Sony x Microsoft è solo la punta dell'iceberg del cloud gaming
C'è molto di più, dietro le quinte e davanti a noi, e include anche Google, Amazon, EA e Nintendo
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a cura di Paolo Sirio
Informazioni sul prodotto
- Produttore: Sony
- Distributore: Sony
- Piattaforme: PC , PS4 , PS3 , PSVITA
- Data di uscita: 2014 (USA) - marzo 2019 (Italia)
Ricordate i tempi in cui, da ragazzini, si sognava la console universale? Un prodotto che, nell’immaginazione dei fan e nelle chiacchiere da bar prima che potessimo andarci davvero nei bar, avrebbe dovuto unire i punti di forza di ciascuna piattaforma là fuori e arrivare ad essere quello che, universalmente, avrebbe avuto un appeal irresistibile su qualunque tipo di giocatore. Come se due forze politiche del tutto diverse si sedessero a tavolino e facessero un contratto nel tentativo di coniugare le proprie visioni, per quanto, soltanto all’apparenza sia chiaro, diametralmente opposte le une alle altre. Qualcosa di impossibile, vero?
Ebbene, ai giorni nostri di cose del genere ne abbiamo viste, e anche molto recentemente, se consideriamo che un accordo impensabile fino a qualche anno fa tra Microsoft e Sony è stato annunciato su un terreno comune e contro “nemici” che diventeranno comuni tra il 2019 e il 2020. Come avrete potuto fantasticare, si tratta di una storia costruita non dall’oggi al domani ma a seguito di numerose e lunghe trattative, alcune andate a buon fine e altre meno, e con altri player al solito ritardatari che sarebbero desiderosi di unirsi alla festa del cloud gaming per avere almeno una fettina di torta. Cerchiamo di fare un po’ d’ordine, allora, e capirci di più riguardo a cosa stia succedendo in quello che rischia di passare alla storia come un autentico terremoto nel mondo dei videogiochi.
La notizia, nel dettaglio
Cominciamo dall’inizio, e cioè dalla notizia dell’accordo stretto tra Sony e Microsoft. Un dettaglio di non poco conto è che quello siglato tra le parti non è un vero e proprio contratto ma un memorandum d’intesa, che indica taluni interessi convergenti tra chi lo sigla e stabilisce una linea d’azione comune, ma non un vincolo contrattuale. Ragion per cui la cosa potrebbe saltare ancora prima di cominciare e lascerebbe tutti, noi in primis che ne stiamo parlando da giorni, con un pugno di mosche. Ma è una strada così complicata a questo punto che non prevediamo succeda nei prossimi anni.
Che cosa si dice in questo documento? Dire che Sony sfrutterà la tecnologia di Microsoft per sviluppare il proprio ecosistema di streaming videoludico è vero ma è anche una semplificazione, in un certo senso, dal momento che le parti si sono impegnate ad esplorare “lo sviluppo congiunto di soluzioni cloud future in Microsoft Azure per supportare i loro rispettivi servizi di streaming di giochi e contenuti”.
Questo vuol dire che la casa giapponese non sarà un semplice ospite di Azure, ma che – sulla base di Azure – lavorerà insieme a quella americana in modo da sviluppare qualcosa di nuovo che possa rendere giustizia alla potenza delle rispettive piattaforme così come ai desideri dei fan che, ancora titubanti nei confronti del cloud gaming, compiranno il salto soltanto se davanti ad una proposta indecente in termini di qualità e fruizione.
Ancora, ovviamente: “in aggiunta, le due compagnie esploreranno l’uso delle attuali soluzioni basate su datacenter di Microsoft Azure per i servizi di streaming di giochi e contenuti di Sony”, e questo vuol dire che nel breve-medio periodo il gigante di PlayStation adopererà le stesse tecnologie di Xbox Live e Project xCloud per PlayStation Now, almeno nell’attesa che quello sviluppo comune possa portare a qualcosa di concreto (evidentemente più futuribile).
