Il mercato videoludico vanta indubbiamente un rapporto quantomeno atipico con il sempre più onnipresente marketing. In fondo, si tratta di un settore particolarmente giovane, il cui target ha avuto modo di crescere e cambiare in tempi semplicemente da record. Si è passati dalle aggressive campagne pubblicitarie di Commodore e Sega (che a differenza di oggi, talvolta non si facevano scrupoli nello schernire esplicitamente il prodotto rivale) alle bizzarre trovate di Nintendo, fino ai grotteschi e surreali spot di inizio 2000 da parte di Microsoft e Sony (vengono in mente, rispettivamente, il commercial Xbox “Life is Short” e la pubblicità che David Lynch ideò per PlayStation).
Come dimenticare poi il caso I Love Bees? Per i poco informati, diverse persone si ritrovarono per posta un vasetto di miele con annessa una lettera (capace, se decifrata, di ricondurre ad un sito internet); in breve il fenomeno attirò l’attenzione del web. Migliaia di individui sparsi per il globo finirono così col partecipare attivamente, tra internet e vita reale, a quello che si rivelò successivamente un ARG (Alternate Reality Game), un intricato gioco di enigmi – in grado di attirare circa tre milioni di visitatori – legato ad un’apparente intelligenza artificiale giunta sulla terra per ragioni ignote. Pochi sospettavano che dietro al misterioso fenomeno potesse celarsi nientemeno che Microsoft, in un riuscitissimo (e pluripremiato) tentativo di advertising per il proprio gioco di punta dell’epoca, Halo 2. Ad oggi, l’esperimento è ancora ricordato tra gli esempi più elaborati ed innovativi di viral marketing visti nell’industria (e non).
Tuttora le grandi produzioni tripla A somigliano sempre più ai blockbuster hollywoodiani, anche per quanto riguarda il reparto marketing: sebbene quindici anni fa potesse risultare impensabile, oggi non è raro ritrovarsi inondati da spot televisivi, ubiqui banner online e (specialmente all’estero) giganteschi cartelloni pubblicitari a tema videoludico. Il bacino d’utenza è irrimediabilmente più ampio di un tempo, e la disponibilità economica dei grandi nomi dell’industria non ha potuto che aumentare di conseguenza. In fondo non è raro – non più, almeno – che un’ampia fetta del budget affidato ai progetti più ambiziosi venga riservato proprio al marketing (per portare un esempio lampante, CoD: Modern Warfare 2 venne realizzato con 50 milioni di dollari, ma Activision ne spese 200 per l’imponente campagna pubblicitaria).
Nonostante tutto, il mercato dei videogiochi resta tra i più “freschi”, mutevoli ed innovativi, il che continua a riflettersi ampiamente su determinate trovate pubblicitarie senza dubbio peculiari. Quanto fatto recentemente dalla band Anamanaguchi pare suggerirlo con una discreta chiarezza; in fondo, sfruttare la stampa videoludica per indurre un’ampia massa di lettori a scaricare un videogioco che nemmeno esiste, di certo non è tra i più usuali metodi di marketing.
Anamana-cosa?
Chiariamoci: non è la prima volta che questo singolare gruppo incrocia la propria strada con i videogiochi. In fondo, stiamo parlando dei ragazzi dietro all’apprezzatissima colonna sonora di Scott Pilgrim vs the World: the Game, nonché autori di alcune adrenaliniche tracce sentite in Bit Trip Runner.
Ad onor del vero gli Anamanaguchi non esisterebbero nemmeno, senza i videogiochi: la loro musica unisce strumenti tradizionali a sonorità elettroniche e digitali tipicamente chiptune (8-bit music, insomma). In altre parole, la base dei loro pezzi è spesso composta utilizzando un NES ed un Game Boy. Nulla di eccezionale, per chi bazzica negli ambienti più o meno underground del genere chiptune; la band tende comunque a distanziarsi dal “purismo” della micromusic, abbracciando influenze J-pop e rock. Ma chi sono realmente gli Anamanaguchi? E come avrebbero indotto esattamente la stampa videoludica a prender inconsapevolmente parte alla propria campagna pubblicitaria?
