Roma – A pochi giorni dal lancio di Beyond: Due Anime, Sony ha organizzato un evento in un sontuoso albergo della Capitale, allestendo una conferenza stampa presenziata da David Cage e Willem Dafoe, che nel gioco interpreta lo scienziato Nathan Dawkins. Sebbene l’atmosfera sia quella di una prima cinematografica, qui non ci sono tappeti rossi dove sfilano le star; non ci sono attori che sostano davanti a una calca di giornalisti per farsi fotografare esibendo grandi sorrisi e la sicurezza autoritaria di chi sa di essere il protagonista assoluto. Qui, tutto è più sobrio e timido; gli addetti ai lavori non sono dei mastini d’assalto, ma dei ragazzi che si presentano in tenute sportive e casual senza badare troppo alla forma, e che si assiepano davanti al loro idolo per ottenere un autografo sulla propria copia di Heavy Rain subito dopo la chiusura della conferenza stampa. I tempi, per loro, non sono ancora maturi, ma cominciano a esserlo per un medium che sta assumendo sempre più importanza anche a livello nazionale, e lo dimostra la presenza corposa della stampa generalista, della televisione italiana e dei quotidiani, che finalmente mostrano grande interesse per quello che volenti o nolenti è la tipologia di videogioco che più di tutti richiama all’attenzione. Possiamo criticare David Cage per molte sue scelte controverse, è vero, ma dobbiamo anche riconoscergli il merito di aver destato dal torpore un certo tipo di stampa snobista che mai aveva preso in considerazione le potenzialità del videogioco. Adesso il vento comincia a soffiare più forte, la consapevolezza è diversa e gli occhi curiosi sono aumentati a dismisura. E questo non può che farci un immenso piacere. Alla fine dell’evento, durante il pomeriggio, mi sono fermato in una sala conferenze ormai completamente vuota, e mi sono seduto davanti a David Cage, parlando a bassa voce come se dovessimo confidarci dei piccoli segreti. Ecco quello che ci siamo detti.
Spaziogames: Hai mai pensato, per i tuoi giochi, di implementare un modo più tradizionale di raccontare una storia o credi che questa sia la via migliore per approcciarsi alla narrazione nei videogiochi?
David Cage: Non puoi mai dire di aver trovato il modo migliore e la soluzione perfetta, ed è per questo che sto intraprendendo diverse direzioni gioco dopo gioco. Puoi sempre migliorare e non ho idea di quale sarà il risultato da qui ai prossimi vent’anni. So di aver fatto dei progressi, ma so anche che c’è ancora molto lavoro da fare. Inoltre, non credo ci sia un modo migliore e uno peggiore per raccontare delle storie: guarda Ico, ad esempio; racconta una storia in una maniera completamente diversa rispetto a Heavy Rain e Beyond, ma lo fa in modo altrettanto magistrale. Per quanto mi riguarda, ho la volontà di esplorare nuove tipologie di narrativa e con questo non voglio dire che la mia sia la via perfetta, o quella sbagliata, o quella più giusta; è solo una delle tante.
SG: Dopo aver ascoltato le lamentele sul gameplay dei giochi sviluppati da voi di Quantic Dream, onestamente, riconosci qualche limite in questo tipo di formula?
DC: Ci sono persone che hanno aspettative molto diverse fra loro. Per alcuni, interagire significa imbracciare un’arma e sparare al nemico, e questo costituisce l’essenza del gioco. Io sono distante da questa visione perché non credo che uccidere persone sia necessario per rendere un videogioco interattivo. Nessuno può dire “questo è un gioco e quest’altro no” perché nessuno è il detentore delle regole di questo mondo e pertanto non ha questo potere decisionale. Tre milioni e mezzo di persone hanno comprato e giocato Heavy Rain, quindi è chiaro che sia piaciuto e che siano rimasti contenti delle sensazioni che hanno ricevuto da questo titolo. Significa forse che è un’opera per tutti? No, assolutamente no. A molti piace Call of Duty e mi sta bene; ad altri piace Heavy Rain e ad altri ancora spero piaccia Beyond. Non a tutti piacciono le stesse cose.
SG: Perché l’industria dei videogame dovrebbe essere più vicina a quella del cinema per aumentare la sua popolarità ed evolversi? Credi che sia un passo necessario per diffondere maggiormente questa forma d’arte o ci sono altre vie da esplorare che possono rivelarsi uniche?
DC: Prima di tutto non cerco di avvicinarmi al cinema, ma provo a raccontare delle storie che siano interattive, e per farlo cerco di escogitare il metodo migliore, quindi ritengo sia giusto utilizzare degli attori in carne e ossa. E mi preme dire ancora una volta che ci sono altre vie per farlo. Ho menzionato Journey, Flower, Unfinished Swan, Gone Home, Brothers e Papo & Yo: tutti questi giochi sperimentano cose diverse. Per questo motivo, non penso che ci sia la necessità di copiare il cinema per raggiungere certi obiettivi. Mi fido del mio istinto e cerco di offrire un’esperienza che sia il più emozionante possibile e interessante, e ripeto: ci sono persone a cui piacerà e altre che non ne vorranno sapere nulla.
SG: Lavorare con attori come Willem Defoe ed Ellen Page rappresenta certamente un gran vantaggio per quanto riguarda la possibilità di comunicare autentiche emozioni ai giocatori. In questo senso, qual è la prossima sfida per te e per il tuo studio di sviluppo?
