Sony salta l'E3 2020: la guerra all'ESA e la strategia per PS5
La decisione di Sony, le conseguenze, e uno sguardo a quando potremo sapere di più su PlayStation 5
a cura di Paolo Sirio
Per il secondo anno di fila, e per la seconda volta nella storia dell’evento, Sony non prenderà parte all’E3 nel 2020. La notizia era stata anticipata prima nel fine settimana, poi nella giornata di ieri con una sorta di ‘conto alla rovescia’ innescato fino a poco dopo la mezzanotte, quando è stata fornita dalla casa giapponese tramite una nota consegnata alla stampa.
Pur confermando un trend inaugurato nel 2019, la notizia è giunta alquanto inaspettata se consideriamo che quest’anno il platform owner lancerà una nuova console e che avrà bisogno, allo stesso modo di Microsoft, di ogni possibile palcoscenico per dare il giusto risalto a PlayStation 5. Una tappa, quella dell’E3 2020, che avevamo immaginato obbligata e già in qualche modo delineata insieme a quella di febbraio (o comunque di un mese a ridosso dell’inizio dell’anno) nella roadmap che porterà all’uscita, per le vacanze natalizie, di PS5.
Così non è stato, invece, e non lo è stato per una serie di ragioni che vanno dal filosofico al pratico e che analizzeremo in questo articolo.
Le parole
Dal momento che, come vedremo più avanti, c’è una piccola grande disputa in corso tra l’ESA – l’ente che organizza l’E3 – e Sony, le parole adoperate da entrambe nei loro comunicati ufficiali sono di particolare interesse e possono darci una mano nel capire come mai si sia giunti a questa seconda separazione inattesa nel giro di appena due anni.
Prima di tutto, “SIE” spiega di aver preso la decisione di saltare l’evento “dopo una valutazione approfondita”, e non si tratta di una frase messa lì per pura formalità: com’era stato suggerito nella ricostruzione di VGC la scorsa settimana, infatti, ci sono state delle trattative tra il gigante nipponico e l’Entertainment Software Association per provare a ricucire lo strappo venutosi a creare nel 2019, e ci sarebbe persino stata l’impressione che alla fine la situazione sarebbe rientrata nei ranghi.
Le differenze di vedute tra Sony e l’ESA risiedono principalmente in cosa dovrebbe essere l’E3: la prima spinge, come Electronic Arts, per un evento che sia orientato a celebrare i videogiochi insieme ai fan, aperto nella sua totalità agli appassionati cosicché questi possano pagare un sontuoso biglietto e provare in anteprima i titoli esposti tra gli altri servizi possibili; l’ESA invece è ancora orientata verso il trade show, pensato sostanzialmente per platform holder, espositori, stampa ed esponenti del mondo retail.
Ci sono state delle concessioni alla visione l’una dell’altra in questi anni, con l’apertura limitata al pubblico nel 2017, ma Sony – dopo appunto l’edizione del 2017 e quella del 2018, cui pure si era presentata in una forma molto contenuta – ha ritenuto nel 2019 che questi sforzi non fossero abbastanza da trattenerla nel format così com’era. Sony continua a far parte dell’ESA, chiaramente, ma si è chiamata fuori dall’E3, cosa che invece Microsoft e Nintendo, pur con modalità diverse, non hanno ritenuto di dover fare.
A contribuire a questa “valutazione approfondita” ci sarebbe stato anche un cambio ai vertici dell’ESA, arrivato contestualmente al caso dei leak dei dati personali di migliaia di giornalisti negli anni passati, con il nuovo CEO Stanley Pierre-Louise che avrebbe avuto il mandato pure piuttosto esplicito di provare a riportare la pecorella all’ovile. La missione non è andata esattamente per il meglio, sembrerebbe.
La conferma della differenza di vedute sulla strutturazione dell’evento è del resto parte del comunicato passato alla stampa stanotte, in cui possiamo leggere che “abbiamo grande rispetto per l’ESA come organizzazione, ma non sentiamo che la visione dell’E3 2020 sia il posto giusto per quello su cui siamo concentrati quest’anno”, per la precisione PS5.
La compagnia è più interessata ad una location che consenta ai fan di “sentirsi parte della famiglia PlayStation e avere accesso per giocare i loro contenuti preferiti”, un riferimento netto alla natura chiusa o comunque limitata dell’Electronics Entertainment Expo così com’è e com’è stato negli ultimi tre anni, e che sta ormai troppo stretta rispetto alle intenzioni del platform owner di una console da oltre 106 milioni di giocatori.
Ma ci sono differenze rispetto al 2019
Se la situazione che si è verificata quest’anno è figlia di un processo che è partito ormai da qualche tempo, ci sono però degli elementi di novità nel 2020 rispetto a quanto abbiamo assistito nei mesi scorsi, sia sotto il profilo della comunicazione che in un piano un po’ più concreto.