Il nome apparentemente impronunciabile è nato dall’unione (in salsa “linguaggio alla Jabba the Hutt“) di Armani, Prada e Gucci, aziende che il gruppo frequentò in veste di giovani stagisti. Dopo esser stati notati in svariati bassifondi del web (tra tutti, 4chan) e raggiunto una certa fama – grazie ai brani rilasciati online -, il gruppo fu infine contattato da Ubisoft.
Per l’azienda francese, la band compose la soundtrack di Scott Pilgrim: l’album gli permise di approcciare iTunes ed Amazon (venendo presi sotto l’ala di una vera e propria etichetta discografica), introducendo gli Anamanaguchi all’effettivo mercato mainstream. Anche qui ovviamente, le influenze videoludiche si sprecano: la OST da loro composta si pose infatti l’obbiettivo di ricalcare le atmosfere dei bei picchiaduro a scorrimento tipici dei cabinati arcade di un tempo (obiettivo ampiamente riuscito, stando a critica e pubblico).
Il successo
Lavorando con Ubisoft il gruppo ebbe modo di conoscere il talentuoso animatore Paul Robertson, genio della pixel art noto per i suoi numerosissimi lavori in ambito videoludico e non (dal più recente Mercenary Kings a Fez, da Drawn To Life a Contra 4, per non parlare delle collaborazioni con i Simpsons, il film Pixels, Gravity Falls e via dicendo). Più avanti, Robertson disegnò le cover di alcuni singoli della band, nonché una lunga sezione animata utilizzata in un videoclip.
Come già menzionato, sempre nel 2010 (anno della release di Scott Pilgrim) il gruppo partecipò alla creazione di Bit.Trip Runner, quarto capitolo dell’ormai nota serie: furono loro a firmare il brano del menù, nonché quello dei crediti (rispettivamente, Blackout City e Mermaid). Il successo vero e proprio della band arrivò poi con Endless Fantasy (il cui titolo si rifà palesemente al celeberrimo Final Fantasy), album nato come progetto Kickstarter. Il disco raccolse 50.000 dollari in poco più di 11 ore e 270.000 in totale, divenendo la seconda iniziativa musicale di maggior successo sul sito. Recentemente il gruppo si è esibito in Nord America, affiancando sul palco nientemeno che Hatsune Miku (o meglio, il suo ologramma), popolarissimo Vocaloid ideato da Crypton Future Media. Per chi non lo sapesse, si tratta della voce sintetizzata di una celebre doppiatrice, abbinata ad un personaggio (in stile anime) ed usata per comporre nuove canzoni: nel giro di qualche anno, Miku è riuscita a conquistare prima il Paese del Sol Levante, poi l’occidente (per mezzo della sua musica, videogames, manga, merchandise e via dicendo), raggiungendo una notorietà quasi globale.
Ma gli Anamanaguchi non hanno rotto il lungo “silenzio” creativo conseguente alla release di Endless Fantasy presentandosi direttamente in tour con una celebrità virtuale: serviva un’entrata in scena d’impatto, per ricordare al proprio pubblico di quali stravaganze fossero capaci. Dopotutto, stiamo parlando degli stessi individui che ad oggi possono vantare di aver spedito una fetta di pizza nello spazio, con tanto di telecamera per riprendere l’irripetibile evento (sul serio, lo hanno fatto davvero).
Capsule Silence XXIV
Come molte grandi (o terribili) storie, anche questa inizia su 4chan: la tristemente nota imageboard è stata ancora una volta scelta come mezzo per la diffusione di materiale leakato. Questa volta, riguardante un videogioco in sviluppo. Venne infatti linkato un account di Dropbox, contenente un PDF con varie informazioni circa un inedito titolo indipendente; il documento venne poi postato su Reddit, e conseguentemente rimosso.
Non che fosse poi particolarmente necessario: qualche giorno dopo (lo scorso marzo), un noto sito del nostro settore pubblicò un articolo proprio sul progetto in sviluppo. Il gioco, “Capsule Silence XXIV“, venne svelato in anteprima ai colleghi d’oltreoceano tramite una presentazione a porte chiuse, sebbene fosse ancora privo di effettivo gameplay o assets concreti.
