Ci sono serie che hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia videoludica, riuscendo ad essere considerate dall’intera comunità di giocatori come dei veri e propri classici. Nello specifico parliamo di Doom, sparatutto in prima persona dal ritmo infernale che va trattato come uno dei più grandi fenomeni ludici degli anni 90’ e che ha settato per anni degli standard difficilmente raggiunti in ambito FPS. Tanto è stato il successo commerciale, ma anche di critica, che è nato anche il termine di “gioco alla Doom”, coniato per inglobare tutti quei prodotti che cavalcando il successo della creatura ID hanno proposto una struttura simile con risultati, onestamente, parecchio altalenanti. Suddivideremo questo speciale in due parti; in questa, ci soffermeremo sui primi due capitoli della saga.
Nascita del Demonio
Cercare di parlare brevemente della nascita vera e propria dell’IP in questione non è semplicissimo, sia per l’importanza del nome che stiamo prendendo in analisi ma soprattutto perché, come vi renderete conto, tutto ciò che riguarda la genesi di Doom è leggermente ambiguo e con versioni differenti della medesima storia. Cominciamo con un breve salto nei due anni pre-Doom; nel settembre del 1990, come dipendenti della Softdisk Publishing John Carmack, John Romero, Adrian Carmack e Tom Hall iniziarono a lavorare su Commander Keen, loro primo prodotto che verrà rilasciato in sei diverse versioni successive, la cui prima uscirà appena due mesi dopo l’annuncio. I “fantastici quattro”, pochi mesi più tardi, esattamente nel febbraio del 1991 decisero di lasciare il proprio incarico per mettersi in proprio e fondare finalmente ID Software con sede a Mesquite, in Texas; in questo periodo esce anche Hovertank 3D, uno dei primi titoli tridimensionali per MS-DOS. Il punto di svolta per questi ragazzi e per Doom avviene però l’anno successivo: a maggio ’92 infatti verrà rilasciato Wolfenstein 3D, primo vero successo della neonata software house texana e a fine anno avrà finalmente inizio il Doom-Project. Ma di chi è davvero l’idea? Ecco che qui la storia si fa complessa; mentre tutti gli altri membri del team erano impegnati nello sviluppo del sequel di Wolfenstein 3D, John Carmack decise invece di sviluppare un nuovo motore grafico, ufficialmente chiamato Doom engine (ma noto anche come id Tech 1) che secondo lui avrebbe fatto da base al prossimo grande progetto del team. L’idea era quella di poter possedere un motore ben più potente rispetto al passato, che permettesse l’utilizzo di un sistema d’illuminazione dinamica e una maggiore variazione del level design con strutture sovrapponibili e livelli di diversa dimensione. In quello stesso periodo alcuni, tra cui Tom Hall, proposero un sequel di Commander Keen, mentre altri espressero il desiderio di acquistare i diritti di Alien da 20th Century Fox per poter creare un videogioco, ma entrambi i progetti fallirono per diversi motivi; qui il vero passo fondamentale, perché Carmack prese la palla al balzo proponendo lo sviluppo di una nuova proprietà intellettuale “folle” che potesse essere un punto di contatto reale e tangibile tra la saga di Evil Dead di Sam Raimi e quella di Alien. Doom attingeva, comunque in modo sapiente, ai due franchise: atmosfera, riferimenti e tematiche sono insomma evidenti. Per Carmack, alla base dello sviluppo del prodotto ci sarebbe dovuta essere una battaglia con non morti/demoni ed una trama ridotta all’osso; ecco così un primo scontro con Hall, già poco felice di lavorare su questa nuova IP, che invece voleva dare un’impronta story driven al gioco. Pur con qualche timore, accettò inizialmente le “regole” del collega e propose comunque delle idee di sviluppo con power up, abilità sbloccabili e l’inserimento di scene d’intermezzo per esaltare, almeno in minima parte, la narrazione. Risultato? Tali idee vennero bocciate ed in più, tutto ciò che riguardava la presenza di una qualche tipologia di trama venne liquidata da Carmack con una frase, che doveva davvero far capire che Doom sarebbe dovuto essere in primis un concentrato puro e semplice di gameplay e che ancora oggi è molto nota: “La trama in un videogioco è come la trama in un film porno, ti aspetti che ci sia ma non è così importante”. Ciononostante il progetto continuò e nel 1993, tra febbraio e maggio vennero rilasciate tre versioni alpha del gioco, che intanto raccoglie sempre più consenso. Poco prima dell’invio di una versione beta di Doom