Prima di tutto, come abbiamo già osservato, la scelta delle parole da parte di Sony non ha lasciato spazio a fraintendimenti e ha aperto, diversamente dallo scorso anno, un vero e proprio fronte di scontro tra le due parti. Da un lato l’ESA, convinta che le integrazioni previste sulla formula del 2019 renderanno l’evento di quest’anno sempre più rilevante, dall’altro SIE che invece non vede affatto margini per un ritorno nel caso in cui l’organizzazione non dovesse rivedere le proprie posizioni.
La casa giapponese è particolarmente irritata per questa la visione dell’E3 come un trade show, e l’idea di ricorrere per la diffusione del suo comunicato a GamesIndustry International potrebbe nascondere di per sé una vena polemica. GamesIndustry è noto, e del resto potrà dirvelo anche il nome, come portale dedicato all’industria dei videogiochi più che ai videogiochi stessi; non al gaming in maniera diretta ma al modo in cui i giochi vengono realizzati.
Nel 2019, quando invece questa diatriba non era ancora cosa pubblica o comunque non in maniera così netta, Sony aveva optato per Game Informer, un portale (e un magazine) invece puramente concentato sull’aspetto ludico del settore. Il cambio potrà sembrare una pura formalità ma potrebbe invece nascondere l’intento di ridurre la questione ad un puro aspetto commerciale, come a dire: volete la fiera trade? E allora noi la manteniamo sull’aspetto trade.
Una mossa del genere consente peraltro a Sony di non far pesare, o almeno di provare a non far pesare, la questione sui videogiocatori e sui suoi fan; la compagnia prevede infatti di partecipare a “centinaia di eventi consumer” nel corso dell’anno e ai gamer non dovrebbe interessare più del dovuto la sua assenza ad un evento che invece non li avrebbe neppure messi al centro del discorso – perlomeno è così che la pensa.
L’altra differenza e neanche troppo sostanziale è che quest’anno uscirà PS5, e che difficilmente lo scorso anno o ancora nei mesi passati sarebbe stato possibile prevedere una scelta simile a pochi mesi dal lancio di una nuova console. Nel 2019 optare per un addio a tempo nei confronti dell’E3 era parso una decisione abbastanza a costo zero, nel senso che quello scorso, per quanto ricco di soddisfazioni videoludiche, è stato comunque un anno di transizione da una generazione all’altra, che Sony non avrebbe avuto molto materiale da mostrare con The Last of Us Part II e Ghost of Tsushima ancora sotto chiave, e che ovviamente per PlayStation 5 i tempi sarebbero stati prematuri.
Se quindi saltare l’E3 2019 era qualcosa di triste per i fan ma in ogni caso non impensabile da un punto di vista strategico, fa sollevare un ancelottiano sopracciglio il fatto che sia stata ripetuta la stessa operazione in un 2020 che giocoforza dovrà prestarsi alla presentazione in pompa magna sia degli ultimi passaggi della lineup di PS4, sia della console della prossima gen.
Perché se procediamo per le stesse modalità di PlayStation 4, con un evento privato a precedere l’E3 2013, l’evento privato che sicuramente o quasi si terrà a febbraio avrà bisogno di un’altra sponda, di essere appaiato con un’altra esibizione che aiuti a coprire bene l’annata da un punto di vista mediatico. Questa sponda non sarà costituita, per la prima volta nel percorso di avvicinamento ad una console di Sony, dall’E3, e sarà interessante vedere come un’azienda capace e attenta quando si parla di comunicazione avrà pensato di compensare l’assenza nei suoi piani.
Cosa cambia per la fiera (e per gli addetti ai lavori)
L’E3 è di per sé una fiera che ha avviato un processo di evoluzione già da diversi anni e sta facendo il possibile, mantenendo la propria identità, nel cambiare per compiacere a certe legittime richieste da parte degli editori e in generale dei player più grandi. Ciò non vuol dire che le cose vadano per il meglio, anzi.
Nel 2017 l’ESA ha aperto limitatamente al pubblico, registrando nel corso del tempo un numero di presenze non troppo entusiasmante; l’edizione del 2019 si è fermata intorno ai 66.000 ingressi, un quantitativo di biglietti staccati infinitamente inferiore rispetto ad altre manifestazioni come la Gamescom, la più grande per area e partecipazione dei fan (373.000 lo scorso anno), e il Tokyo Game Show (262.000).
Ma il confronto non regge non soltanto nei riguardi di kermesse così quotate e appariscenti per quanto concerne l’aspetto mediatico; le statistiche sorridono anche a fiere meno esposte come il Taipei Game Show o il Brazil Game Show, segno che evidentemente – al di là del bacino d’utenza che queste esibizioni e aree geografiche sono in grado di attirare – qualcosa in quel processo di evoluzione non è andato nel verso giusto.