Apparentemente, il titolo restò per diverso tempo in sviluppo nel neonato studio NHX; l’articolo lo descrive come “un FPS con elementi RPG basato sulla storia e l’esplorazione, con la musica come nucleo dell’esperienza“.
Riassumendo, il giocatore impersona un orfano intento a scoprire la verità sul proprio misterioso passato: i membri del gruppo Anamanaguchi sono intrappolati in svariate zone del mondo di gioco, e spetterà al protagonista il compito di salvarli. La band annunciò di aver composto la soundtrack per il gioco, partecipando attivamente allo sviluppo. Il titolo era previsto per PC, Mac, console, ed eventualmente realtà virtuale; almeno, prima che le cose si complicassero.
Due giorni dopo, infatti, la situazione degenerò improvvisamente senza alcun preavviso: la band iniziò a pubblicare una sequela di post “vivaci” (sul proprio account ufficiale di Twitter) ai danni degli sviluppatori di Capsule Silence.
“Volete un commento? (…) ‘metterà a rischio l’integrità’ del vostro mer*so gioco.“
“Avete tirato su 33 milioni di dollari per questa mer*a, non noi“
“Un vostro kickstarter avrebbe 10 backers” (…)
“Anche se fate 1000 milioni non cambia il fatto che i vostri figli probabilmente vi odiano” (…)
“E se fosse il loro mer**o FPS SciFi RPG a non fare per noi?“
“I tizi di NHX hanno detto ‘libertà creativa’ e ‘capitale del brand’, che apparentemente significa ‘libertà di fot**si mentre noi buttiamo milioni di dollari in stro**te’“
“La proprietà intellettuale è ridicola quanto possedere un terreno. E NHX è un terribile fot**o proprietario terriero“
Leak dopo leak
La situazione parve abbastanza chiara: evidentemente l’articolo del sito regalava una prospettiva fin troppo rosea circa le reali dinamiche dietro al silenzioso sviluppo di Capsule Silence. Apparentemente, le profonde divergenze creative tra la band ed il team di sviluppo arrivarono a sfociare in una tensione tale da mettere a rischio il progetto stesso. A conferma di ciò, gli Anamanaguchi stessi diffusero poi, nel bel mezzo del proprio rant, un brano inedito “che (stando agli sviluppatori) non s’intonava col gioco“.
Al che seguì un tempestivo commento da parte dello studio NHX, riportato in esclusiva (ancora una volta) sulle pagine del sito: “Come sapete, il gruppo (…) ha volontariamente violato i diritti d’autore di NHX.
Inoltre, gli artisti hanno diffuso su svariati siti web false dichiarazioni denigratorie riguardanti NHX.
Tutto ciò, nonostante lo studio non abbia fatto alcunché se non sostenere con tutto il cuore i membri del gruppo, sebbene abbiano preso decisioni tali da danneggiare finanziariamente NHX.“
L’intera faccenda culminò, tuttavia, con l’ultimo post che la band pubblicò su Twitter…
“fan**o. eccolo, capsule silence. Il gioco su cui abbiamo lavorato per tre anni“
…allegando il link al download di un file compresso.
Come se non bastasse, la posizione apparentemente estrema della band venne riconfermata sulla pagina facebook di Anamanaguchi: “per colpa della terribile esperienza lavorativa con NHX sul nostro nuovo ‘video game’ capsule silence, eccovelo“. L’immagine profilo della pagina venne dunque sostituita da un quadrato bianco contenente unicamente un url di Mediafire. A quel punto, una moltitudine di lettori del sito e fan degli Anamanaguchi si ritrovarono con un file .exe – leakato – tra le mani; il neonato Capsule Silence venne così pubblicato illecitamente online, a soli due giorni dall’annuncio. La vera sorpresa arrivò tuttavia poco più tardi. Almeno, stando a tutti coloro che decisero di cliccare un paio di volte sull’eseguibile appena scaricato.