alla stampa però venne a galla un ulteriore problema che riguardava l’ennesima divergenza di idee, da un punto di vista prettamente creativo, che scoppiò in uno scontro tra Hall e Romero, con quest’ultimo che che criticò senza problemi l’intero lavoro di Hall sul level design perché troppo semplice e simile a quanto fatto per Wolfenstein 3D; il tutto si concluse tristemente con l’allontanamento di Hall da ID Software e l’arrivo in azienda di Sandy Petersen. Ed è qui che la storia si fa interessante: per molti, il primo Doom deve comunque considerarsi una creatura di Tom Hall perché vero game designer del gioco e proprio per questo motivo anche se non viene esplicitamente detto, alcuni livelli partoriti da Hall, così come diverse idee di base, rimasero invariati anche nel prodotto finale e soltanto una piccola parte venne riciclata e modificata. Per questa corrente di pensiero fu lo stesso Hall a licenziarsi perché non più convinto della strada intrapresa dall’azienda, ponendo così come unico vero merito di Romero l’ideazione dell’editor di livelli; a prova di questa versione e della bravura parecchio relativa di Romero, spesso viene citato Daikatana, progetto interamente da lui sviluppato e ricordato come uno dei più grandi flop dell’industria videoludica. Il rapporto tra i due tornò buono dopo qualche anno (nel 1996, dopo alcune divergenze nate con lo sviluppo di Quake, anche Romero decise di lasciare ID) ed entrambi si ritroveranno all’interno di Ion Storm e se John Romero fallì, Hall riuscì invece a far bene con lo sviluppo di Anachronox. Per altri invece la storia è totalmente capovolta, ma non vogliamo dilungarci ulteriormente perché probabilmente, nonostante il tentativo di fare chiarezza con il libro Masters of Doom, c’è molto che non sappiamo e la verità potrebbe semplicemente stare nel mezzo. Ciò che invece resta certo è che il 10 dicembre del 1993 è uscita la prima versione di Doom.
Il Primo Viaggio all’Inferno
Il primo capitolo della saga ha avuto un’importanza enorme nel panorama videoludico ed un impatto sul mercato ben delineato e di spessore. Considerato da molti come il vero capostipite degli sparatutto in prima persona, Doom utilizzava un motore grafico totalmente differente e ben più complesso rispetto a Wolfenstein 3D, che permetteva un level design più ricercato e un impatto grafico di maggiore qualità. Per questo e per altri motivi il successo della nuova creatura ID Software fu ben maggiore rispetto alla loro precedente opera, riuscendo ad ottenere consensi a 360°. Una prima versione ufficiale del titolo venne trasmessa tramite un server dell’Università Wisconsin-Madison: dopo pochissimi minuti il numero di utenti che cercava di scaricare il gioco era talmente eccessivo che il sistema andò in crash. Il gioco fu comunque reso disponibile per un primo periodo esclusivamente su sistemi MS-DOS e solo successivamente venne convertito per altri sistemi operativi e per console; sostanzialmente infatti, il primo capitolo della saga di Doom è disponibile su ogni console di quinta generazione. Il plot che faceva da sfondo al titolo era molto semplice mettendo il giocatore nei panni di un marine spaziale, noto a tutti come doomguy (“il tizio di Doom”) deportato in una base su Phobos, satellite di Marte, dove a causa del fallimento di un esperimento riguardante il teletrasporto si sono aperti sette portali verso l’inferno. Costretto a lavorare per la Union Aerospace Corporation, il protagonista deve chiudere tali portali da cui hanno iniziato a venire fuori diverse spaventose creature. Nella versione originale di Doom il giocatore deve aprirsi la strada all’interno di tre episodi, suddivisi a loro volta in livelli, in cui è presente un’uscita nascosta; al termine di ogni episodio è previsto lo scontro con un boss. Grazie al rinnovato motore grafico, a cui abbiamo fatto riferimento precedentemente, i livelli del gioco possiedono un’interattività raramente vista in quegli anni rendendo possibile l’utilizzo di ascensori, ponti mobili o strutture in movimento per passare da un punto all’altro e proseguire nel livello; tali uscite nascoste quindi non erano facili da individuare come in passato. Le possibilità di approccio date al giocatore grazie alla varietà di armi, di nemici e di ambientazioni rappresentavano davvero qualcosa di assolutamente nuovo e fresco nel panorama videoludico, elevando Doom a un livello ben superiore rispetto alle produzioni di quello stesso periodo.
