Nello scorso articolo avevamo lasciato il nostro peramele proprio sul finire della sua “golden age”, vale a dire l’epoca PS1.
Dopo la fine del contratto tra Naughty Dog e Universal, si profilavano tempi burrascosi per il nostro Crash. E burrascosi lo furono davvero…
More of the same in 128-bit
Partiamo con un aneddoto poco conosciuto dai non addetti al settore: Crash Bandicoot: L’Ira di Cortex aveva cominciato il suo sviluppo come un titolo molto diverso da quello che effettivamente è diventato. Non solo il design del gioco doveva essere affidato a Mark Cerny (veterano della serie che si era occupato dei primi tre capitoli), ma il titolo era stato pensato come un platform free-roaming. Non solo: inizialmente, un contratto tra Universal e Sony avrebbe dovuto vincolare il peramele alla casa nipponica, rendendolo, di fatto, la mascotte di quest’ultima. Gli accordi tra Sony e Universal, però, non andarono mai in porto e anche Mark Cerny si ritirò dal progetto. A Universal non rimase che affidare lo sviluppo a Traveller’s Tales, che si trovò a fronteggiare l’arduo compito di ricostruire il gioco da zero come un platform lineare in linea con i capitoli precedenti, il tutto in tempo per un’uscita a fine 2001, con l’obiettivo di mantenere la cadenza annuale della serie.
Forse per i tempi ristretti, forse per via degli ordini di Universal, Traveller’s Tales andò sul sicuro con Crash Bandicoot: L’Ira di Cortex, riproponendo sostanzialmente ciò che Naughty Dog aveva fatto con Warped qualche anno prima. Il gioco, infatti, riprende la struttura del terzo capitolo della serie, dai livelli lineari ai cristalli, dalle gemme alle reliquie, aumentando però la presenza dei veicoli all’interno del gioco. Se già la mancanza di innovazioni aveva fatto storcere il naso alla critica, quello che ha allontanato i favori dei fan della serie è stato proprio l’uso spropositato dei mezzi: jeep, sottomarini, robot, monopattini e chi più ne ha, più ne metta, rendono il gioco qualcosa di molto lontano da un platform puro. Questo, unito alla sostanziale mancanza di innovazioni rispetto a Warped, ha reso Crash Bandicoot: L’Ira di Cortex un titolo solamente discreto e facilmente dimenticabile per i fan della serie, la prova che una formula vincente non può durare per sempre.
Da notare è l’introduzione di Crunch Bandicoot, fratellastro di Crash, che fa da antagonista insieme al buon vecchio Dottor Neo Cortex per tutto il corso del gioco, salvo poi cambiare fazione durante il finale. Si tratta di un personaggio che comparirà in tutti o quasi i capitoli successivi, unico vero lascito di questo blando L’Ira di Cortex.
Nonostante la tiepida accoglienza di critica e fan, il gioco riscosse un buon successo di vendite sulle console su cui uscì, raggiungendo lo status di Platinum su Playstation 2, Player’s Choice su Gamecube e Classics su Xbox.
Crash, ti trovo dimagrito
Con la fine dell’esclusività Sony e l’arrivo su tutte le home console sul mercato, non ci voleva molto prima che Universal mettesse gli occhi anche sulle portatili di casa Nintendo. Fu così che nel 2002 Vicarious Visions portò Crash Bandicoot XS (conosciuto come Crash Bandicoot: the Huge Adventure in America) sugli schermi a 32-bit del Game Boy Advance.
Curioso il destino: i Vicarious Visions sono proprio coloro ai quali è stato affidato da Activision il lavoro sulla trilogia rimasterizzata dei primi tre Crash Bandicoot, in arrivo su PS4. Il loro primo contatto con la serie, ormai risalente a quattordici anni fa, ricalcava fedelmente l’opera dei Naughty Dog, con le ovvie limitazioni dovute all’hardware su cui il titolo girava.
Crash Bandicoot XS riprende le meccaniche dei capitoli PS1, riadattandole ad un platform 2D. Tutto, nel titolo, ricorda gli episodi precedenti: cristalli, gemme, ambientazioni, nemici, boss, tutto insomma viene ripreso dal lavoro di Naughty Dog.
Nonostante una totale mancanza di novità, il passaggio alle due dimensioni ed un level design più che discreto resero comunque il titolo un’esperienza diversa anche per chi già aveva conosciuto la serie, permettendogli di ottenere un discreto consenso tra pubblico e critica.