Il gioco
Capsule Silence non si apre certo con le migliori premesse: veniamo a sapere fin da subito il motore grafico scelto per il titolo, Unity (nel canone, sì, di una montagna sterminata di indie, ma forse non indicato per un progetto ambizioso quanto un open world RPG-FPS). Il menù conferma in parte le aspettative: un logo dall’aria vagamente anni ’80 volteggia in un ridottissimo spazio circondato da uno skybox rotante in bassa definizione, in uno scenario che ricorda vagamente una brutta copia del menù del primo Halo. Il tutto richiama spiccatamente recenti tendenze estetiche e musicali sviluppate sul web e non (su tutti, lo stile stile Neo 80s). Una scritta sulla parte alta (e bassa) dello schermo recita “Questa è una copia promozionale non ufficiale autorizzata da NHX per dimostrazioni private e non commerciali. Qualunque uso pubblico o differente, come la duplicazione, è severamente proibito. Tutti i diritti sono riservati“.
La schermata iniziale non è l’unica somiglianza con Halo: iniziando una nuova partita ci si ritrova infatti nelle lande di un pianeta che richiama molto vagamente la prima missione di Combat Evolved. La qualità del comparto visivo è però talmente ridotta da ricordare molto da vicino gli scenari di un classico del ’99, Outcast – per personal computer.
Muovendo qualche passo è facile accorgersi di quanto limitato sia effettivamente lo spazio della mappa: facendo qualche metro si raggiungono infatti gli unici due elementi differenti dall’astronave dello spawn point (salvo gli alberi). Troviamo infatti, in primis, una capsula piantata nel terreno, affiancata dal cadavere di un soldato: da un display (apparentemente, un vecchio schermo CRT) che fortunatamente non mostra solo kanji giapponesi violacei, veniamo dunque a conoscenza dell’anno in cui si ambienta il gioco, il 4196. Non essendoci altro con cui interagire, al giocatore non resta che avvicinarsi ad un volteggiante cubo fluorescente (che all’apparenza ricorda vagamente la maglia di un hippie): solo allora parte la prima cutscene del gioco.
“The Cube… Impossibile“Quarta parete
L’attenzione viene spostata sull’astronave vista sullo sfondo; sopra ad essa, un modello poligonale fin troppo ben realizzato (almeno rispetto a tutto il resto) inizia un generico discorso criptico da cattivo stereotipato. L’ambiente intorno al giocatore muta improvvisamente tramutandosi in qualcosa di estremamente più demoniaco – specialmente comparandolo all’iniziale scenario a tratti idilliaco: il terreno, divenuto viola, inizia ad emanare fumo e il cielo si tinge di rosso. Un minaccioso orco aspetta di essere approcciato sullo sfondo; al nostro fianco compare una semiautomatica. Chiunque a quel punto interagirebbe con la pistola per sparare; il gioco, tuttavia, si interrompe improvvisamente dopo aver premuto il grilletto.
Si apre una finestra di comando sulla parte alta dello schermo:”Anamanaguchi Developer Console“
Compare un errore: apparentemente, sembra mancare il file delle munizioni. Digitando “help” veniamo a conoscenza di una lista di comandi disponibili: gravity (modificare la gravità del gioco), loadlevel (caricare un altro livello), list (per vedere i livelli) e quit (per uscire). Chiudendo la console ci si accorge di come l’orco sia scomparso, lasciandoci con assolutamente nulla da fare su un’isola abbandonata in mezzo all’inferno. Non resta che smanettare con i comandi della console; dopo essere entrati nella modalità a gravità 1 -la cosiddetta “party mode”- e saltellato per un po’, pare evidente quanto sia inevitabile tentare di cambiare manualmente livello.
Inserendo il comando loadlevel si ha modo di conoscere i sette livelli che compongono il gioco – o meglio, quelli che avrebbero dovuto comporlo: i primi due (title screen e chapter 0: intro) sono seguiti da una serie di file corrotti. Non si ha dunque modo di selezionare crediti, crafting del villaggio, investor demo vertical slices e the cube alternate boss, mentre l’ultimo livello (developer sandbox) risulta visitabile. Avendo già visto la schermata di titolo e l’intro del gioco, non resta che dare una chance proprio al cosiddetto sandbox.
