Quando è stato svelato all’E3, decisamente a sorpresa, abbiamo capito da subito una cosa: Death Stranding è un progetto in fase embrionale. Il teaser presentato e le successive dichiarazioni di Hideo Kojima ci introducevano all’atmosfera, probabilmente alle tematiche del gioco, ma nient’altro. Di lì in poi, ci è stato detto che l’engine deve essere ancora scelto, che il titolo parlerà di corde e bastoni (liberissimi di interpretare queste parole a cui ha fatto riferimento l’autore) e che, chi lo sa, magari potrebbe anche trattarsi di un gioco a episodi. Una dichiarazione che ha diviso il pubblico, non entusiasta di fronte all’idea di un’avventura e una sceneggiatura da vivere a morsi, con tutti i rischi di ritmo e coinvolgimento che ne conseguono. Eppure, Kojima ne è certo: il futuro è dei prodotti che punteranno sulla brevità, sulla fruizione a piccole dosi, sulla possibilità di correggere il tiro in corsa in base al feedback dei consumatori.
Le dichiarazioni di Kojima
Per fare il punto su Death Stranding e riflettere sulla questione, non possiamo non tradurvi le dichiarazioni integrali di Hideo Kojima: in merito ad un possibile modello a episodi per la prima opera della Kojima Productions indipendente, il game designer ha risposto “non saprei, non ne sono sicuro. In futuro, credo si tratti di un cambiamento che avrà sicuramente luogo, e al quale sono interessato. Non credo che i film, in futuro, dureranno due ore, sopratutto visto che le persone stanno già chiedendo esperienze più rapide. Avere tempi di sviluppo più brevi, far uscire il prodotto, integrare i feedback degli utenti rapidamente e avere una certa libertà nella creazione, credo che saranno cose che si applicheranno anche ai film e alla TV. Ora come ora, abbiamo film da due ore e episodi di serie TV da circa 40 minuti, ma in Giappone ci sono degli show della mattina che durano 15 minuti. Credo che questa sia la direzione verso cui ci stiamo muovendo, episodi da 5, o da 15 minuti. Per i giochi, credo che averne di corposi e lunghi diventerà una cosa del passato.“
Le parole, insomma, sono chiarissime: secondo Kojima, il futuro starà tutto nella fruizione rapida dei mass media dall’identità narrativa, che proveranno—siano essi interattivi o no—ad arrivare al pubblico in tempi sempre più brevi. Effettivamente, il modello gode di grande salute nello stato attuale dell’industria, dove Telltale Games su tutte si concentra proprio sulla creazione di prodotti di questo tipo. I suoi The Walking Dead, The Wolf Among Us, Game of Thrones, Tales from the Borderlands (solo per citare alcuni tra i più recenti) si sono presentati sul mercato con un modello sempre coerente, composto da un primo episodio pilota e dalla possibilità, in seguito, di acquistare l’esperienza completa con un Season Pass, o di procedere di capitolo in capitolo, senza un esborso immediato per l’opera completa. Se quello che hai provato ti convince, insomma, sei tu a decidere quanto e quando spendere per proseguire.
Il modello, sopratutto per il genere dell’avventura grafica, ha conquistato anche i talentuosi ragazzi di Dontnod Entertainment, che hanno seguito lo stesso esatto schema per il pluripremiato Life is Strange. Da notare che, in questo caso, la produzione era in mano ad una compagnia che finanzia generalmente titoli AAA, come Square Enix, che ha voluto a sua volta investire sull’episodicità, vendendo poi premiata dalla sua scelta. La casa nipponica ha quindi alzato il tiro, provando ad estendere la serializzazione in brevi capitoli anche ad un’opera di un genere completamente diverso: ecco arrivare Hitman a episodi.
