Sekiro: Shadows Die Twice | I Diari del Lupo Grigio: Pagina 2
La seconda parte dei Diari del Lupo Grigio, la run su Sekiro: Shadows Die Twice narrata dal punto di vista del Lupo.
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: From Software
- Produttore: Activision
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Generi: Avventura
- Data di uscita: 22 marzo 2019
Bentornati ai Diari del Lupo Grigio, il format anticonvenzionale dove stiamo provando a raccontare una sessione di gioco come se fosse un diario personale. Il gioco che abbiamo scelto come esperimento è stato il celebre (e dibattuto) Sekiro: Shadows Die Twice, uscito su console e PC a marzo del 2019. Nella puntata precedente avevamo lasciato il Lupo alla ricerca di una via di fuga per sé e per il suo signore, l’Erede Divino. Sempre ricordando che vi possono essere SPOILER, lasciamo nuovamente la parola a lui.
Giorno 3: Sconfitta
Scrivo queste parole con la mano malferma di chi l’ha appena persa. Quando ho raggiunto la via di fuga e chiamato il mio signore, non avevo idea che niente era finito. Al segnale convenuto del fischio, l’Erede Divino è giunto dalle rocce e ha percorso lo stretto tunnel che ci avrebbe portato fori da Ashina. Lo scavo puntellato di fresco ci ha condotti a un luogo mistico, così ovattato da sembrare finto: un grande campo di spighe bianche, illuminate da una pallida luna. Uno scenario così fermo da avermi ispirato un’aria luttuosa, senza sapere che era proprio quello che stavo per subire.
In mezzo ai petali bianchi ho visto stagliarsi un samurai con un grande arco rosso a tracolla. Costui si è rivolto direttamente al mio signore, asserendo che non lo incontrava dal funerale dello zio. L’Erede Divino lo ha immediatamente riconosciuto, nominandolo Genichiro, ma l’ho fermato prima che potesse dire altro. Capivo che qualcosa non andava, e che l’unico modo per far guadagnare tempo al mio protetto era di affrontare questo sconosciuto. Odiavo l’inquietudine che costui incuteva nel mio signore. Il samurai si è presentato come Genichiro Ashina, e si è messo in guardia con flemma, chiamandomi “nobile shinobi”. Parole che, anche se pronunciate con voce neutrale e cortese, erano orribilmente intinte in un’evidente sufficienza nei miei confronti. E per quanto il suo tentativo di distarmi facendo leva con il suo disprezzo non abbia funzionato, era comunque di una superiorità terribile, che oltre a essere manifesta era anche troppo grande per me. Dopo pochi colpi mi ha atterrato e disarmato… La sua lama ha tagliato con il medesimo agio sia l’aria che la carne del mio braccio sinistro, tranciandolo di netto. Mentre cadevo a terra ho visto l’Erede Divino venire rapito da una strana figura con una maschera kabuki… è stata l’ultima immagine prima di svenire per il trauma.
Giorno 4: Arto
Ho ripreso conoscenza dopo non so quanto tempo, avvolto in una stuoia dentro a un vecchio tempio in rovina. Accanto a me c’era un anziano malmostoso e rattristito, che lento ma inesorabile intagliava idoli di legno. E se la consapevolezza di essere ancora vivo non è stata fonte di gioia, sono rimasto interdetto quando ho visto una strana mano di legno attaccata dove prima c’era il mio avambraccio sinistro. Ancor più inspiegabile è stato scoprire che potevo comandare quella mano intagliata come se fosse mia, come se ce l’avessi avuta da sempre. L’uomo si è presentato semplicemente come lo Scultore e si è preso il merito di avermi dato un simile strumento. Pure se non sono in grado di esprimerla, posso anche io provare gratitudine, e voglio credere che sarò in grado di dimostrargliela quando salverò il mio signore.
