Sekiro: Shadows Die Twice | I Diari del Lupo Grigio: Pagina 12
Un centopiedi, la Forra e il Fulmine di Tomoe: il Lupo di Sekiro torna alla cima di Ashina.
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a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: From Software
- Produttore: Activision
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Generi: Avventura
- Data di uscita: 22 marzo 2019
Bentornati ai Diari del Lupo Grigio, il viaggio in Sekiro: Shadows Die Twice raccontato come se fosse il diario personale del Lupo. Nella puntata precedente lo abbiamo visto esplorare ancor più a fondo il Monte Kongo, venendo a conoscenza dei putridi segreti del Tempio Senpou. Rivelazioni ancora poco interpretabili, ma che avranno una risoluzione (quantomeno parziale) nelle prossime puntate, con qualche SPOILER già in questa. Quella di oggi però si prospetta particolarmente massiccia: il Lupo è arrivato alla Forra e non solo, quindi lasciamogli la parola!
Giorno 29: Forra
Ancora una volta, gli orrori che scopro in queste montagne orribili sono tanti e tali da minare seriamente la mia sanità mentale. Sono riuscito a scrivere solo molto dopo, avendo trovato rifugio in un punto remoto di questo terribile jigoku. La Forra è un luogo di tormento eterno, freddo e desolato, come quello che spesso i gaijin hanno immaginato in millenni di monoteismo. Sono tutti speroni e colonne di roccia, collegati da fragili ponti di corda. Per quanto inquietanti nel loro cigolio indotto dal vento, non sono certo un problema per me: a esserlo sono gli abitanti della Forra. Ho trovato altri piccoli saccheggiatori che si accaniscono su cose per loro inutili, ma le vere minacce sono gli archibugieri. Sono tutti piazzati su cucuzzoli strategici, hanno una mira mostruosa e sono inquietanti nei loro volti coperti da sacchi di iuta. Senza armatura e protezioni sono piuttosto fragili per Kusabimaru, ma quando mi avvicino abbastanza da colpirne uno vengo sommerso dai proiettili degli altri. Senza contare che sopperiscono alla loro mancanza di equipaggiamento con una grande abilità nel deviare i colpi.
Le prime volte mi hanno ucciso con pochi colpi nella loro precisione ormai proverbiale, da quel momento ho cominciato a correre. Ho raccolto gli oggetti che potevo e utilizzato il rampino, saltando da una roccia all’altra e appiattendomi contro le pareti alla ricerca sia di una scorciatoia che di una salvezza che non arriva mai. Ho continuato a correre verso la fine di questo incubo, e questa condotta inconsulta mi ha salvato in una circostanza: solo una, ma la più importante. Mi sono imbattuto in un ponte di corda più largo della media di queste parti, che ho attraversato scattando. Inaspettatamente il grande serpente bianco è sopraggiunto dagli abissi nebbiosi e ne ha abbattuto un’estremità: il resto del ponte è venuto giù come se fosse stato di carta. Non mi sarei salvato se non avessi cominciato a correre già da principio. Non mi sono voluto permettere neanche il lusso di fermarmi a contemplare il colpo di fortuna che ho avuto: ho semplicemente continuato a correre. Sono bastati pochi altri colpi di rampino per giungere a una piccola struttura in legno, che altro non era che l’entrata di una miniera improvvisatasi santuario. Finalmente lì ho potuto trovare un Idolo dello Scultore; pensavo che mi sarebbe bastato fermarmi e riprendere fiato, invece sono letteralmente crollato a terra e mi sono addormentato all’istante.
Giorno 30: Centopiedi
Quando mi sono risvegliato ho deciso di riesplorare un po’ gli immediati dintorni. Archibugieri e cannonieri col sacco di iuta sono pericolosi solo se ti individuano, e tendono ad avere una certa repulsione nei confronti del punto in cui si trova l’Idolo, quindi posso ogni volta colpirli alle spalle e accumulare punti e denaro. Quando provo a uscire dal fortino ne trovo un paio sulle punte di roccia: hanno disseminato il terreno con strane tracce rossastre che se calpestate scoppiano. Sembrano simili ai fuochi artificiali cinesi, quindi non sono dannosi… Ma fanno rumore. E a questi maledetti ne basta anche un minimo per svegliarsi, individuarmi e sommergermi di proiettili. Alcuni di questi hanno persino imparato a resistere ai colpi mortali, cosa che mi ha definitivamente dissuaso dal tentare qualunque approccio pure se i punti esperienza che rilasciano sono considerevoli.
