Lo scorso 26 aprile Activision ha annunciato ufficialmente Call of Duty: WWII, quattordicesimo capitolo della serie, iniziata nel 2003. Un acclamato ritorno alle origini, dopo i diversi episodi ambientati in epoca contemporanea e futuristica. Con Call of Duty: WWII, infatti, si ritorna a combattere nel ruolo degli Alleati nell’Europa devastata dalle tirannie nazi-fasciste. In particolare, la data cui fa riferimento il titolo è il 6 giugno 1944: giorno dello sbarco in Normandia, noto anche come D-Day. Si tratta di una delle operazioni più grandi del secondo conflitto, che ha visto la partecipazione di oltre 5000 navi e tre milioni di uomini. Un evento che ha messo alle strette la potenza nazista, contrastata nel versante est dall’Armata Rossa.
Nel trailer, la calda voce del presidente Franklin Delano Roosevelt annuncia al popolo americano la grande impresa che compiranno i soldati statunitensi, che saranno pronti a sacrificare loro stessi per consentire al resto del mondo di vivere libero.
Dove gli altri hanno osato
Tanta epicità nei due minuti di video, sapientemente sfruttata dagli sviluppatori Sledgehammer Games che, presenti all’evento di presentazione tenutosi a Londra, hanno rilasciato ulteriori dichiarazioni, mettendo in rilievo la forte impronta storica che caratterizza il titolo. Ci sono voluti due anni e mezzo di ricerche sui territori colpiti dalla guerra, come la Francia, il Belgio, il Lussemburgo e la Germania, proprio perché l’obiettivo del team è quello di narrare un capitolo della Seconda guerra mondiale nella maniera più fedele possibile alla realtà. Perché è inutile negarlo:
la storia può essere noiosa tra i banchi di scuola, ma viverla in prima persona da protagonista di un videogioco ha un fascino che nessun altro medium può dare. La dimostrazione più evidente è stato l’annuncio di
Battlefield 1 in risposta al precedente
Call of Duty: Infinite Warfare. Il pubblico ha reagito con entusiasmo all’ultimo titolo di DICE, la quale si è rivelata audace nel trattare la Prima guerra mondiale, un argomento spesso tralasciato dalla cultura pop. Una sfida che aveva intrapreso Ubisoft Montpellier nel 2014 con
Valiant Hearts, che però non era certo uno sparatutto, né aveva le pretesa di rivolgersi a un grande pubblico. Tuttavia, sia
Valiant Hearts che
Battlefield 1 hanno avuto il merito di rendere appassionante un evento un po’ troppo snobbato dall’opinione pubblica, ma che in realtà ha sancito l’ingresso, violento e truce, della modernità all’interno del conflitto. Il tutto rappresentando i diversi punti di vista di coloro che, volenti o nolenti, si sono ritrovati coinvolti nella Grande Guerra.
Contro i nazisti e gli zombie, di nuovo
Al contrario, la Seconda guerra mondiale è tra i temi storici più trattati sia dai fumetti, sia dal cinema, sia dai videogiochi. Un conflitto che ha avuto conseguenze allucinanti con i suoi 70 milioni di morti, ma che viene espresso nei suoi soliti eventi chiave, in un’ottica semplicistica di buoni vs cattivi. Molto deriva dalla visione di massa generata dai vincitori, che ha creato l’immagine del nazista come simbolo del Male per eccellenza. Una caratteristica enfatizzata dalla modalità Zombie, che sarà presente anche in Call of Duty: WWII: trasformati in non-morti – figure simbolo dei villains nella cultura popolare – i nemici assumono metaforicamente e soprattutto fisicamente il ruolo di cattivi , specialmente quando essi sono i nazisti. Per carità, non vi è niente di più galvanizzante che sparare a un nazi-zombie, tuttavia rivivere più volte la stessa situazione (sbarco in Normandia), con la stessa chiave di lettura (buoni vs cattivi), potrebbe apparire demotivante a chi è dotato di senso critico. La Guerra non cambia mai, dice la voce narrante di Fallout 3. E forse ha ragione. Perché non importa se gli Stati Uniti sganciarono la bomba atomica; non importa se gli Alleati bombardarono aree con lo scopo di creare reportage propagandistici contro i tedeschi (Abbazia di Montecassino), o tacquero davanti ad alcuni crimini di guerra, come le cosiddette “marocchinate” effettuate dai goumier francesi in Italia; in guerra tutti diventano carnefici, ma la storia la fanno i vincitori, e Call of Duty: WWII vuole continuare a raccontarla in un ennesimo capitolo che vede americani e il resto del mondo contro i soliti cattivi.