Il sandbox dello spirito e del tempo
Il mondo in cui ci si ritrova richiama molto da vicino la stanza che i protagonisti di
DragonBall usano per allenarsi in momenti critici: una gigantesca ed abbagliante landa sterminata e piena di nulla (salvo una montagna di elementi non meglio definiti, ammucchiati in lontananza). Avvicinandosi di un poco ci si accorge di quanto vario sia l’assortimento di cianfrusaglie sparse in giro.
Solidi geometrici privi di texture affiancano piattaforme sospese in aria, edifici incompleti, qualche pianta, frammenti di costruzioni fluttuanti e un arcobaleno intento a fluire incessantemente dal cielo verso il centro della mappa. Muovendo qualche passo verso l’arcobaleno, l’attenzione del giocatore viene richiamata da un vecchio modello di
iMac G3, apparentemente parlante: il piccolo robot, dal design vagamente somigliante ad una rana (le casse del pc fanno da occhi), giace in un mucchio di solidi e colonne classicheggianti. “
Puoi farmi uscire?“
F.R.U.G è il nome del robottino che, dopo essere stato aiutato, ci ringrazia iniziando a fluttuare attorno al giocatore.
“Non posso credere di avere un nuovo amico! …Aspetta, tu non sei uno sviluppatore autorizzato. Pazienza, lol! Gli anamanaguchi sono scomparsi da un bel pezzo. Non so cosa sia successo, davvero… Forse i finanziatori del gioco si sono tirati indietro. Che si siano sciolti…?”.
A questo punto, se non erano già iniziati a spuntare diversi dubbi sulla natura del prodotto, risulta sempre più difficile credere di star giocando ad un’effettiva copia di un gioco legittimamente leakato contro la volontà dei creatori.
Frug ci spiega di trovarci nel sandbox, luogo dove gli Anamanaguchi “sviluppano il gioco, scrivono canzoni, codice e… roba“. La ridicola draw distance del livello svela, avvicinandosi alla struttura in mezzo alla mappa, un muro apparentemente impenetrabile: veniamo informati da Frug di non poter entrare (il cancello sfoggia la scritta “developers only”), ma se vogliamo il robottino “hackererà” il portone.
…Il che significa “annullare le collisioni del modello poligonale del cancello“, permettendoci di passarci attraverso.
Da vaporware a vaporwave
A questo punto il gioco assume un’impronta spiccatamente Vaporwave, mostrando uno scenario che pare davvero uscito dalla copertina di uno degli album del giovane genere musicale. Colori estremamente accesi e saturi accostano rudimentali modelli poligonali 3D, cascate cromatiche tendenti all’acido, una prevalenza spiccata del viola e del rosa, piante esotiche e riferimenti all’arte classica, il tutto racchiuso in infinite lande segnate da griglie digitali.
“Gli Anamanaguchi erano nel bel mezzo del lavoro sulla loro musica; hanno lasciato datatapes ovunque“: Frug pone involontariamente un obbiettivo al giocatore, incitandolo a trovare le cassette musicali. Potremo riprodurle col tape player di cui è provvisto il robot, che da quel momento in poi non smetterà di seguirci e commentare le nostre azioni (come una molto più ingombrante Navi di Ocarina of Time, insomma).
Non resta dunque che muoversi nel delirio digitale che si ha davanti, con la prospettiva di poter imbattersi praticamente in qualunque cosa. E intendo di tutto: il giocatore è portato ad esplorare ambienti all’aperto quanto al chiuso, imbattendosi, tra le altre cose, in vecchi cabinati arcade, macchinette del caffè estremamente americane, riferimenti in ogni dove a particolari sottoculture del web, strumenti musicali e fette di pizza sparsi un po’ dappertutto, un’iguana accompagnato da un post-it che intima di non toccarlo (perchè “settato su 99999 di danno al contatto”) e via dicendo. Ci si ritrova a guidare una Ferrari Enzo per la mappa, a leggere le innumerevoli note fuori di testa lasciate in giro, in psichedeliche e digitali dimensioni alternative contenute in bidoni della spazzatura, fino a fare il bagno nella jacuzzi affiancata dalla fontana dell’arcobaleno (da cui s’innalza, come una torre, la fluorescente scritta rotante “anamanaguchi”).