Solo dopo ho capito il perché del loro timore a seguirmi all’Idolo dello Scultore. C’è un piccolo tempietto con una statua votiva, sorvegliata da un terribile essere. È un umanoide di aspetto ragnesco, che cammina a quattro zampe. Lame, chiodi e altre orribili protuberanze metalliche fuoriescono dalla sua carne. I suoi occhi e il resto del corpo ancora sano è invece coperto ai limiti della mummificazione: sembra non avere più le mani, rimpiazzate da artigli di ferro che utilizza con una rapidità e una ferocia terribili: è il Centopiedi Braccia Lunghe Giraffa, ennesima dimostrazione di quanto Ashina sia malata dentro. Il mostro si batte con una ferocia e un’abilità da far capire che ormai non c’è in lui più traccia di umano. La sua pioggia di attacchi è tanta e tale che basta prenderne uno solo da non aver più la forza di volontà di poter parare gli altri: ogni errore si paga con la morte, la stessa che sopraggiunge il suo colpo mortale con entrambe le braccia. Di nuovo è un mostro che si prende la mia vita un numero imprecisato di volte. Il ciclo continua sempre allo stesso modo: muoio, riprovo, muoio, ogni volta imparo ma sono sempre più vicino al vicolo cieco. Ancora una volta devo forzarmi in avanti: l’alternativa è Genichiro. Stavolta il meccanismo è differente: di norma ci vuole un tempismo perfetto per riuscire a deviare efficacemente il colpo avversario, ma il Centopiedi è talmente rapido da non darti il tempo di calcolarlo. Ecco qui il trucco: non serve il calcolo, basta continuare a deviare. E il suo attacco imparabile è sempre lo stesso, una spazzata evitabile con un salto. La sua postura si svuota con celerità e, pur facendo i conti con una fondamentale imprevedibilità di questo mostro, riesco finalmente a batterlo con un doppio colpo mortale.
Giorno 31: Ventagli
La sconfitta del Centopiedi Braccialunghe Giraffa mi lascia un’incredibile stanchezza addosso. Mi riposo all’Idolo, ma non mi addormento per via della dormita di poco tempo prima. Quando finalmente riesco a reggermi in piedi torno al tempio ormai libero e silenzioso ed esamino la statua votiva: vi trovo un altro grande ventaglio dalle vistose piume arancioni. Un altro strumento stravagante, ma il perfetto materiale per lo Scultore e la protesi che mi ha donato. Me lo porto via e mi avventuro nel vistoso buco sul pavimento di legno: mi ritrovo a strisciare per una serie di tunnel scavati nella roccia viva: non ci sono nemici preoccupanti, e tutto si risolve in qualche altro oggetto e in un circuito ad anello. Tornato sopra le assi del pavimento comprendo una verità piuttosto ovvia: il Centopiedi stava sorvegliando l’accesso a una porta. Provo ad appoggiarvi sopra la mano, a smuoverla, ma niente: ho bisogno di qualcosa in più, qualcosa che forse non è neanche una banale chiave fisica… Un altro vicolo cieco. Torno indietro al Tempio in Rovina.
Lo Scultore è silenzioso mentre armeggia con gli strumenti che gli ho portato. Anche se è abile questi costrutti sono piuttosto difficili anche per lui. Quando ha finito e me li consegna, mi spiega che uno crea una sorta di cono metallico tutto intorno, talmente resistente da potermi proteggere anche da attacchi in teoria imparabili; il ventaglio arancione invece si chiama Rapimento Divino, e utilizzandolo posso stordire un avversario quel tanto che basta a piazzare un colpo mortale. Quando ha finito di lavorare però lo vedo per la prima volta curioso: mi chiede in che luoghi ho viaggiato per imbattermi in attrezzi così insoliti. Gli racconto quindi del Monte Senpou, dei monaci corrotti e dei monti che lo circondano, fino agli insoliti confini del Castello Ashina e della Forra. Luoghi che, forse in maniera un po’ inaspettata, fanno riemergere in lui dei ricordi. Lo Scultore mi racconta che durante i suoi anni da shinobi si era allenato proprio da quelle parti. Un allenamento rischioso dove aveva imparato a muoversi tra gli alberi, sospeso nel vuoto e mimetizzato tra le foglie autunnali. Aveva imparato l’arte dell’improvvisazione copiando l’istinto delle scimmie di quelle parti. Ma se le scimmie avevano la natura a supportarle, egli ogni giorno era sospeso tra la vita e la morte, una sorte condivisa con un altro suo compare, che però adesso non ha idea di dove sia né di chi possa essere diventato… Ho dovuto scacciare il pensiero che potesse essere il Gufo, che ho visto morire quella maledetta notte alla Tenuta Hirata.
Quando mi ha congedato sono uscito a esercitarmi un po’ con il Rapimento Divino. È qualcosa di veramente bizzarro: è utile perché mette di spalle i miei nemici, ma lo fa generando uno strano vortice che è come se si trattenesse, come se fosse in realtà pensato per portarti via da questo mondo. Un ragionamento che mi ha portato alla soluzione più nascosta, nella sua banalità: è qualcosa di incredibilmente simile a quello che voleva Kotaro, il bonzo buono e piangente. Torno immediatamente all’ingresso del Monte Senpou: il ragazzone ha smesso di piangere ma ha ancora la faccia deformata da una situazione che lo vede impotente. Quei suoi occhi liquidi si smuovono quando mi vede mettermi in posizione e le piume arancioni fuoriuscire dalla protesi shinobi. Lo sento ringraziarmi con voce impastata mentre i petali e le foglie lo sollevano incuranti della sua mole, facendolo sparire nel nulla.
