DLC gratuiti: ecco perché sono possibili

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Viene da sorridere con amarezza, se si pensa alla deriva che le espansioni dei giochi hanno avuto nel tempo. Dapprima dei reali contenuti extra capaci di rappresentare un valore aggiunto per le opere, e adesso sin troppo spesso delle parti tagliate dal gioco completo e rivendute a scaglioni, molti dei DLC sono mal visti da gran parte dell’utenza. 
Nei giocatori è fiorito un gran senso di diffidenza nei confronti delle aziende produttrici, che in effetti hanno fatto ben poco per costruire un rapporto di fiducia con chi di fatto li foraggia. “Le aziende non campano d’aria”, “È normale che accadano queste cose, abituatevi”, ripete qualcuno, ma la maggioranza degli utenti si sente oltraggiata da certe pratiche poco oneste. Esistono però dei casi in cui i DLC vengono distribuiti in modo gratuito, premiando quegli utenti che fin dall’inizio hanno creduto in un progetto. CD Project non è stata la prima e non sarà l’ultima, perché esiste una fitta rete fatta di aziende che hanno davvero a cuore i giocatori, che sentono di dovere qualcosa a chi ha cambiato loro la vita.
Una questione di fiducia
Il sottobosco indie è vasto, sconfinato; è composto da una marea di sviluppatori che in questo settore, oltre a lavorarci, vorrebbero restarci. Tra chi sente di aver qualcosa da dimostrare ai più grandi produttori e a se stesso, chi vuole trasformarlo in un lavoro solido, chi invece sente di poter comunicare grazie a questa forma di intrattenimento e chi – in modo più idealistico – vorrebbe dar vita a opere indimenticabili da tramandare nel tempo, non manca di certo il materiale umano per elevare il medium. Si tratta però di un settore affollato, dove è difficile emergere, in cui sin troppi progetti vengono pubblicati nella totale indifferenza del pubblico. Se la forza di un’opera non basta da sola per raggiungere le luci della ribalta, bisogna allora tentare di essere il più possibile aperti e diretti con l’utenza, ascoltandola e mettendosi a sua completa disposizione. Gli sviluppatori di Thea: The Awakening lo hanno fatto con serietà e spirito di abnegazione, hanno accontentato i fan, hanno fornito loro dei contenuti aggiuntivi gratuiti e – indovinate un po’? – ce l’hanno fatta.
Ce l’hanno fatta prendendosi i loro rischi, e ce la stanno facendo tutti quegli sviluppatori che hanno ben compreso quanto sia fondamentale metterci la faccia, farsi conoscere, accontentare le richieste e non cedere mai al lassismo e al menefreghismo che sta ledendo l’immagine di molte aziende rinomate. 
In un articolo apparso sul sito dello sviluppatore di Thea, gli addetti ai lavori hanno raccontato la propria esperienza, senza filtri, dimostrando come le rinuncia economica iniziale possa portare dei benefici sul lungo periodo. Non si pensi però che si tratti solo di una questione di “idealismo”, spiegano gli sviluppatori, perché i DLC gratuiti hanno fatto parte di un’operazione possibile solo grazie ai ricavi ottenuti col gioco originale, capaci di superare le settantamila copie. Nulla, se confrontate coi milioni venduti dai grandi produttori, che però mantengono con forza una linea radicalmente diversa rispetto a questo e altri sviluppatori indipendenti.
La ricetta è di una semplicità disarmante ma necessità di grande forza di volontà e rettitudine: bisogna vivere insieme alla community, essere sempre attivi, visitare i forum, rispondere alle richieste, ascoltare le segnalazioni per migliorare costantemente il proprio prodotto, non elevarsi mai a un gradino superiore e accontentare – nei limiti delle proprie possibilità – chi ha acquistato il gioco e chi ha intenzione di farlo. In questo modo, non solo i giochi hanno la possibilità di migliorare nel breve periodo, ma si entra in un meccanismo dove si costruisce di fatto una reputazione, una forma di fiducia che dà garanzie a chi acquista. Inizialmente, distribuire DLC gratuiti può rivelarsi un controsenso e non genera ulteriori guadagni, ma quando l’utente sa che non verrà illuso, raggirato