Il gioco in questione è stato inoltre uno dei primi titoli ad offrire anche la possibilità di giocare in modalità multigiocatore; tramite rete locale o collegamento telefonico via modem era possibile infatti cimentarsi in scontri tra giocatori nella classica modalità deathmatch – termine ancora oggi utilizzato parecchio e nato proprio grazie a Doom – oppure portare avanti una cooperativa nei diversi livelli che compongo la campagna. Alcuni anni dopo, ideato da terzi ma supportato anche da ID, nacque “DWANGO”, un servizio in grado di agevolare i contatti fra gli utenti permettendo il gioco online.
Nel 1997 il codice sorgente del gioco venne pubblicato sotto licenza open source, dando il via non solo a versioni fanmade del gioco per diversi sistemi che non avevano avuto una release ufficiale, ma enfatizzando ancor di più un fenomeno di tributo/clonazione già presente da qualche anno. Talmente tanto era infatti il successo di Doom che diversi studi decisero di cogliere la palla al balzo con prodotti, fin troppo simili, definiti da pubblico e stampa semplicemente come “giochi alla Doom”. C’è da dire che non si trattava soltanto di titoli così tanto simili al gioco ID e la somiglianza era più estetica, che non nelle meccaniche vere e proprie; inoltre il livello di qualità di tali produzione non era sempre mediocre, come poteva apparire ad una prima occhiata. Quando si fa riferimento al primo Doom si parla comunque di un vero e proprio fenomeno mondiale, non eguagliato (in ambito gaming) da praticamente niente e nessuno, tanto a livello commerciale quanto a livello di critica; nonostante non sia conosciuto il reale numero delle copie vendute, secondo alcune stime, a poco più di due anni dall’uscita, il gioco era talmente popolare che erano più i computer con Doom che con Windows 95 installato, tanto che – pare – Bill Gates abbia pensato più che seriamente ad un’eventuale acquisizione di ID Software. Il gioco, a pochi mesi dalla sua uscita, ricevette inoltre diversi premi GOTY da parecchie testate giornalistiche e negli anni è riuscito a collezionare diverse nomination come uno dei titoli più influenti della storia dei videogiochi.
Hell on Earth
Il 10 ottobre del 1994 esce Doom II: Hell on Earth per PC IBM ed a differenza del predecessore, disponibile inizialmente solo tramite specifici ordini via posta o tramite servizi di shareware, venne regolarmente venduto con copie fisiche disponibili nei negozi. Anche questa volta ID Software fa centro, con un prodotto che convince davvero tutti, anche i fan, un po’scettici per il poco tempo trascorso rispetto all’uscita del primo episodio; si tratta di un sequel diretto in cui il giocatore torna a vestire i panni del doomguy che scopre la conquista della Terra da parte dei demoni iniziando così una nuova battaglia. Il gioco si articola all’interno di trenta livelli e si conclude con uno scontro, divenuto un vero e proprio classico, contro “il demone più grande mai esistito”. Grande differenza rispetto al predecessore è la mancanza di una suddivisione dei livelli tramite l’uso dei capitoli, con il team che invece si è focalizzato sulla diversificazione tra i temi ambientali proposti. Considerando il poco tempo trascorso tra l’uscita dei due capitoli della saga, questo sequel non mostra grandi cambiamenti dal punto di vista tecnico, focalizzandosi sul level design generale e sulle possibilità d’approccio offerte al giocatore. Oltre a livelli dalle dimensioni maggiori e dalla complessità significativamente aumentata vennero aggiunte nuove armi ed inseriti nuovi nemici, come il revenant, diventato una delle icone della saga. Doom II: Hell on Earth riuscì a vincere molti premi con la critica che lo accolse benissimo; inoltre riuscì a vendere in poco tempo più di due milioni di copie, alle quali si aggiungono più di una decina di milioni di download, diventando il più grande successo della compagnia fino a quel momento. Venne così aggiunto un altro pezzo fondamentale nella scacchiera di qualità della saga.
