Era il 1930 quando Max Fleischer, con il supporto di Grim Natwick, creò Betty Boop, una caricatura delle flapper dell’era del jazz destinata a un decennio di successi sul grande schermo. Accanto a lei, lo studio Fleischer creò anche Bimbo, un grasso cane in bianco e nero, divenuto protagonista e star della serie Talkartoons, doppiato da Billy Murray (non Bill Murray), e innalzato a rivale di Topolino, che in quegli anni iniziava a prendere forma grazie alle mani di Walter Elias Disney. Erano gli anni della propaganda, erano gli anni dei cartoni animati surreali, con una vena dark e con tantissime forme astratte: era l’epoca in cui tutto era concesso sul grande schermo, anche spaventare i bambini, quando il politically correct non era ancora a capo di questo mondo. Era l’epoca cui fa riferimento Cuphead, che dagli anni ’30, gli anni belli del cartone animato, ha preso tutto il meglio.
Dai fratelli Fleischer ai fratelli Moldenhauer Bimbo, dopo il suo debutto in Hot Dog (1930) si ritaglia gran parte del suo spazio vitale in Swing You Sinners! (1930), creato sempre dai fratelli Fleischer. Bimbo è intento a rubare un pollo nel pieno della notte, ma dopo diversi tentativi finisce per prendere la mano di un poliziotto: nonostante provi a scappare, il cane viene inseguito dal poliziotto, ma anche dal pollo. Nella sua fuga, Bimbo finisce in un cimitero, all’interno del quale deve confrontarsi con tutte le sue paure, scoprendo che quel posto è maledetto: fantasmi e mostri gli fanno sapere che verrà punito per il suo peccato e iniziano a inseguirlo con smorfie facciali e con movimenti completamente ectoplasmatici. Bimbo è quindi costretto, per il resto del film (la durata era di 8 minuti), a sfuggire fino a quando un enorme teschio non lo divora in un sol boccone, facendo ciò che avrebbe fatto lui al pollo. Il risultato fu una surreale danza di fantasmi, molto simile a quella che fu la The Skeleton Dance di Walt Disney, che era ugualmente ambientata in un cimitero: recentemente Swing You Sinners! è stato inserito al primo posto nella classifica dei cartoni animati per bambini più cupi di un film horror, a testimonianza delle intenzioni incredibilmente aspre di Fleischer. Poi, però, la gloria terminò e nel 1934 arrivò l’Hays Code, anche noto come il Motion Picture Production Code, un breviario che conteneva al suo interno delle linee guida morali che dovevano essere applicate a tutti i film prodotti degli Stati Uniti: a ratificarlo fu Will Hays, che diede il nome al codice, bloccando così tutto ciò che negli anni ’30 aveva reso cupi e dark i cartoni dei fratelli Fleischer. Il cinema americano ne risentì tantissimo, tanto che molte scene iconiche del cinematografo vennero censurate: basti pensare alla famosa scena de The Great Train Robbery (1903) nella quale un criminale puntava la pistola contro gli spettatori, ritenuta immediatamente inappropriata e così censurata. Non fu più possibile raccontare il traffico illegale di droghe, perversioni sessuali, schiavitù delle persone occidentali, la mescolanza razziale, mostrare gli organi sessuali dei bambini e la nascita di quest’ultimi. Allo stesso modo non fu più possibile inserire nei cartoni animati mostri che potessero spaventare i bambini, venne annullata la possibilità di inserire atti di violenza nei confronti degli animali e, poco dopo, vennero anche censurati dei cartoni animati di Topolino e di Braccio di Ferro, che in alcune scene utilizzavano il saluto fascista: “Mussolini Would Kill This”, titolava la censura dell’epoca, che sottolineava come il Duce non gradisse l’aspetto divertente e cartoonesco del proprio saluto. Betty Boop dovette dismettere i propri panni di flapper, perché troppo scosciata e sensuale, e Bimbo non poté più catturare polli per poi farsi redimere da un teschio gigante.
La guerra prima di CupheadNel 1936, poi, arrivò il cinema giapponese. Prima che Topolino potesse conquistare il favore internazionale della critica, in Giappone iniziarono a immaginare Mickey Mouse come un puro americano imperialista, e chiaramente malvagio. In questi anni arrivò, quindi, Evil Mickey che attaccava il Giappone: cavalcando degli uccelli, Topolino si ritrovava a lanciare missili contro il feudale Sol Levante, difeso da uno strano essere capace di trasformarsi in carrarmato, ma che aveva la testa a forma di tazza, proprio come i protagonisti di Cuphead. Era la propaganda alla sua massima espressione, per la quale il giapponese decise di affidarsi a Momotaro, eroe delle fiabe sulla difesa nipponica in quegli anni. Protagonista di una fiaba antica, Momotaro scese in campo per controbattere l’assalto di Mickey Mouse in Toybox Series #3: Picture Book 1936. Erano tempi diversi, ma col senno di poi guardando quei cartoni animati c’è da domandarsi cosa sia effettivamente più disturbante tra il vedere Topolino assalito fino alla morte dalle api o vedere un cartone animato per bambini che glorificava positivamente l’uso dei cannoni e delle mitraglie, per difendere il proprio Paese. C’è da dire che all’epoca gran parte dei giapponesi soffriva l’esistenza degli americani, tanto da esser scesi in campo, durante la Seconda Guerra Mondiale, all’urlo di “vai all’inferno Babe Ruth”, facendo riferimento al famosissimo giocatore di baseball, conosciuto come “il bambino”. Tale risentimento, in periodo di guerra, non poté che sfociare in un assalto feroce all’America. Di lì a poco l’attacco giapponese a Pearl Harbor fece naufragare l’industria americana. Il 1941 chiamò gli studi di Fleischer a un cambio totale, togliendo Max Fleischer dal ruolo di dirigente, soprattutto dopo il fallimento al botteghino di Hoppity va in città, che arrivò al cinema due giorni prima del fatidico 7 dicembre. Il fratello, Dave, decise di trasferirsi alla Paramount, per la quale aveva già realizzato la trasposizione di Superman al cinema, mentre gli studi cambiarono il nome in Famous Studios. Fu praticamente la fine di Max Fleischer, che iniziò a lavorare, per conto di Jam Handy e della Industria Film Company, sulla produzione di film didattici per l’esercito e per la marina: il cartone animato mutò totalmente la sua propensione e di Bimbo e di Betty Boop non rimase niente, nemmeno della flapper di un tempo, che venne trasformata, sul finire degli anni ’30, in quella donna in carriera che tutti oggi ricordano.
Cuphead riparte da qui: dall’esperienza di Fleischer, da quello che fu il cartone animato surreale degli anni ’30 e dai toni cupi che permisero ai mostri e ai fantasmi di atterrire i bambini. La Guerra, all’epoca, e anche la necessità di sposare il politically correct chiusero definitivamente le porte a un modo di fare animazione che, inizialmente, aveva trovato in Walter Elias Disney e, per l’appunto, in Max Fleischer i suoi due principali portabandiera: due pionieri, il primo del modo di raccontare, il secondo delle tecnologie per farlo, che il 29 settembre prossimo tornerà grazie alla release su Xbox One e Pc grazie ai fratelli Moldenhauer.