‘In cambio’ di questo impegno a corto raggio, Microsoft ha ottenuto un altro scambio che non riguarda però strettamente il gaming, ovvero: la sua IA potrà essere adoperata, sempre al termine di una fase di “esplorazione” della fattibilità, nei dispositivi consumer di Sony, mentre i sensori di immagine di quest’ultima potranno venire utilizzati in collegamento con le intelligenze artificiali di Azure in un ambito “enterprise”, quindi per i clienti aziendali – un ramo in cui Redmond è parecchio attiva, se pensiamo ad esempio alla commissione di HoloLens per l’esercito americano.
Insomma, la stretta di mano tra i due CEO Kenichiro Yoshida e Satya Nadella ha un significato particolare per i videogiocatori, forse persino superiore a quello del discorso a tre di The Game Awards perché rappresenta l’inizio di una partnership fattuale e non una per quanto gradevole retorica sull’unità, e ci mancherebbe altro; ma c’è anche molto altro in ballo, e in questo ballo il gaming – lo lascia intendere il fatto che PlayStation sia stata tenuta all’oscuro fino all’ultimo istante utile – potrebbe non rappresentare necessariamente la reginetta.
Le ragioni dell’accordo, spiegate da Sony
Nella tradizionale Q&A a chiusura dell’anno fiscale, il CEO Kenichiro Yoshida ha affrontato quelle che sono, lato Sony, le ragioni senza sottrarsi particolarmente alle domande fatte pervenire dagli analisti – che pure hanno preso molto bene l’accordo, intendendolo come un segnale di capacità di reagire alle nuove sfide di cui parleremo avanti – e dagli azionisti della compagnia.
Dalle parole di Yoshida arriva come una sorta di ammissione di sottovalutazione dell’impegno del cloud gaming, pur da un’azienda che, in tempi non sospetti e con un approccio davvero pionieristico alla materia, ha messo le mani su tecnologie OnLive e Gaikai, di gran lunga avanti rispetto a quello che oggi è invece un trend dell’industria videoludica spinto dall’interno e dall’esterno in simultanea.
Sony, ha spiegato l’amministratore delegato, ha sottolineato “vari aspetti difficili” della gestione di una piattaforma di streaming, tra cui “la latenza del network” in primis, che pur facendo girare la piattaforma PlayStation Now – la sottoscrizione più popolare nel settore a fine 2018 a livello di introiti, con 700.000 membri – ad appena 720p, una risoluzione diventata ormai obsoleta anche per il meno avanzato dei competitor sul mercato, è rimasto un problema per lunghi tratti e tanti versi irrisolto.
In questo senso si spiega benissimo come mai Sony abbia deciso di rivolgersi ad una partnership del genere, esternalizzando la gestione e l’implementazione dei server e delle tecnologie sulle quali si dovrà basare il PlayStation Now (se ancora si chiamerà così, quando ci sarà da rilanciarlo) del futuro. Affidandosi di fatto a qualcuno che sapesse dove mettere le mani in un contesto moderno e maggiormente strutturato dello sperimentalismo dei tempi di Gaikai – era il 2012.
Yoshida ha espresso pure perplessità sul modello di business attuale, che prevede il pagamento di una sottoscrizione mensile (piuttosto costosa, a dire il vero) a copertura di una pletora di videogiochi ognuno molto diverso dall’altro. Dalle parole del dirigente trapela l’intenzione di aprire a tier “dipendenti dal gioco” che ci interessa di più, perché la soluzione attuale prevede che si paghi lo stesso prezzo per fruire di un titolo di “50 ore o 100 ore” e uno completabile in una nottata.
“In termini di tecnologia e servizi, ci sono vari aspetti che ci piacerebbe approfondire con Microsoft andando avanti”, ha aggiunto, suggerendo di fatto che ci sarà una sorta di consulenza anche sotto il profilo della monetizzazione del business dello streaming; confrontarsi con quelli che hanno lanciato Xbox Game Pass, per intenderci, non potrà che fare bene ad una realtà che pure ha seguito quegli stessi passi introducendo il download come idea last minute, più come necessità per scaricare un po’ di peso dai server che come qualcosa di cui si fosse convinti a livello di visione. A patto ovviamente che non ne venga fuori un cartello al rialzo, che già abbiamo sperimentato con Xbox Live Gold e PlayStation Plus al tempo e ci risparmieremmo volentieri.