Tra storia e cinema, di nuovo
Certo, il videogioco non deve insegnare, poiché il suo scopo primario è quello di intrattenere. Call of Duty ci è sempre riuscita, dato che è tra le serie videoludiche più floride e remunerative. Per cui se Sledgehammer Games dimostra quanto detto, Call of Duty: WWII sarà probabilmente un titolo avvincente, sia nella modalità Campagna che in quella Multiplayer, grazie a una cura dell’arsenale bellico e a una narrazione cinematografica di qualità. Due elementi che sono stati presentati con entusiasmo come grande novità all’evento di Londra, ma che in realtà sono due marchi di fabbrica della serie: riguardo lo stile cinematografico, ad esempio in Call of Duty: World at War – ambientato sempre durante la Seconda guerra mondiale tra il fronte europeo e quello sul Pacifico – alcune scene richiamano in maniera evidente il film di Steven Spielberg Salvate il soldato Ryan. O ancora, in Call of Duty: Black Ops, vi è la missione in cui, pilotando un bombardiere, si incendiano le basi e i mezzi occupati dai vietcong, che rimanda ad Apocalypse Now di Francis Ford Coppola.
I palesi richiami stilistici al mondo del cinema, e l’accuratezza storica evidente nella riproduzione delle armi e nell’uso di audio e video originali dell’epoca trattata, sono quelli che compongono la Selective Authenticity, ovvero una autenticità selettiva, individuata dagli studiosi Andrew J. Salvati e Jonathan M. Bullinger negli sparatutto a tema storico, e in particolare modo nella serie di Call of Duty, in modo tale da immergere il giocatore in un ambiente verosimile.
L’incubo del fallimento
Tanta qualità dunque, che però non sembra portare a qualcosa di nuovo. Oltre all’inserimento di personaggi femminili giocabili nella modalità Multiplayer (e in effetti si tratta di una grande novità per una serie caratterizzata da sempre da personaggi maschili), pare che Call of Duty: WWII abbia sistemato le vesti sgualcite indossate dalla serie anni fa, e le abbia re-indossate. E qui arriviamo alla seconda riflessione che attualmente caratterizza la game industry: la paura di rischiare. Cliff Bleszinski, il noto CEO di Boss Key Production, ha recentemente dichiarato, in occasione della Reboot Develop Conference, che i cosiddetti titoli Tripa A richiedono milioni di dollari per il loro sviluppo. Un dispendio di risorse e denaro quasi insostenibile, e che non può permettersi il minimo errore. Pena: il fallimento. Call of Duty: WWII vuole avere tutte le caratteristiche di una mossa sicura, che si affida alla nostalgia dei fan, navigando nelle acque sicure di un pubblico ormai fidelizzato.
Forse questa è un’analisi un po’ troppo dura per un gioco che ha mostrato solamente la sua cornice, e fino alla sua data di uscita, fissata il 3 novembre 2017, potrebbero uscire ulteriori novità che smentirebbero in parte questo articolo. Allo stesso tempo, però, quanto mostrato e affermato dagli sviluppatori rende Call of Duty: WWII un ennesimo capitolo (il quinto della serie) ambientato nella Seconda guerra mondiale. Un evento così catastrofico e così sfaccettato da permettere la trattazione di nuovi spunti, ma che viene espresso ancora una volta in una rappresentazione quasi stereotipata di buoni contro cattivi. Dunque, se il pubblico videoludico è ormai diventato davvero esigente, bisogna che lo diventi pure nei contenuti di un videogioco, altrimenti avremo sempre la stessa minestra, semplicemente riscaldata con una grafica più bella.