In una nota fornita in risposta a quella di Sony, l’ESA ha fatto notare la posizione di “evento firma” dell’industria dell’E3, ma è chiaro che il solo nome e il prestigio di una fiera che ha di fatto inventato il gaming così come lo conosciamo non bastano più. I piani per l’edizione 2020 sono ancora nebulosi ma sentiamo parlare di “attivazioni” che dovrebbero garantire ai “attenzione ai brand” e “opportunità chiave” per “connettersi con i fan dei videogiochi in tutto il mondo”.
L’impressione è quella di un’etichetta-isola che senta di stare bene così come sta, di puntare su piccoli e graduali passi di anno in anno anziché muoversi verso una rivoluzione importante che forse non sente neppure così necessaria, probabilmente complice il supporto di compagnie come Microsoft e Nintendo (e chissà quali altre, con l’avvento del cloud gaming e il rafforzamento della posizione di Google Stadia programmato per quest’anno).
Phil Spencer, membro di spicco del board dell’Entertainment Software Association (di cui pure Sony fa naturalmente parte), ha subito espresso il proprio sostegno per l’E3 2020 e rimarcato la sua importanza in un anno tanto importante per il gaming, ma la previsione di Jason Schreier di Kotaku è che un altro publisher che aveva partecipato all’E3 2019 rimarrebbe invece a casa nell’edizione di quest’anno; il toto nome non è ancora partito ma il rischio è che tocchi a una tra Ubisoft e Bethesda – noi puntiamo, se proprio, su quest’ultima.
Per gli addetti ai lavori, e per noi che vi scriviamo, l’assenza di Sony ha però una duplice valenza e in entrambi i sensi non parliamo di un’accezione positiva, tutt’altro. In primis, parliamo di un addio, il secondo di fila, che si verifica nell’anno di avvio di una nuova generazione e in quanto tale non può essere più derubricato a semplice ‘salto’ di una particolare edizione; cominciare così, da zero, e non esserci in un passaggio tanto importante nella tua vita come gaming company vuol dire almeno mediaticamente, almeno come messaggio che fai passare, che non ci sarai neppure in altri che in teoria dovrebbero significare di meno.
Per questo motivo se lo scorso anno abbiamo potuto provare ad addolcire la pillola, stavolta, per i fan dell’E3 la situazione è più complessa del previsto; lanciata com’è dopo il successo di PS4, e ora che ha persino ‘trovato il coraggio’ di liberarsi dell’Electronic Entertainment Expo ad un passo dalla presentazione della nuova PlayStation, quand’è esattamente che la compagnia giapponese potrebbe avvertire il bisogno di ritornarvi? La risposta a questa domanda potrebbe essere estremamente deludente.
Per noi che, con una terminologia ormai desueta ma sempre efficace, facciamo parte della cosiddetta stampa specializzata, il timore è poi che Sony stia provando a smarcarsi dal mondo del gaming in senso stretto per lanciarsi in una sfera più grande e globale dell’intrattenimento. Un tentativo del genere era stato fatto da Microsoft all’inizio della gen di Xbox One ma in questo caso, speriamo, non si tratterà di qualcosa che entrerà nel DNA di PS5.
Come dicevamo, l’E3 è nato in un momento in cui i platform owner avevano bisogno di una grande esposizione mediatica che da soli non avrebbero potuto ottenere; ora che PlayStation è un marchio così riconoscibile e riconosciuto nel mondo non ha più senso collegarsi a quell’entità, perché per paradosso questa avrebbe più bisogno di Sony di quanto Sony non ne avrebbe dell’E3. Esserci, in un certo senso, farebbe sì che PlayStation facesse un vero e proprio assist alla concorrenza anziché a se stessa, come invece vorrebbero le logiche del mercato.
Se questo ragionamento è stato condotto per l’E3, però, cosa ci assicura che lo stesso non verrà riproposto più avanti ad eventi come la Gamescom o la Paris Games Week dove Sony ha mantenuto una presenza incostante in termini di conferenze e proposta di sguardo sul futuro interessanti per gli appassionati?
La voglia di staccarsi da questa dimensione potrebbe anche portare ad una stortura di quelle cui abbiamo iniziato ad assistere con le ultime uscite tripla-A di PlayStation 4, quando il platform owner giapponese ha cominciato a rivolgersi – pure in Italia, lo avrete notato – più ad influencer e youtuber che a siti e magazine connessi al gaming, evidentemente perché ha avvertito la possibilità di andare oltre i confini dei videogiochi e rivolgersi ad una platea più grande.