Non stupisce dunque che già l’anno successivo, nel 2003, Vicarious Visions portasse nei negozi Crash Bandicoot 2: N-Tranced, sequel diretto della prima avventura portatile di Crash. Questo secondo episodio si distacca maggiormente dai progenitori, introducendo un nuovo antagonista (quel N-Tranced che compare nel titolo) ed una maggiore varietà di ambientazioni rispetto al predecessore. Non solo: nel titolo abbiamo la possibilità di controllare, oltre al solito Crash, anche la sorella Coco ed il fratellastro Crunch all’interno di livelli su veicoli (tra cui la “atlasphere” ripresa direttamente da L’Ira di Cortex). I mezzi, assenti nel predecessore, fanno dunque il loro debutto anche nella serie a due dimensioni di Crash, mantenendo fortunatamente un ruolo di secondo piano rispetto alle sezioni platform.
Si tratta in entrambi i casi di titoli discreti, che qualsiasi fan di Crash potrà apprezzare vista la fedeltà assoluta ai capostipiti della serie. Il secondo episodio si rivela un titolo decisamente migliore grazie ad una maggiore varietà in quanto ad ambientazioni e situazioni di gameplay, oltre al maggiore quantitativo di livelli.
I Vicarious Visions si sono dunque dimostrati capaci di riadattare Crash ad un nuovo contesto conservandone gli ingredienti che ne avevano garantito il successo, il che fa ben sperare per la futura trilogia rimasterizzata.
Avventure a quattro ruote
Crash Team Racing si era rivelato un successo: sembrava che i kart andassero d’accordo con i peramele, oltre che con gli idraulici. Non stupisce, dunque, che Universal volesse bissare il successo del titolo: nel 2003, infatti, arrivò nei negozi Crash Nitro Kart, sequel ad opera di Vicarious Visions uscito su PS2, Xbox, Gamecube e Game Boy Advance.
Il gioco pesca a piene mani dal suo predecessore sia in termini di gameplay che di modalità: ritroviamo dunque la modalità avventura accompagnata dalle più classiche modalità competitive, a cui viene aggiunta la possibilità di gareggiare in squadre, opzione assente nel primo capitolo. Il roster dei personaggi viene allargato notevolmente, con l’introduzione sia di personaggi comparsi nei titoli più recenti (come Crunch Bandicoot), sia di personaggi esclusivi di Crash Nitro Kart.
Tolte queste piccole novità e l’ovvio miglioramento grafico, il titolo non propone praticamente niente che non si sia già visto nel suo predecessore, motivo per cui non ha mai goduto dei favori della critica. Anche tra i fan della serie l’accoglienza non fu migliore, a causa della mancanza di innovazioni già citate e della scarsa personalità mostrata in confronto al capitolo Naughty Dog. Chiunque abbia giocato entrambi i titoli, nominando le sue piste preferite farà quasi esclusivamente nomi presi da Crash Team Racing, testimonianza di quanto Crash Nitro Kart abbia fallito nel tentativo di lasciare un suo segno nella storia della serie.
Un incontro molto atteso
Sempre a Vicarious Visions fu affidato, nel 2004, il compito di realizzare un compito davvero arduo. La vita di Crash e Spyro era sempre stata parallela: entrambi si contendevano il titolo di mascotte per la console grigia di casa Sony, senza contare la vicinanza tra gli studi di sviluppo delle due serie, Naughty Dog ed Insomniac. Universal, detentrice dei diritti di entrambe le serie, decise quindi di realizzare un titolo con entrambe le loro galline dalle uova d’oro e per farlo scelse come destinazione il Game Boy Advance.
Crash Bandicoot Fusion uscì dunque accompagnato da una seconda versione dello stesso gioco, Spyro Fusion, riprendendo la tradizione della serie Pokèmon, sebbene in questo caso due titoli siano abbastanza differenti dal punto di vista del gameplay.
In essi, il peramele e il draghetto viola si incontrano dando vita ad un’improbabile alleanza per sconfiggere i loro nemici, Cortex e Ripto, a loro volta uniti per sconfiggere i nostri beniamini.
Entrambi i titoli sono platform 2D che alternano fasi di scialbo platform ad altrettanti scialbi minigiochi. È arduo dire quale delle due attività sia più penosa: sembra che, improvvisamente, i Vicarious Visions si siano scordati come realizzare un buon platform ed abbiano semplicemente puntato sulle vendite che avrebbero garantito i marchi di Spyro e Crash.
Un episodio totalmente da dimenticare, dunque, sul quale è meglio non soffermarsi oltre.
Il periodo successivo alla separazione da Naughty Dog non fu affatto felice per il nostro Crash, con un titolo principale dallo sviluppo travagliato che non riuscì a fare breccia tra la critica e gli appassionati ed un capitolo racing decisamente inferiore al predecessore.
Fortunatamente gli episodi portatili, escluso l’orrido Fusion, gettano una luce positiva su questi anni altrimenti bui, dimostrandosi titoli più che discreti e fedeli allo spirito della serie.