DC: Onestamente, c’è davvero parecchio lavoro ancora da fare. In questo momento stiamo lavorando a un nuovo progetto su PlayStation 4 che sarà molto, molto diverso dal solito. L’impronta è simile a quella che già conoscete ma stiamo provando qualcosa di totalmente nuovo. L’industria, fino a oggi, nella maggior parte dei casi non è andata molto avanti e continua a offrire titoli in cui dovete sparare a cose o persone. O guidare automobili. Principalmente siamo ancora fermi lì. Sono pochi i giochi che cercano di andare in altre direzioni e che abbiano davvero lo scopo di offrire qualcosa di diverso; noi stiamo proprio cercando di fare questo e continuiamo a chiederci cos’altro possiamo fare con l’interazione che sia diverso dal solito sparare a tutto ciò che avete di fronte. Ecco qual è la nostra vera sfida.
SG: Qual è davvero l’obiettivo che vuoi raggiungere nella tua carriera? E Quali sono i traguardi che ti poni durante lo sviluppo di ogni gioco?
DC: In realtà non penso molto alla mia carriera; non cerco nemmeno di fare piani futuri e immaginare dove sarò fra dieci o vent’anni. Mi focalizzo continuamente sulle nuove idee e cerco di essere il più sincero possibile, mi fido delle mie intuizioni e faccio di tutto per realizzare ciò in cui credo di più. E potrei anche completamente sbagliare! Ma perlomeno saprò di averlo fatto al meglio delle mie possibilità. Non penso alle conseguenze che queste scelte avranno sulla mia carriera, ma provo sempre ad essere onesto e diretto, e punto tutto su quello che credo sia la cosa più giusta per me. Tutto qua.
SG: Hai mai pensato alla possibilità di implementare un open world nei tuoi giochi o pensi che questo non sia assolutamente funzionale per il tuo modo di raccontare le storie?
DC: Vedi, gli open world possono essere molto interessanti, ma dipende dal tipo di storia che vuoi raccontare. Sono grandiosi se hanno effettivamente un senso, ma spesso si tratta solo di portare a termine delle missioni che ti trascinano dal punto A al punto B, poi al punto C e poi ancora verso un’altra destinazione; ti obbligano ad andare a prendere un oggetto, portarlo indietro, darlo a un personaggio e via dicendo. Poi puoi fermarti, cominciare un’altra missione ed ecco che la storia si ripete, riducendo il gioco a qualcosa che a ben vedere è molto lineare. Alcune volte i giocatori sono confusi dalla grandezza degli open world, mentre altre volte non è affatto così, perché ci sono molti titoli che fanno delle cose magnifiche e impressionanti. Spesso però si tratta di enormi spazi in cui si passa la maggior parte del tempo a viaggiare, e questo per me è molto noioso.
SG: Capisco cosa intendi. Quindi è una possibilità che ti senti di escludere?
DC: Non in maniera assoluta, no. È una possibilità, ma solo se posso raccontare una storia interessante che possa generare delle emozioni. Gli open world devono avere un senso, altrimenti è meglio lasciar perdere. Ovviamente non sono contro questa tipologia di gioco e anzi sono interessato, ma ne deve valere la pena.
SG: Dopo aver provato a lungo il gioco e aver osservato la sua struttura non posso fare a meno di farti questa domanda: perché anche questa volta hai optato per un tipo di interazione che prende per mano e aiuta così tanto i giocatori?
DC: Aiutare così tanto i giocatori… cosa intendi di preciso?
SG: Spesso ci si muove continuamente da un punto all’altro avendo delle indicazioni ben precise su cosa fare, con un interfaccia che mostra chiaramente quale direzione prendere, ad esempio con un pallino bianco che evidenzia la porta da aprire e che mette in risalto l’oggetto da dover toccare e usare per far così proseguire il giocatore verso la scena successiva. Intendo questo.
DC: Certo, certo, hai avuto questa sensazione… ma se dovessi eliminare il pallino bianco, andresti contro ogni muro e premeresti in continuazione il tasto azione fin quando non trovi il punto esatto da cui parte l’interazione, e questa non è l’esperienza che voglio creare, ma forse è quello che qualche giocatore si aspetta. Per me è noioso e non è ciò in cui credo. Non vorresti trovare il pixel giusto da cliccare, ma vorrai pensare a cosa fare e alle conseguenze delle tue azioni. Capisco e rispetto le persone che vorrebbero dei puzzle, un inventario, qualcos’altro di più classico e altro ancora, ma questo non è il tipo di offerta a cui puntiamo con Beyond.
SG: Pensi che sia impossibile raggiungere la stessa qualità senza attori in carne e ossa? Continuerai su questa strada?
DC: È qualcosa che abbiamo già fatto tredici anni fa con giochi del passato come Omikron; anche Fahrenheit era così. Ma poi ci siamo fermati perché evidentemente non funzionava; avevamo fallito nel nostro intento. Creavamo personaggi che non esistevano, che non avevano consistenza, che non apparivano come delle persone reali. Per giochi che puntano al realismo – e con questo non dico che sia una necessità, ma solo che è ciò a cui puntiamo noi – è importante lavorare con degli attori. Tutto sembra molto più credibile e ha un aspetto migliore, più d’impatto: questa è la mia esperienza e ho tutte le intenzioni di andare avanti su questa strada e continuare a sperimentare con la narrazione e l’interattività dei videogiochi.
Beyond: Due Anime, con ogni probabilità, dividerà ancora una volta critica e pubblico. La sensazione di stare davanti a una lieve evoluzione di Heavy Rain è molto forte, ma se a livello di gameplay non ci sono novità degne di nota, dal punto di vista narrativo è molto interessante il modo di raccontare la storia in un ordine non cronologico. Basterà una grande storia, da sola, ed elevare la nuova opera di Quantic Dream? Lo saprete a breve con la nostra recensione.