Questo bisogno e questa tensione si potrebbero tradurre nella partecipazione ad eventi privati generalisti anziché a quelli cui siamo abituati a partecipare noi stessi, sia per avere appunto un ritorno d’immagine più esteso, sia per sottrarsi – che sia tale l’intenzione adesso o lo potrà essere più avanti non ci è dato saperlo ad oggi – agli sguardi tipicamente più attenti e ai palati più difficili da soddisfare degli appassionati in senso stretto, che siano giornalisti o giocatori ‘semplici’.
In questo senso abbiamo già avuto delle dimostrazioni di cosa potrebbe capitare (con copie review consegnate in notevole ritardo o con il contagocce, giusto per fare un esempio), e quello che si profilerebbe potrebbe essere qualcosa su una scala ancora più grande perché andrebbe a minare la possibilità di realizzare e portarvi anteprime competenti nonché la loro eventuale qualità. Viaggiamo molto in là con la mente ma, così come sarà legittima qualunque strategia Sony vorrà promuovere per la prossima generazione, riteniamo che lo stesso valga per certe preoccupazioni da parte nostra.
Quando toccherà a PS5?
In tempi non sospetti avevamo caldeggiato un evento di presentazione preliminare nel mese di febbraio, accompagnato a giugno 2020 dalla rinnovata presenza di Sony all’E3. Le cose non sono andate per il verso giusto e ora ci ritroviamo a dover rielaborare le nostre previsioni per come si muoverà la compagnia giapponese in questo avvio di generazione.
Rimaniamo abbastanza convinti del fatto che ci sarà un evento privato a febbraio, sostenuti in questo senso dagli ultimi rumor non proprio di primissimo pelo ma comunque piuttosto prevedibili nel frangente attuale (e anche per la piega presa dalla faccenda dell’E3). La data giusta potrebbe essere quella del 16 febbraio, ultimo giorno di una tornata di celebrazioni della storia di PlayStation a New York, così com’era stato per il debutto di PS4. A questo punto andrà evidentemente individuata un’altra finestra utile per la seconda presentazione.
Una seconda presentazione che a nostro dire rimane fondamentale: servirà a PlayStation per eventualmente correggere il tiro su aspetti ritenuti controversi o che potranno non essere accolti da un feedback favorevole – non si sa mai – e soprattutto per mantenere una presenza costante su tutta l’annata che si sta inaugurando. Sarebbe impensabile fare un evento a febbraio e poi salutarsi direttamente per il mese di novembre, fissato presumibilmente per l’uscita.
Le principali fiere di settore si terranno il 24-27 settembre, Tokyo Game Show, e 23-27 ottobre, Paris Games Week, ed entrambe potrebbero rappresentare una sponda utile per una copertura quantomeno territoriale tra Asia ed Europa che avrebbero ciascuna la loro fetta di next-gen prima dell’uscita di fine anno. Per com’è stata snobbata negli ultimi anni, difficilmente la Gamescom verrà presa in considerazione ad agosto, ma occhio alla Opening Night Live di Geoff Keighley, che potrebbe comunque stringere qualche accordo di sorta.
Nell’ottica di un reveal ad un evento privato, più coerente con l’addio all’E3 a dirla tutta, le soluzioni papabili sarebbero due in questo momento, facendo un po’ di speculazione sui passi precedenti della compagnia: un primo reveal a febbraio e un secondo al ritorno dalle vacanze estive, più o meno come il PlayStation Meeting dove fu presentata PS4 Pro insieme a PS4 Slim nel 2016; settembre sarebbe un buon mese in questa direzione, per quanto curiosamente vicino alla finestra del lancio.
Questo funzionerebbe in particolare nel caso in cui Sony dovesse decidere di rimanere lontano dall’E3 e non pestare i piedi eccessivamente all’ESA; in caso di guerra aperta, invece, non sarebbe da escludere una manifestazione privata che precedesse di pochi giorni l’E3 2020 a giugno, anche se poi rimarrebbe scoperta la seconda metà dell’anno e quella che accompagnerà per forza di cose al day one della piattaforma.
Considerando che il platform owner potrebbe voler mantenere un profilo relativamente basso per non dare vantaggi di sorta a nessuno dalla sua posizione dominante, lo schema di una PS5 esibita a febbraio e settembre contro una Xbox Series X che, da rumor, potrebbe tornare a farsi rivedere ad aprile e poi a giugno sarebbe abbastanza credibile.
La chiusura all’E3 2020 rivela scenari più seri e complessi di quelli che abbiamo potuto analizzare lo scorso anno, quando avevamo appreso con stupore e sgomento simili ma attutiti dall’imminente fine di una generazione dell’assenza di Sony alla fiera più esposta mediaticamente nel mondo del gaming. L’impressione è che sia uno scenario a cui sarà meglio abituarsi e in fretta, ma la tristezza e i dubbi per una scelta del genere nell’anno nel quale apprenderemo tutti i particolari e vedremo il lancio di PS5 permangono. A PlayStation, adesso, il compito di farci ricredere.