Fortunatamente il vecchio non ha avuto niente da ridire sui miei scopi, ha solo accennato che qualora trovassi strumenti protesici di portarglieli in modo che possa adattarli alla mia “nuova mano”. Uscendo dal tempo mi sono invece imbattuto in due altri personaggi, una donna e un samurai apparentemente immortale. La prima è vestita di rosso e ha detto di chiamarsi Emma: è un cerusico e a sua volta ha un qualcuno da servire, da cui ha ricevuto la missione di fornirmi assistenza… Ha detto che potrà migliorare la mia fiaschetta curativa se le porterò dei semi di zucca. Non ha voluto dirmi altro, anche se ho dei sospetti: la fiaschetta mi è stata donata dall’Erede Divino, quindi potrebbe essere anche lei una sua servitrice. È l’unica spiegazione che posso darmi, almeno per il momento. Del resto ora come ora mi pare insensato che qualche altro daimyo o semplicemente qualcuno sano di mente possa aver scelto di allearsi con la fazione perdente.
Il secondo tipo lo trovo vicino a un altro tempietto, una semplice statua del Buddha con sotto una cassetta delle offerte di legno. L’uomo non si è neanche presentato: mi ha chiesto di esaudire la sua umile richiesta di affrontarlo in battaglia. Ha sguainato la spada e ben presto la mia Kusabimaru ha incontrato la sua gola. Ma c’è stata un po’ di sorpresa da parte mia quando l’ho visto rialzarsi praticamente illeso. Solo allora si è presentato come Hanbei il non-morto, offrendomi il suo aiuto qualora volessi esercitarmi nel combattimento. Ancora aiuto disinteressato… fin troppo per non insospettirmi. Per questo ho risposto con un laconico “molto bene”, prima di salutarlo e sedermi all’Idolo dello Scultore. Ancora una volta le proprietà occulte di questi oggetti mi saranno utili per riposare e prendermi cura di me e del mio equipaggiamento. Dalle informazioni in mio possesso l’Erede Divino è stato riportato nel Castello di Ashina, in un luogo diverso rispetto alla torretta dove l’avevo salvato. Devo sfidare ancora tanto il freddo quanto la sorveglianza. Non c’è altro modo per recuperare il mio onore.
Giorno 5: Vecchia
Ho ripreso la via verso Ashina, rendendomi conto di non trovarmi vicino al punto in cui mi ero originariamente risvegliato. La neve si deposita svolazzando come scampoli di cenere e questa parte del castello è stata costruita su alcuni cucuzzoli di roccia. Originariamente c’erano dei ponti, ma sono stati distrutti per qualche motivo e adesso la vegetazione è l’unica cosa che ancora si azzarda a crescere sospesa nel vuoto. Molti rami oscillano al vento ma sono solidi abbastanza da sostenere il mio peso. Una fortuna che fa il paio con un piccolo dono non dichiarato dello Scultore: insieme alla protesi shinobi mi ha donato anche un rampino. L’aria che mi attraversa le vesti mi ricorda per un momento che sono di nuovo vivo.
Faccio una breve traversata. Le guardie sono sensibilmente più tese, infatti non mi capita di origliare qualche altra conversazione. Indossano quasi tutte il sugegasa, il cappello a cono fatto con la paglia tipico di chi lavora i campi. Da questo deduco che si tratta per somma parte di ashigaru. Me ne parlò ai tempi mio padre adottivo: sono contadini armati e sommariamente addestrati, spesso impiegati per fare massa. La maggior parte di loro viene istruita solo nell’uso della lancia, quindi la loro manualità con le spade sarà tutt’altro che perfetta. Tanto meglio per me: rimangono pericolosi, ma non conoscono tecniche mortali e il rampino mi permette di sfruttare la verticalità, muovendomi silenziosamente. Molte volte semplicemente li aggiro senza che neppure si accorgano di quanto la mia lama è andata loro vicina. Gli unici con un po’ di vista in più sono quelli muniti di arco, ma sparisco abbastanza velocemente da farli disinteressare dopo poco.