Tutto ciò, sulle dolci e sognanti note dei frammenti audio trovati in giro e riprodotti col supporto di Frug.
Insomma, a prescindere da quali fossero le aspettative nei confronti di questo particolare leak, è difficile arrivare a questo punto senza anteporre ai dubbi il godersi semplicemente (e curiosamente) quanto si ha di fronte.
Un po’ come internet
Nella sala principale della struttura più grossa troviamo, oltre ai neon viola fluorescenti appoggiati alle pareti (cosparse di foto degli Anamanaguchi), una postazione con tre monitor – con lo sfondo standard di Windows XP -. Accedendo al PC (denominato James HackerScopeXL) troviamo, oltre a vari link che rimandano a siti web esterni – abbassando il gioco a finestra ed aprendo il browser -, un annuncio: le stanze private degli Anamanaguchi sono bloccate in quanto “troppo pesanti”. Insomma, abilitarle consuma troppa RAM, appesantendo eccessivamente la simulazione. Fortunatamente, dal computer è possibile inoltre accedere alla gestione della RAM del gioco, disattivando alcuni elementi per alleggerire il sistema e permettendo l’accesso alle stanze private.
Le camere dei membri della band (prevalentemente, lussuosi attici con vista sul nulla) si rivelano presto un concentrato di oggetti ed elementi con cui interagire, dalle decine di post-it riguardanti gli argomenti più disparati alle infinite citazioni alla cultura pop e videoludica. Per citare qualche esempio, ci imbatteremo in un mucchio di scatole -sigillate – piene di Furby, un vecchio iPod gigante, un computer (pieno di immagini dei Simpsons, screens di facebook, twitter e di popolari anime), un poster di Hatsune Miku, Macbook e PC con vecchie versioni di Windows sparsi un po’ ovunque, qualche cartuccia del NES e parecchia altra robaccia nostalgica. Non mancano sorprese come item nascosti, stanze segrete ed elementi che avviano brevissime “sub-quest” (come quella che ci impone di trovare del formaggio per zittire un cane impagliato).
Per quanto non si faccia nulla di concreto, esplorare la mappa ed interagire con i suoi contenuti risulta in qualche modo piuttosto piacevole; dopotutto, ci si lascia trasportare dalla curiosità – e dalle note adrenaliniche del gruppo. Le sonorità a 8 bit (dichiaratamente ispirate ai vecchi videogames) proposte dalle audiocassette nascoste sono in fondo affiancate ancora una volta da influenze spiccatamente elettroniche e pop, sulla falsariga del sound tipico del gruppo.
Viral marketing, insomma
Sbirciando tra le mail private che gli Anamanaguchi hanno salvato sui propri laptop, troviamo – tra le altre cose – risvolti circa lo sviluppo di Capsule Silence, venendo a conoscenza di quella che sempre più chiaramente risulta la storia di un gioco che purtroppo (fortunatamente?) non c’è mai stato. Apparentemente, pare che NHX abbia speso una fortuna (attingendo dal budget del titolo) per una campagna marketing virale affidata ad un ente di terze parti, il tutto senza consultare la band. Lo scopo sarebbe stato quello di coprire gli evidentissimi buchi di trama destinati a far bocciare l’incompleto gioco dalla critica videoludica. Chiaramente, si ricalca la storia inventata e diffusa (inconsapevolmente) dal sito in questione, ed il conseguente rant inscenato su Twitter: giunti fin qui pare infatti evidente quanto Capsule Silence non fosse mai esistito fin dal principio, né ci fosse mai stata l’intenzione di crearlo (almeno, non come inizialmente annunciato).
Non che sia un problema: pian piano si finisce con l’esplorare tutto l’esplorare ed ascoltare tutto l’ascoltabile. A quel punto, è possibile accedere al “Frug Dungeon”, una stanza segreta sotterranea tappezzata di immagini di rane. Accedendo al PC nel sotterraneo, ci verrà proposta la possibilità di scaricare (sul nostro computer) tutte le tracce audio recuperate nel mondo di gioco, al costo di far crashare l’applicazione.
