2024: l’anno in cui i videogiochi hanno tradito se stessi

Il 2024 è stato un anno segnato da licenziamenti di massa, flop clamorosi e una crisi che mette in discussione il futuro stesso dell’industria videoludica.

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a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

Ci sono anni che passano alla storia per le loro rivoluzioni. E poi ci sono anni che restano impressi come una cicatrice, una ferita che non si rimargina. Il 2024 appartiene purtroppo alla seconda categoria, almeno per quanto riguarda il mondo dei videogiochi. 

Se il 2023 aveva già mostrato crepe evidenti nel sistema, il 2024 ha spalancato il baratro. Licenziamenti di massa, flop clamorosi e una crisi sistemica che non risparmia nessuno: è questo il triste ritratto di un’industria che, un tempo, rappresenta(va) il sogno di milioni di persone.

È come assistere a una catastrofe in slow motion, con il pubblico che guarda impotente mentre i colossi si sgretolano e i talenti vengono sacrificati sull’altare del profitto.

Ma come siamo arrivati a questo punto? E, soprattutto, c’è ancora speranza per il futuro? 

Licenziamenti, o l’apocalisse dei talenti

Partiamo dall’evidenza più tragica: i licenziamenti. In un’industria che si pavoneggiava come la più innovativa e dinamica (ben più di quella cinematografica), il 2024 ha visto studi di sviluppo sgretolarsi come castelli di sabbia sotto un temporale improvviso sin dai primi giorni dell'anno. Gente che fino a ieri lavorava a capolavori, oggi si ritrova a elemosinare un’opportunità su LinkedIn.

Non parliamo di piccole realtà indipendenti, ma di giganti come Microsoft, PlayStation e Activision Blizzard. I numeri sono impietosi: decine di migliaia di posti di lavoro tagliati in pochi mesi. Il mantra è sempre lo stesso: "ottimizzazione dei costi" e "riorganizzazione delle risorse". Tradotto: tagliamo teste per aumentare i margini, mentre gli executive brindano con champagne nel loro attico vista mare.

L’industria dei videogiochi si è accartocciata su se stessa, vittima di una visione miope che confonde la crescita con l’accumulo.
Come se non bastasse, il mercato delle console sembra aver imboccato una spirale discendente da cui non riesce a uscire. Le vendite di PlayStation 5 e Xbox Series X|S hanno subito un calo significativo, complice una combinazione letale di prezzi proibitivi, mancanza di esclusive di peso e un pubblico sempre più disilluso.

Non aiuta certo il fatto che Nintendo, dopo il successo travolgente di Switch, abbia deciso di restare immobile, lasciando l’industria in attesa di una nuova console che si sta facendo attendere più del dovuto. E allora i giocatori si guardano intorno e vedono il nulla.

Il gaming su PC è un lusso per pochi, con schede grafiche che costano più di un’autovettura usata, e il cloud gaming è ancora lontano dal mantenere le promesse dei grandi publisher.

I flop dei giochi: manuale del disastro

Poi ci sono i giochi, o meglio, i flop. Il 2024 è stato generoso sotto questo punto di vista. Titoli come Concord e Suicide Squad: Kill the Justice League (solo per citare i due che hanno impattato maggiormente sul mercato) hanno fatto il botto, ma non nel senso positivo. Parliamo di due progetti che avrebbero dovuto segnare un nuovo standard (o perlomeno, provare a farlo), e che invece si sono rivelati esempi lampanti di ciò che non va nell’industria.

Concord, il "grande" sparatutto multiplayer targato Firewalk, è arrivato sugli scaffali in uno stato pietoso (ve ne ho parlato nella mia recensione), un enorme spreco di tempo – e soldi per le tasche di PlayStation – il cui destino infausto era chiaro sin dal primo minuto.

Quanto a Suicide Squad, Rocksteady ha tradito anni di fiducia guadagnata con la serie di Batman: Arkham. Cosa è andato storto? Tutto. Un design antiquato, una narrativa superficiale e la scelta incomprensibile di puntare su meccaniche da live service che nessuno voleva. Risultato: recensioni impietose (inclusa la mia) e un pubblico che si è dileguato più veloce di Flash.