Versioni Differenti, Nuovi Livelli, Stessa Follia
Dal secondo episodio della saga al terzo passano quasi dieci anni; ID decide per diverso tempo di focalizzarsi su Quake e su altre versioni dei primi due capitoli di Doom, con diverse migliorie e aggiunte. Soltanto tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001 infatti Doom 3 comincerà ad entrare realmente in fase di sviluppo. Nel periodo successivo all’uscita del primo capitolo, oltre ai diversi porting su console vengono realizzati anche nuovi contenuti pronti ad arricchire l’esperienza generale: tali aggiunte verranno poi inserite nella versione definitiva del gioco nota come The Ultimate Doom. Da molti considerata più come un’espansione, questa aggiunge un quarto episodio ai tre disponibili inizialmente, dal nome “The Flesh Consumed” e si focalizza sul viaggio di ritorno sulla Terra del doomguy. Dopo l’uscita di Hell on Hearth però, il primo Doom riceve un ulteriore rivisitazione con l’edizione “The Final Doom”, non direttamente sviluppata da ID e da molti considerata come una seconda giovinezza del gioco. Si tratta infatti di una versione contenente livelli e caratteristiche riprese non solo dal primo capitolo ma anche dal secondo; distribuito su PC nel 1996 e successivamente su Playstation, tale versione era costituita da due nuovi episodi, come detto prima però non sviluppati da ID ma realizzati da differenti autori. L’episodio “TNT: Evilution” dal Team TNT, un gruppo di designer noti per aver sviluppato già molte mod gratuite di Doom; l’episodio “The Plutonia Experiment” invece realizzato dai fratelli Casali. “The Final Doom” si sviluppa su un totale di sessantaquattro mappe con trentadue livelli totali (con una struttura del gioco simile dunque a quella vista in Doom II) e presenta una difficoltà degna di nota perfino per i fan più esperti. Così come il suo predecessore anche Doom II: Hell on Earth riceve altri contenuti: parliamo di “Master Levels” e di “No Rest for the Living”. La prima espansione fu resa disponibile poco più un anno dopo dall’uscita del titolo e conteneva venti nuovi livelli standard più uno bonus, la seconda invece, costituita da otto livelli inediti, venne sviluppata da Nerve Software e rilasciata addirittura nel 2010 quando il gioco fu lanciato su Xbox 360 tramite il servizio Xbox Live (è possibile però giocarla anche tramite Doom III: BGF Edition). Il 31 marzo 1997 esce invece Doom 64 primo spin-off della saga, nato dalla collaborazione tra Midway Games ed ID Software. Si tratta di un reimagining/conversione/remake del primo capitolo, con alcune aggiunte e migliorie rese possibili grazie alla maggiore potenza del Nintendo 64 rispetto alle versioni MS-DOS e Windows. Oltre al rifacimento delle texture, sono presenti nuovi effetti ambientali e altre musiche riprese dalla versione PlayStation; inoltre i nemici sono stati totalmente ridisegnati. Molti considerano Doom 64 come l’unico titolo della serie in esclusiva su una singola piattaforma perché non esistono altre versioni ufficiali di questo particolare capitolo.
Quando si parla dei primi due capitoli della saga di Doom si parla di prodotti che hanno fatto scuola per anni rappresentando il genere degli FPS; un fenomeno che tutti i giocatori, che siano nuove leve o fan storici, dovrebbero avere ben impresso nella propria mente. Come vedremo nella seconda parte di questo speciale tuttavia la storia post anni ’90 di ID & di Doom non è stata semplicissima ed anche un franchise di questa portata ha dato qualche segno di cedimento. Intanto, se ne avete la possibilità e soprattutto se sono titoli che mancano alla vostra esperienza “giocata” cercate di prendere in mano questi titoli; se riuscirete ad entrare nella mentalità di quegli anni riuscendo a contestualizzare ciò che vi ritroverete davanti non ve ne pentirete.