I dettagli interessanti dalla call non sono terminati. Prima un particolare che potrebbe sembrare irrilevante ma non lo è affatto: per Sony sarà l’SVP in carica della ricerca e dello sviluppo Toru Katsumoto, altissimo profilo dirigenziale, a curare la trattativa con Microsoft, il che vuol dire che PlayStation rimarrà ancora fuori dalla conversazione per qualche altro tempo o comunque non ne prenderà le redini molto presto. Il secondo, tutt’altro irrilevante, riguarda il tempismo della partnership, che arriva in un momento in cui, proprio durante la Q&A, il colosso di Tokyo ha annunciato i propri piani espansionistici nel campo dello streaming sotto la bandiera (ripetiamo, non sappiamo per quanto ancora: a proposito dello streaming, PS5 proporrà una esperienza “seamless”, e quindi non ci stupirebbe troppo un rebranding allineato con le intenzioni di offrire un sistema unico) di PlayStation Now.
Yoshida ha precisato di aspettarsi che il trend del cloud gaming diventi “maturo” soltanto nel lungo termine, forse come rassicurazione nei confronti della propria platea riscopertasi tradizionalista con PS4, ma intanto i punti sono già stati fissati: 1080p e oltre per la risoluzione; più qualità per i contenuti; più dispositivi. Punti che con l’infrastruttura reale difficilmente avremmo visto concretizzabili.
Per quanto riguarda la risoluzione, come abbiamo anticipato, era improponibile affacciarsi alla nuova generazione con ancora il peccato originale dei 720p, in un momento in cui Google Stadia uscirà nel 2020 con l’ambizione di offrire 4K a 25/30Mbps e Project xCloud farà 1080p a circa 10Mbps. Ne consegue che stringere la mano a Nadella sia stata la soluzione più rapida per ridurre questo gap, a patto di non poter andare proprio da nessun’altra parte (ne parliamo tra poco) o fare delle acquisizioni strategiche nel campo cloud come ha fatto Microsoft in questi anni (ultimissima, PlayFab).
Quanto ai contenuti, invece, la strada sembrerebbe già tracciata: più giochi e più giochi attuali, in modo da potersi svincolare dall’immagine di un semplice ripiego rispetto all’assenza della retrocompatibilità su PlayStation 4. Il fatto che Sony stia parlando con Microsoft per sapere come muoversi in tal senso è positivo e potrebbe dare il là ai titoli dei Worldwide Studios fin dal day one, stile Xbox Game Pass, magari con la ristrutturazione dei piano di abbonamento suggerita da Yoshida.
Infine, più dispositivi: la guerra dello streaming, passateci la terminologia bellica, nasce perché permette di usufruire di contenuti major, non esperienze ridotte create ad hoc, dovunque ci si trovi e senza il vincolo dell’hardware ultraperformante; è l’elemento di novità dei vari Google Stadia e Project xCloud, per cui restare solo su console (con una retrocompatibilità completa non servirebbe neanche) e PC diventerebbe rapidamente datato.
Perciò, PS Now dovrebbe tornare alle origini e riaffacciarsi se non ai televisori, che potrebbero rappresentare una marcia in più visto di chi stiamo parlando, almeno ai dispositivi smart come tablet e cellulari. Con l’upgrade di Azure, ripetiamo la stessa piattaforma su cui girerà xCloud, non vediamo davvero perché un passo del genere non dovrebbe venire intrapreso.
Le minacce di Google e Amazon
Abbiamo citato brevemente le ragioni per le quali lo streaming dei videogiochi stia diventando un tema non soltanto all’interno della nostra “nicchia”, per usare le parole dell’AD di Sony, ovvero un’industria da 131 miliardi di dollari all’anno (al 2018) che magicamente può portare baracca e burattini su qualunque dispositivo esistente e senza più l’esigenza di passare per un hardware dedicato.
Un affare ghiottissimo a prescindere, ma ancora più allettante per quei player-wannabe già in possesso dell’infrastruttura necessaria per cimentarsi in questa impresa. Con un network solido e delineato, non provare a fiondarsi su un mercato con così tanto margine di crescita sarebbe un’opportunità mancata di quelle che si possono pagare a caro prezzo.