La verità è che il 2024 è il punto più basso di una crisi che si stava preparando da anni, già ai tempi della pandemia. L’industria dei videogiochi è diventata una macchina vorace che consuma talenti, tempo e denaro senza restituire nulla di realmente innovativo.

Le grandi aziende si concentrano su modelli di business predatori, spesso accompagnati da microtransazioni, DLC infiniti e strutture da game-as-a-service. Nel frattempo, la creatività è soffocata, relegata ai margini.

E non illudiamoci che la soluzione arrivi dalle realtà indipendenti. Anche lì, i fondi scarseggiano e la competizione è spietata. Per ogni Balatro (chicca niente male che tra le altre cose trovate anche in versione fisica su Amazon) o Neva, ci sono centinaia di giochi che non riescono nemmeno a coprire i costi di sviluppo.

Un futuro senza speranza?

Ci sono momenti nella storia in cui un settore deve decidere se crescere o implodere.

Servono leader con visione, non contabili con il pallottoliere in mano.
Il 2024 ha scelto la seconda strada, sventolando bandiera bianca con sorpresa di nessuno. E sapete qual è la cosa più deprimente? Non è solo una questione di errori. È che nessuno sembra essersi fatto davvero una domanda fondamentale: dove stiamo andando?

È difficile essere ottimisti (io non lo sono dalla nascita), ma il 2025 deve rappresentare un punto di svolta. Se l’industria non si riprende (tant'è che già siamo partiti male in questi primissimi giorni del 2025), rischiamo di assistere a un crollo definitivo, una sorta di "crisi del 1983" in versione moderna (se volete rinfrescarvi la memoria su cosa successe quell'anno cliccate qui). Servono nuove idee, modelli di business sostenibili e, soprattutto, il coraggio di mettere i giocatori al centro dell’esperienza.

Perché la verità è che non c'è più tempo per gli alibi: studi chiudono, talenti vengono cacciati come capri espiatori, e i giocatori – quelli che finanziano questa macchina infernale – sono trattati come mucche da mungere fino all’ultima goccia. La colpa, dicono i CEO, è “del mercato”.

Ma il mercato non ha chiesto a Rocksteady di trasformare Suicide Squad in una barzelletta. Non ha supplicato Bungie di tradire anni di fiducia costruiti con Destiny. E sicuramente non è stato il mercato a dire: «Perché non rendiamo Concord il nulla cosmico più costoso della storia recente?».

L’industria dei videogiochi si è accartocciata su se stessa, vittima di una visione miope che confonde la crescita con l’accumulo. Tagliare talenti è diventato sinonimo di strategia. Rilasciare giochi a metà, un modello di business. E l’idea di innovazione? Roba d’altri tempi. Siamo fermi a un sistema che premia il copia-incolla e punisce chi osa provare qualcosa di nuovo.

La verità è che, secondo me, questo settore non è più l’avanguardia culturale che pretendeva di essere. È un mostro autoreferenziale, troppo impegnato a pompare i numeri degli azionisti per accorgersi che il pubblico sta lentamente, ma inesorabilmente, perdendo fiducia. E quando i giocatori se ne vanno, non tornano più. 

Ora, il 2025 è qui, e sembra già carico di aspettative che non sarà in grado di soddisfare. Ma una cosa deve essere chiara: se non ci sarà un cambiamento radicale, un reset vero, non basteranno le PR patinate o qualche content creator disposto a spendere belle parole per salvare questa industria.

Servono idee, coraggio e rispetto per chi ha trasformato i videogiochi in qualcosa di più. Perché il 2024 ha dimostrato una cosa: il pubblico non è più disposto a tollerare mediocrità venduta a prezzo pieno.

Il gaming merita di meglio. Non è solo un business, è una cultura, un linguaggio universale che ha il potenziale di unire generazioni. Ma, per fare questo, servono leader con visione, non contabili con il pallottoliere in mano. Il 2025 è l’ultima chance. Se la sprechiamo, sarà game over per davvero.

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