comune e tagliare l’ennesimo arto, un arto amato da milioni di giocatori, nonostante un ultimo decennio moscio come pochi e un’organizzazione interna che ormai da tempo faceva acqua da tutte le parti.
Poco da dire, quando alcuni degli ultimi progetti nel tuo portfolio si chiamano Kinect Star Wars, Fracture e Lucidity. Eppure un po’ di speranza nell’aria c’era, dopo la presentazione del tecnicamente impressionante Star Wars 1313 e le voci di un possibile nuovo Battlefront. Purtroppo però quei titoli non vedranno mai la luce (salvo incredibili colpi di scena dovuti a software house esterne), e la casa che ci ha regalato i Monkey Island giace nell’abisso insieme a loro. E’ triste, maledettamente triste per chi gioca da molto tempo e ancor di più per tutti quei talentuosi ragazzi rimasti senza un lavoro, ma non possiamo farci nulla a parte ricordare i bei tempi, quindi oggi mi dedicherò proprio a questa attività.
Nata nel lontano 1982 per la volontà di Lucas di allargare la sua azienda al di fuori del cinema, Lucasarts inizialmente prese il nome di Lucasfilm Games, e si dedicò allo sviluppo di titoli per le piattaforme di quel tempo, come l’Amstrad, l’Atari e il Commodore 64. Giochi come Ballblazer e Koronis Rift sono ricordati da pochi, anche perché la strada magna della casa iniziò a delinearsi realmente con l’uscita della loro prima avventura, Labyrinth, ispirata all’omonimo film. Fu la prima pietra nella costruzione di quella fortezza nota come SCUMM Engine (Script Creation Utility for Maniac Mansion), un linguaggio congegnato da Aric Wilmunder e da Ron Gilbert per facilitare lo sviluppo delle avventure punta e clicca e migliorare il gameplay, aumentando l’interattività in base a un sistema verbo-oggetto che permette di compiere numerose azioni.
Maniac Mansion fu il primo titolo a utilizzare lo SCUMM, e fu subito rivoluzione. Da quel momento in poi Lucasarts divenne una sorta di divinità della avventure punta e clicca, capace di stregare tutti con titoli geniali e diversificati nonostante la stabile struttura su cui si basavano.
Zak McKraken And The Alien Mindbenders fu un altro grande successo, seguito da Indiana Jones e l’Ultima Crociata, un’avventura capace di glorificare la figura di Indy anche nei videogiochi e di dimostrare che una punta e clicca poteva essere flessibile e mutare in base alle scelte fatte.
Poi arrivò Loom, pensato per trasformare ulteriormente la formula seguendo una struttura basata sul suono, e il leggendario Secret of Monkey Island, imperatore del genere che vide Gilbert e Schafer unire le loro geniali menti nella creazione di uno dei titoli più divertenti e fuori di testa della storia. Lucasarts praticamente creò un genere, introdusse il pensiero laterale di forza nelle menti dei videogiocatori, e riuscì persino a creare dei titoli basati su proprietà esterne ai videogiochi di alta qualità, come il fantastico Indiana Jones And The Fate of Atlantis.
Dal 1993 in poi la casa di sviluppo inizio a concentrarsi maggiormente sui titoli dedicati a guerre stellari, senza però dimenticarsi delle avventure che l’avevano portata sulla vetta del mondo. Day Of The Tentacle, il seguito di Maniac Mansion, fu un grande successo e in particolare rimane ad oggi la mia avventura preferita in assoluto, con i suoi enigmi temporali e il suo umorismo demenziale (inoltre era meno punitiva rispetto ai predecessori, per via della nuova filosofia adottata dalla compagnia che voleva evitare di castigare i giocatori con la morte di un personaggio per aver esplorato con cura ogni locazione). Il progetto diede inoltre il via alla carriera di designer di Schafer e Grossman, per la prima volta a capo di un progetto. Il primo ha fondato i Double Fine, una delle case più brillanti in circolazione, mentre al secondo si devono buona parte delle avventure episodiche dei Telltale.
Sam & Max fu un’ esplosione di risate e demenzialità altrettanto azzeccata, seguita dal notevolissimo Full Throttle, che sembrò voler dimostrare l’immortalità del genere nonostante le sue costrittive regole. Anche la forza negli anni 90 scorreva forte in Lucasarts, che pubblicò due opere stratosferiche dei Totally Games chiamate X-Wing e Tie Fighter, tra i migliori simulatori di combattimento spaziale in assoluto.
Con l’avvicinarsi del nuovo millennio la carica del gruppo non sembrava volersi fermare, e Dark Forces, seguito da Jedi Knight dimostrarono una certa abilità nello sviluppo di titoli in prima persona di alto livello dedicati alla saga di Lucas. Grim Fandango, poi, fu il canto del cigno delle avventure punta e clicca prima della caduta, un lavoro superbo da tutti i punti di vista, per la prima volta dotato di personaggi in tre dimensioni e pervaso da un umorismo dark geniale.
Poi arrivò l’anno 2000, e le cose iniziarono a incrinarsi. Una serie infinita di pessimi titoli dedicati a Star Wars (escluso il solo KOTOR ad opera di Bioware) intaccarono la reputazione della software house, finché Jim Ward nel 2004 non prese in mano le redini della compagnia riorganizzandola da capo a piedi. Sotto di lui presero vita giochi come i due Battlefront, molto apprezzati dai fan del marchio, Republic Commando, Mercenaries, e i Lego Star Wars.
Non fu un periodo totalmente illuminato, anche a causa dello spreco di progetti notevoli come Knights Of The Old Republic 2, che aveva il potenziale per divenire un capolavoro e venne invece massacrato dalle tempistiche di sviluppo troppo strette imposte a Obsidian, ma comunque tutto sembrava piuttosto stabile. Dopo la partenza di Ward, il disastro.
I due The Force Unleashed non furono minimamente in grado di rispettare l’attesa dei fan, risultando molto sotto alle aspettative, Fracture fu un buco nell’acqua colossale, e The Old Republic… beh, si sa.
Ora, dopo anni, un po’ di sano hype era tornato tra gli aficionados della casa, grazie al sopracitato Star Wars 1313, e a First Assault, un FPS il cui successo avrebbe potuto portare alla creazione di un nuovo Battlefront. Invece tutto si è chiuso brutalmente qualche giorno fa, con il lapidario annuncio di Disney. Stando a più di una testimonianza anche la direzione di 1313, poi rivelatosi un titolo dedicato a Boba Fett, era molto caotica, e forse sarebbe stato un ulteriore colpo al cuore per i vecchi giocatori che ancora si tengono stretti i bei ricordi delle grandi avventure create da Gilbert e Schafer. Malgrado ciò, veder morire un pezzo di storia del genere fa venire i lacrimoni, e anche se le avventure grafiche sono tornate in vita grazie ad altri sviluppatori e la possibilità di metter mano su un gioco grandioso legato a Guerre Stellari non è del tutto scomparsa, non potremo più vedere sulla scatola l’inconfondibile omino dorato che ci ha accompagnato per tutta la nostra infanzia. Addio Lucasarts, grazie per il pollo di gomma con la carrucola in mezzo.