Poche ore fa, il grande attore e scrittore Paolo Villaggio ci ha lasciati. Aveva 84 anni. Era ricoverato da alcuni giorni in una clinica di Roma. Col suo carnet di personaggi memorabili, primo tra tutti il ragionier Ugo Fantozzi, Villaggio verrà ricordato soprattutto per la sua comicità agrodolce e mai scontata, specchio di una generazione italiana ancora tremendamente attuale ai giorni nostri. E che forse non smetterà mai di essero.
La redazione cinema di SpazioGames.it vuole ricordarlo così.
“Lei venghi qua!” di Marcello PaolilloAnche quando scherzava, Paolo Villaggio ha sempre nascosto tra le righe una profonda malinconia. Come solo i grandi comici sanno fare. Con il personaggio di Ugo Fantozzi, vittima di tragicomiche situazioni nell’Italia a cavallo tra gli anni 70 e 80, Villaggio ha scritto e recitato alcuni dei suoi testi più belli, pervasi ancora una volta da quella vena poetica e polemica che lo ha sempre contraddistinto, ma che in pochi oggi sembrano aver colto appieno. Perché se è vero che le sue pellicole, specie la saga del ragionier Ugo, si sono con gli anni logorate diventando una semplice attrazione da botteghino alla stregua di un cinepattone qualsiasi, è anche vero che il Villaggio attore è invece sopravvissuto, seppur all’ombra del suo personaggio iconico. Registi come la Wertmuller, Steno, Corbucci, Monicelli, Gassmann e Salvatores lo hanno infatti scelto per alcuni ruoli di inaspettata intensità. La sua carriera è però finita in solitudine, dimenticato dai più. Ma non da sua figlia, che ha sempre gridato ai quattro venti quanto il padre fosse un grande artista incompreso. Un’arte che oggi, nel giorno della sua scomparsa, pesa come un macigno nei cuori del pubblico italiano, che non ha mai dimenticato quanto il ragionier Ugo fosse in realtà lo specchio della nostra fragilità. Tra una risata e l’altra. Perché Fantozzi fa solo tragiche rime.“Faccio l’accento svedese?” di Mario PetilloHo un doppio personalissimo ricordo di Paolo Villaggio. Un giorno, in radio, con il suo fare molto diretto, da persona spigolosa qual era, ironizzò sullo stupro di una ragazza, vestendo di comicità quell’aspetto drammatico come solo lui era riuscito a fare milioni di volte nei suoi personaggi. Fu una battuta sopra le righe, come la più famosa uscita sui sardi e i loro rapporti con le pecore, che tantissime offese gli fece guadagnare: però Villaggio era così, diretto e schietto. E per questo a me piaceva. Anche quando ebbi l’onore, perché solo così si può definire, di intervistarlo riuscì a essere arido nei miei confronti. Parlavamo di Sampdoria, di calcio, di derby, della sua Genova: “Il calcio italiano è finito: anche in Turchia ci stanno superando – mi disse – meglio un incontro di pugilato: almeno in campo ci sono uomini”. Poi in chiusura una provocazione forte, dopo una lunga chiacchierata e le mie tante domande non fatte su Faber, sul se volesse darlo un ceffone a Grillo, suo amico di gioventù, per quello che stava facendo: “Se le comprano Messi, la vince pure lei la Serie A, Petillo!”. Pure un fesso come me, insomma, con i giusti mezzi avrebbe potuto conquistare il mondo. Ed era una visione giusta, che con il suo modo a pugno duro, con i denti serrati e gli occhi corrucciati, contro il mondo e contro la vita, ci aveva insegnato a ridere delle disgrazie che quotidianamente ci accompagnano. Mai come stavolta, però, anche se Villaggio non c’è più, sarà come averlo sempre accanto, grazie a Fantozzi, grazie a Fracchia, grazie a ciò che ha fatto, a ciò che farà per le generazioni a venire. Perché Villaggio ha conquistato l’immortalità tantissimi anni fa.
Desideriamo chiudere questo piccolo omaggio con le sentite condiglianze alla famiglia di un uomo e un padre, prima ancora che un attore indimenticabile, capace di lasciare un segno realmente profondo nel cinema italiano come solamente pochi prima di lui. Ciao, Paolo.