Bentornati alla retrospettiva su
Dark Souls, una delle saghe action-RPG più influenti e di successo dei nostri anni Duemiladieci. L’annuncio della
Dark Souls Remastered in uscita a maggio anche su Switch è in realtà solo l’ultima delle riedizioni che la saga ha sfornato per tutto l’arco della sua esistenza. Se nella prima parte abbiamo parlato dell’esordio e dell’impatto che ha avuto sul mondo videoludico tutto, in questa seconda parte ci occuperemo dell’“episodio centrale” della trilogia. Tutt’oggi
Dark Souls II è il capitolo tanto amato quanto odiato, forse non il più controverso ma senza dubbio il più chiacchierato dell’epopea dark fantasy di
FromSoftware. Un videogioco che, tanto nella metafora quanto nella realtà, si è trovato forse nella congiuntura temporale peggiore che potesse capitargli.
L’eredità del riaprire un cerchio
Dark Souls II viene annunciato nel 2012, ma i lavori su di lui sono iniziati subito dopo la
Prepare to Die Edition. La notizia che però lascia subito perplessi è il fatto che non c’è più Hidetaka Miyazaki a dirigere. Lo sviluppatore giapponese aveva altro per la testa: FromSoftware (di cui sarebbe divenuto presidente un paio d’anni dopo) era stata contattata da Sony per lo sviluppo di un’esclusiva PS4. Così come per il primo
Dark Souls era stato
Project Dark, questo nuovo videogioco aveva come titolo di lavorazione
Project Beast. Hidetaka non poteva dirigere due progetti contemporaneamente, pertanto decise di concentrarsi su quello che oggi conosciamo come
Bloodborne.
Dark Souls II viene pertanto affidato a Tomohiro
Shibuya e Yui
Tanimura, con Miyazaki alla supervisione. Ai due direttori spetta un compito arduo: spezzare un cerchio già chiuso per raccontare un’altra storia in un altro futuro. Le difficoltà si manifestano fin dall’inizio, nel cercare di cogliere ma anche di ricreare l’equilibrio del predecessore. Viene in parte recuperata la struttura “a stella” di
Demon’s, impostando il villaggio di
Majula come l’hub dove salire di livello e potenziare gli equipaggiamenti. L’intenzione è quella di creare un mondo il più “vasto” possibile, che dia la sensazione di stare muovendosi in un intero continente. A questo si aggiunge l’ulteriore cruccio del dover raccontare una storia capace di legarsi in maniera naturale con il racconto mitologico delle origini. Da un punto di vista estetico, invece, Shibuya e Tanimura sono animati da un concetto ben preciso: dove il primo episodio raccontava “l’epoca degli dei”, con ardite architetture e luoghi labirintici, questo sequel doveva riflettere un’umanità che di quello splendore aveva solo il ricordo. I luoghi dovevano quindi essere massicci ma anche più “ingenui”.
Viene adottato un nuovo motore grafico, ma Shibuya ribadisce che non ha alcuna intenzione di modificare il sistema di controllo ormai celebre. Tuttavia, a un anno dall’inizio dei lavori niente sembra ancora avere senso, e leggenda metropolitana vuole l’intervento dello stesso Miyazaki per non dover ripartire da zero.
La leggenda, il desiderio e le patch
Di nuovo, Dark Souls II racconta due storie: quella del nostro personaggio e quella del regno. La terra stavolta si chiama Drangleic, sorta innumerevoli anni dopo Lordran. La leggenda del Non-Morto Prescelto è ormai lontana, ma la maledizione che egli aveva cercato di spezzare si è nuovamente manifestata. Re Vendrick aveva tentato di spezzarla senza ricorrere al Fuoco, ma questa ambizione era destinata al solo fallimento. Il compito del nostro personaggio era quindi di riuscire nella stessa impresa del re, cercando ancora una volta il Fuoco e reclamando il Trono del Desiderio. Ad aiutarlo vi sono due NPC ormai divenuti celebri: l’Araldo di Smeraldo e Nashandra, regina e moglie di Vendrick. Nel corso del viaggio, il nostro portatore della maledizione viene a conoscenza di come Vendrick abbia costruito il suo dominio. Egli era partito insieme alla moglie Nashandra attraversando i mare. Qui aveva sconfitto i Giganti, riportando un trofeo come segno di vittoria. Con questo inimmaginabile potere egli aveva sconfitto le Quattro Grandi Anime, suggellando poi la sua autorità con un titanico castello. Ma pure dopo questa sua vittoria, le cose non avevano preso ad andare bene: la maledizione aveva continuato a dilagare per il mondo. Vendrick aveva paura dei non-morti, e la sua ricerca di una cura si trasformò presto in catture e orribili torture.