Trovo un altro idolo dello scultore vicino a quello che appare come un vecchio corpo di guardia in rovina. Il grosso squarcio sopra il portone mi lascia intendere che potrebbe esserci stato di mezzo un cannone, una di quelle terribili armi che i gaijin hanno venduto a caro prezzo a un pugno di daimyo con soldi da buttare. Le ante del portone ondeggiano al vento freddo, quasi rammaricandosi della propria inutilità. Mi basta un colpo di rampino per arrivarci, ma curiosamente non trovo il buco dall’altra parte. Piuttosto c’è un cadavere riverso sulla parete alla mia sinistra: l’unica cosa che trovo di utile è uno strano costrutto con delle shuriken dentro; probabilmente lo Scultore saprà cosa farne. Aggiro un altro samurai dalla lunga katana che attende un avversario degno; non capiranno mai che chi vive attendendo muore disatteso. Dopo di lui altre guardie, e purtroppo stavolta non va bene: quelli avvolti nella pelliccia sono più allenati e si muovono soverchiandomi con i loro sottoposti, riuscendo a uccidermi. Di nuovo il buio mi avvolge, ma proprio in quel momento accade nuovamente l’inaspettato: nella mia testa risuonano le parole dell’Erede Divino, che mi offre il suo sangue per rialzarmi. Accetto ed evito la morte, rianimandomi con quel poco di salute che mi serve per scappare via e riposarmi all’Idolo dello Scultore.
Aspetto un po’ prima di riprendere l’esplorazione. Nell’emergenza ho accettato l’aiuto, ma ho l’impressione di aver fatto qualcosa contronatura. Probabilmente era proprio questo il “potere occulto” che gli Ashina cercano di estrarre dal mio signore. Ma come fa egli a comunicare con me da così lontano e soprattutto ad aiutarmi in maniera così immediata? Subito si fa strada nella mia mente l’ipotesi più atroce, ovvero che l’Erede Divino si sobbarchi al mio posto l’onere di morire. Se così fosse, non potrei perdonarmi il fatto di usare troppe volte questo potere. Facendo più attenzione schivo di nuovo il generale oltre il corpo di guardia e cerco nelle torrette in rovina, senza farmi individuare. In una di queste, a sua volta martoriata da grossi squarci da artiglieria, trovo una vecchia ingobbita. È vestita con kimono giallo e una sopravveste rossa, entrambi sbiaditi. Quando sono abbastanza vicino da parlarle mi scambia per suo figlio Inosuke, e a nulla serve il mio cortese accenno che sta sbagliando persona. La donna mi chiede se ha visto il giovane signore e mi da un sonaglio, ma rifiuta di muoversi da lì. Con un po’ di pietà, non insisto oltre e me ne vado: i soldati che la circondano non le hanno fatto niente, quindi probabilmente è innocua. È tempo di tornare dallo Scultore.
In questa seconda pagina dei Diari del Lupo Grigio il nostro ninja preferito ci ha raccontato la sua caduta e il suo successivo ricominciare da capo. Pure se sono presenti palesi elementi fantasy e “occulti”, è particolare come il contesto della sua avventura abbia un inquadramento storico assai più definito rispetto alle altre produzioni FromSoftware. Nella pagina zero avevamo infatti ristretto una possibile datazione al 1589, ai tempi del feudatario Date Masamune. Quest’ultimo abitava la regione settentrionale del Giappone. Anche il clan Ashina si colloca nella parte settentrionale, per la precisione all’odierna provincia di Mitsu vicino alla regione di Fukushima. Malgrado sia oggi famosa per tutt’altro motivo (cioè i problemi alla centrale nucleare omonima a seguito del terremoto del 2011) popolarmente è indicata come uno dei feudi governati da Masamune. Vedremo quanti e quali riferimenti storici verranno confermati o smentiti, nel frattempo rimanete con noi per la prossima puntata!
Voto Recensione di Sekiro: Shadows Die Twice - Recensione
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