Ad oggi, i nomi grossi in ambito cloud – non tenendo conto di alcuni che ci potrebbero di meno interessare a finalità gaming – sono Amazon, che primeggia con i suoi Web Services, seguita da Microsoft e Google, e non è affatto un caso che tutte e tre abbiano le mani in pasta nel mondo dei videogames e soprattutto si stiano facendo alfieri dell’idea di streaming.
Google ha già fatto la propria mossa l’anno scorso con Project Stream e alla GDC 2019 di pochi mesi fa con Google Stadia, svelando la propria strategia che, al netto di qualche dubbio sui dispositivi compatibili (gran parte potrebbe essere made in Mountain View, il che potenzialmente ridurrebbe e di parecchio l’audience potenziale), punta ad andare oltre il concetto di console e PC dedicati al gaming – in questo si palesa la differenza sostanziale coi platform owner tradizionali.
Con una compagnia così grande che si affaccia al settore, è ovvio che un po’ di paura ci sia: ok che più siamo e meglio stiamo, ma una compagnia del genere entra in un business per primeggiare e difficilmente si accontenta di recitare la parte della comprimaria. Ambizione che ha spaventato alquanto, al di là delle dichiarazioni tranquillizzanti in questa direzione, i vertici di Sony, che hanno visto le carte che avevano in mano e hanno pensato bene di alzare la cornetta per chiamare Redmond.
Probabilmente, se Google non avesse forzato la mano con i proclami di un lancio nel 2019 e la presentazione della GDC, Sony avrebbe atteso ancora qualche altro tempo prima di consegnarsi di fatto alla sua rivale storica per cercare di mantenere la sua rilevanza – in un ramo, quello del cloud gaming, che peraltro aveva esplorato per prima quasi dieci anni fa.
Farsi trovare pronta, a quel punto, diventava una priorità, anche perché Stadia non sarebbe l’unico ‘attacco dall’esterno’ mosso da un gigante della tecnologia: Amazon, che vanta la prima infrastruttura cloud al mondo per dimensioni e qualità, avrebbe anch’essa – rumor dello scorso anno – in cantiere una piattaforma di streaming di videogiochi e probabilmente la assocerebbe a Twitch come Google ha fatto con YouTube.
Nel momento in cui una piattaforma del genere si dovesse concretizzare, magari inclusa nell’abbonamento a Prime che fin da ora offre alcuni videogiochi su base mensile compresi nella sottoscrizione per spedizioni rapide e intrattenimento, ecco che avresti una rivale persino più temibile di Google Stadia. Ma c’è ancora un’altra ragione per l’accelerata del crossover con Sony e Microsoft protagoniste.
Un dettaglio di non poco conto e che sembra provenire dritto dai libri di fantascienza è quello per cui, riporta Bloomberg, Sony avrebbe avuto in Amazon la prima scelta per questa sua svolta tesa ad affidare ad un partner esterno la gestione dei server e della tecnologia alla base di PlayStation Now, non Microsoft – che in effetti sembrerebbe una di quelle mosse obbligate per un platform owner di queste proporzioni.
Le due compagnie collaborano già per il PlayStation Network, che sfrutta gli Amazon Web Services fondamentalmente per farci giocare online, e hanno trattato a lungo lo scorso anno per espandere la loro relazione sotto il profilo del cloud gaming; non sarebbe stato raggiunto un accordo per divergenze sui “termini commerciali”, sebbene non sia dato sapere su quali punti sia arrivata la rottura.
Considerando che Amazon starebbe lavorando alla sua piattaforma, potrebbe esserci stata una conditio sine qua non relativa all’inclusione di titoli PlayStation in questa nuova avventura del gigante degli ecommerce, per rimanere nell’ambito dello sci-fi, e questo in effetti spiegherebbe come le trattative siano arenate senza possibilità di venire recuperate. O, più semplicemente, il raffinato gioco della negoziazione potrebbe non aver raggiunto l’equilibrio perfetto come quello invece trovato con Microsoft.
Non solo Sony: Nintendo ed Electronic Arts
Abbiamo detto a più riprese di come il cloud gaming non sia una prerogativa di pochi ma rappresenti quella che a tutti gli effetti potrebbe diventare una miniera d’oro nel giro di un decennio (sebbene si parli di pochi punti percentuali rispetto alle console e al mercato fisico per i prossimi quattro anni).