Questione di soldi, di tempo, di medium
A proposito dell’avventura episodica dell’Agente 47, le reazioni sono state molto scettiche, con IO Interactive che ha perfino ammesso di aver avuto esattamente la risposta che si aspettava, e di essere al lavoro con il massimo impegno per sconfiggere gli scetticismi dei fan del sicario più famoso dei videogiochi. Ecco quindi Hitman che debutta con un primo episodio parigino, seguito nei mesi successivi da uno in Italia e uno in Marocco, con il supporto che, portato a casa il Season Pass durerà per circa un anno. Le polemiche non sono mancate e, tutt’oggi, nonostante il responso positivo della critica nelle sue recensioni, si contano a decine i giocatori che si dicono intenzionati ad aspettare le release su disco, il prossimo gennaio, che conterrà tutti gli episodi—al costo di perdere i contenuti live. I motivi? L’idea di vivere l’avventura a episodi non è stata gradita e diversi sostengono, non comprando il gioco fino a quando non sarà completo, di riuscire a far arrivare questo chiaro messaggio di disapprovazione a Square Enix.
Se, quindi, da un lato abbiamo un modello episodico che si sta imponendo anche per i grandi nomi e che secondo Kojima incarnerà il futuro del medium, dall’altro abbiamo un pubblico che, quando si è trattato di dire addio all’avventura grafica in stile Telltale, finendo con il serializzare una saga nella quale la sceneggiatura non è mai stata esattamente la parte più brillante, ha storto il naso manifestando il suo dissenso. Visto che il pubblico non si sente ancora pronto ad un videogioco a piccoli morsi, perché Kojima prevede un futuro così roseo per questo approccio? Le motivazioni sono diverse.
Prima di tutto, il modello a episodi ha il grande vantaggio di consentire agli sviluppatori di spalmare i costi di sviluppo nel corso del tempo, affiancando ad esso una cosa da non sottovalutare: il feedback in medias res da parte della community. I responsi del pubblico consentono di aggiustare il tiro in corsa, laddove necessario, evitando magari di far arenare un progetto che non avrebbe avuto possibilità di appello se fosse uscito sul mercato in un’unica soluzione. Per capirci, nel caso di Hitman, se il tipo di approccio proposto nella mappa di Parigi avesse scatenato le ire di critica e pubblico, è lecito immaginarsi che la mappa di Sapienza avrebbe puntato su cose diametralmente differenti. Il rilascio a episodi è quindi anche una sorta di paracadute per chi finanzia i videogiochi, che spesso può incassare dagli utenti l’esborso completo (nel caso dei Season Pass) per un’opera che è invece ancora in realizzazione. Anche una piccola software house, in questo modo, potrebbe cominciare a finanziare gli episodi successivi, investendo nelle prime fasi solo per la realizzazione del primo.
La questione, però, va molto oltre alle mere questioni di sviluppo e spesa che i publisher devono affrontare: come accennava Kojima, infatti, ci rendiamo tutti conto che i ritmi serrati di una vita impegnata impongono intervalli sempre più ristretti da dedicare ad alcune attività. Non stupisce, quindi, che in Giappone alcuni show abbiano una durata di 15 minuti: significa che, in un solo quarto d’ora, si può arrivare dall’inizio alla fine, e tenere quindi lo spettatore davanti allo schermo per il 100% della durata. Quanti prodotti da due ore possono dire lo stesso? Nel ragionamento di Kojima è entrato anche il cinema, che secondo il game designer, cinefilo da sempre, seguirà la stessa strada degli show televisivi e dei videogiochi, andando a stringere sempre più i suoi tempi. Tralasciando le disquisizioni sulla settima arte che si potrebbero fare, un elemento appare chiarissimo: i media continuano a convergere uno verso l’altro, irrimediabilmente. E se, un tempo, il videogioco si rifaceva principalmente alle suggestioni del cinema, oggi non ci sono dubbi che il modello di riferimento sia sempre più rappresentato dalle serie TV. Che, a loro volta, hanno attinto a piene mani dal grande schermo.