o completamente ignorato, tenderà a fare affidamento proprio sulle persone che ci sono sempre state. Lo racconta MuHa Games, un gruppo di veterani dell’industria che ha capito l’importanza di questi aspetti a dir poco fondamentali. Sebbene possa sembrare una strategia poco produttiva, che può distrarre dai propri obiettivi, dilatare le tempistiche di lavoro e creare un rapporto dove le richieste possono trasformarsi in pretese, la realtà dei fatti (la loro e quella di tanti altri sviluppatori minori) è ben diversa dal pensiero comune che si è impadronito degli addetti ai lavori. Bisogna però fare molta attenzione: le insidie si annidano ovunque.
La più positiva delle reazioni a catena
Una delle richieste più frequenti è l’aggiunta della traduzione dei testi nella propria lingua, e noi italiani, su questo aspetto, tendiamo a essere sempre più intransigenti. MuHa Games spiega però che l’aggiunta di un’altra lingua, dopo la pubblicazione del gioco, deve essere fatta con grande rapidità, altrimenti l’interesse verso il prodotto entra in una fase calante e chi lo ha già finito difficilmente ritornerà sul gioco per ricominciarlo da capo. Questo è uno degli errori in cui sono incappati gli sviluppatori, ma ce ne sono stati altri che dopo questa esperienza non saranno ripetuti in futuro – assicurano. 
Il consiglio che vogliono dare a chi ha in mente di adottare questo modello di sviluppo è però chiaro: “non sovrastimate ciò che è possibile e fate solo ciò che è nelle vostre possibilità. Fate ciò che è davvero di competenza del team, senza voler strafare. Il mercato indie è complicato, e quando si dispone di esigue risorse e di un personale di poche persone, raggiungere gli obiettivi è davvero difficile”. Lo dicono con la certezza di chi, in fondo, ha rischiato grosso: “Se non fossimo stati attenti a tutto ciò, questa storia avrebbe avuto un esito ben diverso”.
E invece l’esito, come quello di altri studi di sviluppo, è stato ottimo. Basti pensare al denaro donato spontaneamente da alcuni utenti come ringraziamento per la grande serietà e il continuo supporto, oppure a come la comunità è cresciuta, ha collaborato e ha compreso fino in fondo la fatica che un lavoro del genere comporta. Un altro vantaggio? Eccolo: “Durante lo sviluppo dei nuovi contenuti abbiamo avuto un aiuto spontaneo da parte di alcune persone, che si sono offerte per testare versioni preliminari, registrare video, fare da tester; tutte cose che cinque persone, da sole, non avrebbero potuto fare in tempi brevi. Credo che questo tipo di relazione non abbia prezzo e ci ripaghi di tutto il duro lavoro fatto”. Ed è vero, perché il videogioco non deve essere trattato come un prodotto da banco; è qualcosa di ben diverso, che può migliorare, che è la cartina di tornasole del modus operandi di chi crea. Il processo di sviluppo, talvolta, può dire più del gioco stesso. O perlomeno, può raccontare vite, compromessi e sacrifici che al di là della barricata, spesso, nemmeno possiamo immaginare. 
A differenza di una brutta abitudine che ha attecchito grazie alla tacita accettazione di un’utenza che tutto perdona e facilmente dimentica, il mercato indie e qualche grande sviluppatore propone un’alternativa che è un ritorno al passato, fatta di sincerità, trasparenza e reciproca fiducia. Tutti hanno da guadagnarci, così. Davvero tutti.

Gli sviluppatori indipendenti non navigano di certo nell’oro, eppure propongono modelli economici dove i DLC sono gratuiti e l’utenza partecipa attivamente alle migliorie di un prodotto. I titoli tripla A hanno dei costi di produzione enormi, è vero, ma sborsare ben oltre 100 euro per un gioco (spesa totale comprensiva di tutti i DLC ed eventuali altri “beni”) sta diventando un salasso poco sostenibile per chi non vuole privarsi di altri titoli per motivi legati al proprio budget. La testimonianza di MuHa Games dovrebbe far riflettere tutti i giocatori in primis, e tutti coloro che stanno incrinando irrimediabilmente il rapporto col proprio pubblico.

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