Non sorprenda, quindi, che anche Nintendo, una compagnia diventata col tempo e con le delusioni piuttosto attendista sotto il profilo tecnologico, si stia interessando al tema, e lo stia facendo per diverse ragioni tutte alquanto valide. La prima: Microsoft ha un grande interesse in Switch e nella Grande N in generale, e delle conversazioni sulle librerie e sui servizi, vedi Xbox Game Pass, sono state già portate avanti a tempo debito. Perché non sfruttarle pure per lo streaming?
La seconda: la casa di Mario ha tutto l’interesse nel rallentare la corsa agli arsenali che storicamente è alla base della ‘console war’, la ricerca continua dell’hardware più performante e costoso, sia perché non dispone del know how e delle risorse delle concorrenti, sia perché 3DS e Switch hanno dimostrato che un altro tipo di proposta videoludica, non muscolare, si può farlo ancora.
L’avvento dello streaming rappresenterebbe quindi un assist importante per la filosofia dell’azienda di Kyoto, dal momento che le permetterebbe di continuare a sfornare console tra molte virgolette datate o comunque incentrate su una particolare gimmick e visione per il gaming, senza però privarsi di certi tripla-A che muovono il mercato (com’è stato sperimentato con Assassin’s Creed Odyssey e Resident Evil 7).
Il rumor che coinvolge Nintendo parla di un approfondimento delle trattative con Microsoft ma su base regionale, per cui non sorprenderebbe se l’offerta del gioco sulle nuvole, così com’è stato coi due titoli menzionati in alto, venisse limitata ad un certo territorio per evitare conflitti o finisse nell’insieme delle cose che la compagnia ritiene di dover proporre col contagocce a pubblici selezionati con cura.
Dei tre platform holder attuali, sarebbe quello col maggior interesse nel vedere questa tecnologia proliferare (non parliamo di ‘bisogno’ solo perché Switch ha avuto un successo che mette Kyoto al riparo da ogni eventuale tipo di esigenza) ma non è il caso di aspettarsi fanfare o un particolare dinamismo, come dimostra il recente caso della realtà virtuale a scoppio ritardato.
Illudersi che questo vento stia soffiando soltanto per i volti più noti dell’industria è comunque soltanto questo, illudersi, visto che parliamo di un business così appetitoso e al quale tutti sembrano guardare come la chiave di volte per la consacrazione mainstream, finalmente, dei videogiochi.
Per cui, in una fase evidentemente successiva, è lecito attendersi che ai possessori delle infrastrutture seguano quelli che posseggono i contenuti, come ad esempio i publisher e i negozi online; in tal senso quelle di Microsoft, Amazon e Google saranno delle grandi vetrine per vendere nemmeno troppo sottobanco i loro prodotti ‘enterprise’ e trasformare la battaglia degli store (vedasi Epic Games Store oggi, Origin una volta, contro Steam) in quella delle piattaforme di streaming.
Un’indicazione molto chiara l’ha data a tal proposito Electronic Arts, che parlando degli sviluppi futuri di EA e Origin Access, nei giorni in cui la piattaforma approda su PS4, ha anticipato di una svolta streaming per il servizio; e con una libreria del genere chi vieterebbe all’editore di appoggiarsi ad uno dei tre grandi di cui sopra, e metterla a disposizione su cloud così come lo è in locale?
Insomma, l’accordo tra Sony e Microsoft è sì fonte di grande sorpresa ma è soltanto la conseguenza di un movimento che è partito ormai da almeno un paio di anni, e difficilmente rallenterà il suo passo inesorabile. Chi ci guadagna da tutto questo tra le case di PlayStation e Xbox, chiedete? La prima, si affida nel breve-medio periodo alla principale concorrente e nel mentre ci lavora insieme per sviluppare un progetto comune che utilizzerà in futuro; la seconda chiude una commissione non solo vantaggiosa a livello economico ma anche di prestigio assoluto, che suona più come un messaggio a chiunque altro volesse lavorare nel cloud sponda gaming: noi siamo lo standard. E un messaggio simile, con la battaglia che sta per scatenarsi, è di quelli che si sentono forte e chiaro.
Voto Recensione di PlayStation Now - Recensione
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