La reale natura del titolo si fa improvvisamente piuttosto lampante: il gioco ha avuto modo di tramutarsi da orrida demo in un’esperienza tanto surreale quanto in linea con la band che l’ha concepita. Basta poco per rendersene conto; quelli che troviamo in giro per la mappa e ascoltiamo bazzicando incuriositi non sono banali frammenti musicali qualunque.
Si tratta infatti dei veri e propri brani di quello che, de facto, risulta il nuovo “album” inedito degli Anamanaguchi.
…band che, di conseguenza, diventa probabilmente la prima nella storia della musica ad aver diffuso – gratuitamente – un proprio disco per mezzo di un videogioco.
Servendosi (tramite un’imprevedibile manovra di viral marketing) della pubblicità gratuita garantita da un sito di critica videoludica piuttosto popolare, per giunta.
Un album rilasciato in formato videoludico
Accorgendosi della beffa, il sito (Gamespot, per la cronaca) si affrettò a modificare il titolo dell’articolo in “Gli Anamanaguchi usano il viral marketing per la release del nuovo album: l’ultimo disco della band arriva in forma videoludica“. La testata si scusò inoltre con i lettori, ammettendo di non aver verificato a fondo la reale natura del gioco e degli sviluppatori; ma a quel punto, il “danno” era fatto. Vari siti concorrenti, come Destructoid e Polygon, vennero a conoscenza di Capsule Silence, scegliendo di coprire l’intera faccenda; molti più lettori vennero dunque a conoscenza del gioco, e di conseguenza dell’album al suo interno. Se l’obiettivo della band era quello di far parlare di sé (in modi del tutto non convenzionali), allora forse c’è da congratularsi con gli Anamanaguchi.
Ma alla luce dei fatti, cos’è Capsule Silence? Un progetto fallimentare concepito come vaporware fin dal principio? Un gioco che non verrà mai fatto uscire, se non in forma di incompleta alpha? Una presa in giro nei confronti di un celebre sito di critica videoludica? Un breve walking simulator dall’ottima soundtrack? Un bizzarro esperimento che tenta di ibridare musica e videogame? Il primo album distribuito in formato videoludico?
Forse, in casi come questi, è il pubblico a dover decidere.
Dopo aver lavorato con Ubisoft, contribuito a Bit.Trip Runner e spedito una pizza nello spazio, gli Anamanaguchi tornano a far parlare di sé. La band, già nota per aver realizzato la colonna sonora del gioco di Scott Pilgrim, ha annunciato lo sviluppo di un ambizioso titolo indipendente: il destino del neonato RPG-FPS “Capsule Silence XXIV” si è fatto tuttavia sempre più incerto. Dopo un paio di giorni, il gruppo si è infatti scagliato -su Twitter- contro i developers (per via di forti contrasti interni durante lo sviluppo), arrivando a leakare sul web l’intero -per quanto incompleto- gioco. L’alpha riesce però a stupire in tutto e per tutto, tramutandosi da orrida demo in un’esperienza del tutto surreale: quello che pareva un fallimentare FPS si evolve, nel corso della partita, in un bizzarro walking simulator dall’ottima soundtrack, ricolmo di innumerevoli richiami alla cultura pop e videoludica. Il delirio digitale che il giocatore è portato ad esplorare risulta però solo un mero pretesto. Lo scopo è infatti quello di collezionare (e in seguito, scaricare) quelli che pian piano si rivelano essere i brani del nuovo, inedito album della band: gli Anamanaguchi diventano dunque il primo gruppo musicale ad aver rilasciato un proprio album in forma videoludica. Il tutto, servendosi della pubblicità gratuita garantita da un noto (ed ignaro) sito di critica videoludica. Si sarà trattato di un unico caso isolato? Oppure il primo di una plausibile, futura lunga serie? Che videogiochi siano destinati a ricoprire un ruolo più o meno importante nel futuro del viral marketing (e, magari, della musica)?