Comprendendo che il ricorrere al Fuoco fosse solo una soluzione temporanea, Vendrick aveva cercato disperatamente un’alternativa insieme al fratello Aldia. Ne era risultato un nuovo fallimento: Aldia era scomparso e il Re era stato costretto a una precipitosa fuga dal castello, fino a quando, impossibilitato a continuare, non aveva potuto che attendere la vuotezza nel suo ultimo rifugio, la Cripta del Non-Morto. Da lui il nostro personaggio si sarebbe impadronito dell’Anello del Re, con il quale sarebbe potuto ascendere al Trono del Desiderio. Nashandra si sarebbe rivelata come “figlia” di Manus, anche lei aspirante al trono. Questa versione lasciava fortemente intendere che il “premio” rubato ai Giganti da Vendrick fosse nientemeno che il Ricettacolo dei Lord, il manufatto destinato a contenere le Anime trovate nel Fuoco. Questo, nonostante tutto, si riaccenderà esattamente come si è spento, in un ciclo eterno e inarrestabile.
Il gioco arriva sul mercato a fine 2014, ed è un successo clamoroso: due milioni e mezzo di copie in un anno. Ma passato l’entusiasmo iniziale e l’ondata di nuovi giocatori, ci si rende conto che non tutto è andato per il verso giusto. Cercando di differenziare la progressione e di combattere il farming imperante a Lordran, FromSoftware aveva deciso di limitare le rigenerazioni dei nemici. Aveva inoltre arricchito la Nuova Partita + cambiando la disposizione dei nemici e inserendone di nuovi. Ma forse, troppo alla ricerca di una differenziazione rispetto all’esordio, aveva dotato i boss di forza eccessiva, rendendoli capaci di uccidere il giocatore anche con un solo colpo. Un pensiero che si avvicinava pericolosamente al trial & error, e che rese necessarie continue patch per ricalibrare tutto. E paradossalmente, anche la tecnologia grafica non mancò di dare problemi. Forzatamente inserita su console (PS3 e Xbox 360) ormai non più in grado di supportarla, si traduceva in cali di frame praticamente costanti.
Tre corone, lo studioso e il salto di gen
Parallelamente alle patch, nei mesi successivi (luglio, agosto e settembre) vengono pubblicati tre contenuti aggiuntivi, corrispondenti ad altrettante nuove zone: Crown of the Sunken King, Crown of the Old Iron King e Crown of the Ivory King. La qualità di queste espansioni è altissima, presentando effettivamente alcuni degli scontri più memorabili della serie (come il bellissimo Sir Alonne). La difficoltà non smette mai di essere un cruccio, in quanto comincia a venire meno il bilanciamento anche nella Nuova Partita normale. Ma più che la difficoltà “artificiale”, quello che scontenta davvero la maggior parte dei veterani sono i dettagli narrativi. La lore di Drangleic pare sparpagliarsi sempre di più a ogni espansione, arrivando pure a contraddire quanto detto nel primo Dark Souls. Il colpo di coda finale si ha con l’inevitabile Game of the Year Edition. Dark Souls II: Scholar of the First Sin approfitta della pubblicazione su PS4 e One per riaggiustare per l’ennesima volta il bilanciamento (principalmente crescita del personaggio e difficoltà di certi super-boss) ma cambia l’interpretazione della narrativa. Rimane il viaggio di Vendrick e la natura ciclica del Fuoco, ma viene scartato che il bottino del re fosse il Ricettacolo, sostituendolo con la capacità di creare Golem. La Lordran delle origini, prima associata alla terra dei Giganti, viene adesso identificata con Drangleic stessa. In questa prospettiva, nel suo viaggio il giocatore rievocava lo stesso percorso fatto da Vendrick, ravvivando i quattro Falò Primordiali e prevalendo contro i giganti.
Aldia, fratello del re prima solo nominato, viene appositamente introdotto per veicolare tutti questi cambiamenti. Il “primo peccato” del titolo sarebbe quello di Gwyn stesso, inutilmente oppostosi alla natura ciclica del Fuoco. Scholar introduceva anche un nuovo finale, in cui si poteva rifiutare il Trono e cercare una terza via lontana tanto dalla luce quanto dal buio.
Per quanto il nuovo finale avesse una poetica azzeccata, ormai era chiaro che ci sarebbe stato un Dark Souls III. A lui sarebbe toccato il compito di concludere e dare un senso alla parabola del Fuoco e di coloro che ne avevano seguito il sentiero.
Eccoci alla fine della seconda parte. Se l’esordio parlava del potere e delle sue terribili conseguenze, Dark Souls II si concentrava sul desiderio e come possa rendere ciechi. Un videogioco dagli oggettivi meriti e dall’innegabile fascino misterioso, ma che si è ritrovato a dover trarre il meglio possibile da una situazione (tecnica e non) difficile a dir poco. La mancanza di una regia forte si è fatta sentire, traducendosi in dettagli trascurati, indecisioni narrative e fatica tecnica. Eppure, anche dopo tutte le sue tribolazioni, Dark Souls II rimane un videogioco onesto e dallo strano, massiccio orgoglio. Un orgoglio che travalica il gameplay, e che è metafora del percorso di FromSotware stessa e della sua creatura. E di questo si sono accorti anche i fan, che ancora ne apprezzano la concretezza e ne ammirano l’aspetto pacato e studioso. Ci vediamo a Dark Souls III, per il viaggio a Lothric!