Rimediarsi dall’uno all’altro
Chiunque abbia studiato nell’ambito della serialità televisiva, è consapevole che essa è segnata da un prima e da un dopo Lost: la produzione ABC, nel 2004, ha segnato una nuova direzione nel modo di intendere la narrativa seriale per la TV, sempre meno verticale e, sopratutto, sempre più raffinata nelle tecniche realizzative. Difficilmente, assistendo alla scena d’apertura dell’episodio pilota di Lost, si può non pensare al grande cinema. Con il passare degli anni, quindi, anche la serie TV ha attinto sempre più dal grande schermo, fino a raggiungere l’odierno e riconosciuto status di medium non solo estremamente popolare, ma anche universalmente rispettato da una critica che prima lo vedeva con un certo scetticismo. Avvicinandosi sempre più alla raffinatezza tecnica del cinema, la serie TV è diventata il pane quotidiano del telecinefilo (“Le serie sono serie”, prof.ssa Daniela Cardini). Ecco che, quindi, che quella rimediazione di cui parlavano Bolter e Grusin arriva fino a videogiochi: la serie TV fa riferimento al cinema per il suo nuovo corso. I videogiochi, evolvendosi, smettono di guardare esclusivamente al cinema per strizzare l’occhio alla serialità televisiva. Gli esempi sono molteplici, anche senza allontanarsi troppo dalla miccia di questo articolo: mentre lavorava a Metal Gear Solid V, Hideo Kojima affermò di essersi ispirato alle serie TV, e in particolar modo da Breaking Bad, di AMC. I riferimenti ai pattern della serialità sono palesi, e non solo nel fatto che il gioco sia stato venduto in due tronconi a distanza di oltre un anno (Ground Zeroes e The Phantom Pain): a differenza dei precedenti Metal Gear Solid, ad eccezione di Peace Walker, MGSV è infatti suddiviso in diverse missioni. Queste ultime, però, non sono presentate come tali, ma come episodi, con tanto di titoli di testa, membri del cast e titoli di coda. Oltretutto, la componente narrativa del gioco è stata suddivisa in capitoli che corrispondono alle season, con un nucleo tematico centrale orizzontale che lega le differenti missioni. A prescindere dalle polemiche su quel “paio di cosette” che mancano alla scrittura del gioco, il tentativo di Kojima di avvicinarsi alla serialità televisiva suonava quasi curioso, per un game designer che in precedenza non aveva avuto certo paura ad attingere a piene mani dal cinema. C’è da dire, ma qui si entra nei discorsi personali, che a chi scrive la narrativa episodica (seppur venduta in due sole soluzioni, e non episodio per episodio à la Telltale, sottolineiamo) è suonata meno efficace e meno d’impatto rispetto a quella dei precedenti Metal Gear Solid, ma sono questioni che abbiamo già affrontato a più riprese sulle nostre pagine, e sulle quali non ci dilunghiamo anche in questa sede.
Nel frattempo, Quantum Break arriva sul mercato strizzando più che mai l’occhio alla serialità televisiva al punto di renderla parte di sé, segnando un nuovo avvicinamento tra i due media. Che, è vero, ancora si studiano, cercando di capire quali siano i rispettivi margini di contaminazione, quale la direzione da prendere in futuro.
Indubbiamente, come abbiamo visto, i termini per una sempre maggior popolarità del modello di videogiochi a episodi ci sono, sia per il loro avvicinarsi alle serie TV, sia per i motivi di sviluppo ed economici a cui abbiamo fatto cenno. D’altro canto, bisogna anche vedere in che modo il modello potrà risultare efficace per prodotti che puntano fortemente sulla narrativa—come ad esempio quelli di Kojima—pur non rientrando nel genere delle avventure grafiche. Sarà necessario dare tempo al tempo per scoprire dove si troverà (se si troverà) il giusto punto di incontro tra le due realtà, e—forse ancora più importante—quanto la comunità dei videogiocatori sia effettivamente interessata a supportare release più frammentate e dilazionate nel tempo, sia nelle uscite che negli esborsi.
Death Stranding sarà un gioco a episodi? Forse no, potrebbe essere episodico tanto quanto potrebbe essere in realtà virtuale, visto che in precedenza Hideo Kojima si era detto ugualmente interessato anche ad esplorare le possibilità dell’interazione in VR all’interno del mondo videoludico. Le dichiarazioni del leader di Kojima Productions sono comunque interessanti per la prospettiva di cui parlano, che vede il nostro medium preferito destinato a sposare sempre più i modelli della serie TV, non solo nello stile narrativo (come in Metal Gear Solid V), ma anche nell’arrivo distanziato dei contenuti per un medesimo prodotto (come nei giochi Telltale).
Vedremo, in futuro, in che modo questa commistione continuerà ad evolvere e se, effettivamente, altre grandi firme oltre a Kojima manifesteranno il loro interesse a riguardo.