Arrivederci, Satoru Iwata

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a cura di LoreSka

E così una mattina ti svegli, e scopri che Satoru Iwata non c’è più. La notizia ha scosso il mondo dei videogiochi: il presidente e amministratore delegato di Nintendo è scomparso all’età di 55 anni per un cancro alle vie biliari, dopo avere lottato a lungo con una malattia nota, ma il cui decorso è stato ben nascosto agli occhi dei fan.
La sua morte è avvenuta in uno dei momenti più difficili nella storia di Nintendo, con una console casalinga incapace in oltre due anni e mezzo di raggiungere dieci milioni di pezzi venduti e un destino non chiaro, fatto di dichiarazioni fumose, di progetti top secret e con lo spauracchio del gaming su smartphone e tablet all’orizzonte.

Da un grande potere derivano grandi responsabilità
La storia dell’ascesa di Iwata, però, inizia proprio in un momento di crisi. A partire dal 1983 un poco più che ventenne Satoru Iwata inizia la sua carriera di creativo presso gli HAL Laboratories, storico sviluppatore affiliato a Nintendo e creatore della serie Earthbound. La storia di HAL Laboratories, però, fu travagliata: i titoli prodotti non riuscivano a ingranare fuori dal Giappone, e dieci anni dopo l’arrivo di Iwata, l’azienda se la passava male: l’azienda divenne insolvente nel 1992, e presentò un’istanza di fallimento di protezione. Nintendo, che da oltre dieci anni si affidava alle mani di HAL Laboratories, corse in aiuto: l’allora presidente Yamauchi decise di salvare la società, e nel 1993 decise di affidarne le sorti all’ex giovane sviluppatore, Satoru Iwata. L’investitura sarebbe però giunta ad una condizione: se l’azienda avesse fallito, parte del debito di oltre 1,5 miliardi di Yen sarebbe stato ripagato dalle finanze personali del neo presidente. Iwata, con spirito di sfida e forse un pizzico di follia, accettò le condizioni e si rimboccò le maniche per riportare HAL Laboratories sulla retta via attraverso ciò che sapeva fare meglio: videogiochi di alta qualità.
HAL Laboratories aveva nel proprio portfolio un nuovo gioco sviluppato da Masahiro Sakurai, chiamato Kirby’s Dream Land. Il gioco impiegò due anni a superare il milione di copie vendute, ma Iwata ebbe l’intuzione di farne un franchise e si dedicò allo sviluppo di nuovi titoli della saga, spesso scendendo egli stesso in prima linea, scrivendo righe di codice dopo il lavoro. Nei cinque anni successivi Iwata produsse otto giochi della serie Kirby, e la famelica pallina rosa divenne uno dei personaggi più iconici della storia di Nintendo. Fu nel 1998, però, che HAL Laboratories cambiò per sempre la sua storia: Sakurai realizzò il prototipo di un picchiaduro e vi inserì i personaggi di Nintendo. Iwata, che aveva il dovere di comunicare a Nintendo l’esito dei propri progetti, decise di tergiversare ed evitò di spiegare il concept ai propri referenti. Quando il gioco fu bilanciato, Iwata si presentò alla sede di Kyoto con il prodotto fra le mani. Il timore era che Nintendo non accettasse di vedere i propri personaggi fare a botte al di fuori dei propri giochi, ma l’idea venne accolta a braccia aperte: era nato Super Smash Bros. Al sesto anno di presidenza di Iwata, HAL Laboratories era di nuovo in attivo, e il presidente – non ancora quarantenne – divenne uno degli uomini di punta della fiorente industria videoludica giapponese.
Il passaggio a Nintendo
In Occidente, di fronte a un successo di queste proporzioni, un presidente è naturalmente portato ad inorgoglirsi e a vantarsi pubblicamente delle proprie azioni. Ma qui siamo in Giappone, e Iwata preferisce cogliere l’occasione di una visita di Yamauchi per ringraziarlo. “Grazie per avere creduto in noi” gli dice. “Grazie a lei ce l’abbiamo fatta”. Yamauchi lo guarda, e senza battere ciglio gli risponde: “Verrebbe a lavorare con noi?”. Iwata, in quel momento, viveva una situazione personale molto combattuta: Sony era al vertice delle classifiche di vendita con la sua PlayStation, e aveva in lavorazione una console destinata a battere ogni record. Il colosso giapponese stava tentando di fare entrare nelle proprie grazie i più grandi uomini-chiave dell’industria videoludica nipponica, e il nome di Iwata non era passato inosservato. Probabilmente Iwata aveva già in mano un’offerta di lavoro, e probabilmente questa offerta era multimilionaria.
Eppure, non occorsero che pochi istanti per prendere la propria decisione. Iwata si sentiva in debito nei confronti di Yamauchi, complice di averlo trasformato da smanettone a manager nel giro di una notte, e accettò l’offerta. I tre anni successivi vedono Iwata risalire i piani dell’edificio di Minami-ku a Kyoto: presto si forma un sodalizio con Shigeru Miyamoto, e la storia di Nintendo cambia per sempre.
Divenuto delfino di Yamauchi, Iwata viene nominato presidente ad appena tre anni di distanza dal suo ingresso in azienda: al pensionamento del presidentissimo, Iwata assume le redini della società e si prepara alle sfide future. In quel momento, il marchio Gameboy stava soffrendo di obsolescenza e Iwata decise di puntare su di un concept totalmente nuovo, per un pubblico inedito. La console Nintendo DS venne sviluppata con in mente l’idea di allargare il pubblico dei videogiocatori, una caratteristica che Iwata ha portato avanti fino alla sua scomparsa.
Fu sotto la sua guida che Nintendo si aprì al mercato dei giocatori casual, e fu grazie alle proprie idee – spesso osteggiate dai fan di lunga data – che la società tirò fuori dal cilindro la console Nintendo Wii, capace di dominare il mercato nella scorsa generazione e artefice di uno dei più grandi cambiamenti paradigmatici della storia dei videogiochi.

Figura “dietro la scrivania”, forse meno frivola e simpatica di Miyamoto, Iwata ha saputo rischiare, ha saputo seguire la propria strada, ha saputo spingersi laddove nessuno ha mai osato. Ha vinto, ha perso, ha sbagliato ed è ripartito. È con profonda tristezza, dunque, che accogliamo la notizia della sua morte: in un periodo di difficoltà come quello che sta vivendo Nintendo in questi mesi, l’intraprendenza di Iwata e la sua capacità di non fermarsi di fronte alle sfide più difficili mancheranno di certo alla società e, più probabilmente, all’intero mondo dei videogiochi. Arrivederci, Satoru.

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