Giorni 32-44: Infinito
Non ho potuto più esimermi: le Tombe Antiche, le Segrete, la Forra erano tutti diversivi che non facevano che rimandare l’inevitabile confronto con il nemico, la mia vera nemesi: Genichiro Ashina. Diversivi non fini a sé stessi, per fortuna: ho acquisito strumenti, ho potenziato le mie risorse e so che c’è un modo per batterlo. Devo tornare su quel maledetto tetto del Castello Ashina e tentare fino a che non riesco.
Sono andato avanti così per tanto, troppo tempo. Ho studiato ogni sua mossa, ho imparato a contrastarla, ho schivato per quanto possibile, ho sperimentato ogni strumento protesico. Alla fine ho capito che l’ombrello di ferro è il migliore che posso impiegare contro di lui, anche se i suoi utilizzi sono limitati. Tutto sta nel puntare alla postura e continuare a insistere, migliorandosi ogni volta. Il tempo ogni volta si resetta, e ogni volta assisto al rifiuto dell’Erede Divino di renderlo parte del suo vincolo di immortalità. Il suo continuo cambio tra lama e frecce gli conferisce un aspetto imprevedibile, e contro di lui anche le tempistiche per la contromossa mikiri (che peraltro ancora non padroneggio) sono così diverse che molto raramente riesco a mandarla a segno. I colpi si susseguono, allenandomi riesco a sferrare il primo colpo mortale, con altro allenamento continuo a colpirlo abusando dello scudo metallico ma finalmente la sua gola si espone e Kusabimaru assesta il secondo colpo mortale.
Una gioia che non ha durata: Genichiro rigira la proposta a me, tentandomi con la possibilità di “servire un altro lord”. Qualcosa che ovviamente ho rifiutato, vedendola per quello che è: un inganno di un uomo sconfitto e senza più potere. Genichiro però ha a cuore il suo clan più di quanto non lo abbia né della sua vita né di un suo eventuale spirito: la sua armatura cade rivelando una muscolatura rinsecchita e un corpo ingrigito, mentre la sua lama si accende di impossibile elettricità. Ribandendo che per Ashina abbraccerà qualunque eresia, si rinomina Fulmine di Tomoe e si lancia contro di me in un crepitare di saette. Un confronto cui giungo ormai senza risorse, vengo abbrancato dalla sua presa d’amante indesiderato e trafitto in due, consumato dall’abbraccio della morte.
Quando torno sul tetto il cielo è nuovamente sereno e Genichiro è ancora nella sua forma normale. Devo ricominciare, ancora una volta. Riprendono i tentativi, a ogni resurrezione Genichiro contempla il potere del Retaggio del Drago ma ribadisce che allora continuerà finché non mi rialzerò più. Una promessa che mantiene ancora e ancora, mentre il mondo comincia nuovamente ad ammalarsi di Mal del Drago. Torno indietro, compro un’altra Goccia dalla Congrega, lo curo. Genichiro è terribile nella sua forma potenziata, ma può resistere solo a un colpo mortale: ho rinunciato da tempo a provare a fare la tecnica dell’inversione del fulmine di cui avevo letto nelle stanze superiori del Castello Ashina. Il modo per ridurre le probabilità di morte è uno solo: reprimere la paura e rimanergli il più vicino possibile. Durante la sua forma normale mi uccide ma torno in vita attingendo al Retaggio, gli do il secondo colpo mortale e lui ricorre al fulmine. Lo aggiro e lo colpisco, lo aggiro e lo colpisco ancora sentendo nelle viscere ogni colpo che sferro. Schivo un suo fulmine, mi spinge lontano, ne lancia un altro che mi prende e mi uccide, il secondo Retaggio mi salva di nuovo dalla morte, con riflessi sconosciuti a me per primo paro con l’ombrello di metallo un suo attacco in salto. Genichiro comincia a perdere la pazienza, schivo un’altra combinazione da parte sua, paro un altro colpo mortale con l’ombrello, la sua postura continua a scendere, resisto a un paio di attacchi in salto venuti fuori con l’imprecisione del disperato… Altri due colpi di Kusabimaru ed è scoperto: primo colpo alla gola, cozzare di lame, impasse, secondo colpo mortale. Le ultime parole di Genichiro sono ancora una volta un’invocazione alla sua terra: per la prima volta dai tempi di Gyoubu il mio proverbiale silenzio si spezza e di nuovo nella mia mente appare chiaramente: Esecuzione Shinobi.
Voto Recensione di Sekiro: Shadows Die Twice - Recensione
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