Sekiro: Shadows Die Twice | I Diari del Lupo Grigio: Pagina 10
Shinobi, élite e guerriero corazzato: una relazione a tre che fa scintille.
a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: From Software
- Produttore: Activision
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Generi: Avventura
- Data di uscita: 22 marzo 2019
Bentornati ai Diari del Lupo Grigio, la run su Sekiro: Shadows Die Twice narrata come se fosse il diario personale del Lupo. Il nostro shinobi preferito nella puntata precedente è riuscito a penetrare nel Castello Ashina dopo una lunga arrampicata sui tetti, fino a ritrovarsi stupito come sulla cima del feudo siano tutti inconsapevoli dei disastri che stanno succedendo immediatamente sotto. Di nuovo vi avvisiamo che potreste incappare in qualche SPOILER, ma non indugiamo oltre nel lasciargli la parola: oggi di nuovo abbiamo due scontri molto intensi.
Giorno 24: Schivate
Ho fatto qualche altro miglioramento alle abilità. Hanbei il Non-Morto è sempre stranamente felice di aiutarmi, ma allo stesso tempo faccio ancora troppa fatica con i samurai che pattugliano i piani alti del Castello. Dopo qualche altro ciclo di rigenerazione e piccoli oggetti consumabili recuperati, non mi resta che farmi coraggio e affrontare l’élite Ashina. Appena entro la nebbia ci circonda e lui si alza, neanche si inchina assumendo la posizione da combattimento. La sua lama ridicolmente lunga è nei fatti imparabile e un suo colpo anche di striscio arreca danni gravissimi. Se non avessi potenziato la mia resistenza fisica probabilmente basterebbe un solo errore da parte mia per dargli la possibilità di uccidermi sul colpo. Faccio anche un paio di tentativi con l’accoppiata olio e strumento protesico lanciafiamme; malgrado ne sia debole, il tempo prima per inzupparlo d’olio e poi accendere il braccio è troppo ridotto e il trucchetto mi riesce praticamente solo una volta. Il numero di tentativi è minore rispetto ad altri avversari che ho affrontato fino a ora, ma a renderlo frustrante per la mia coscienza è il fatto che a ogni colpo che riesco a piazzare lo vedo perdere molta resistenza fisica. Postura o non postura, se riuscissi a sopravvivere ai suoi colpi mi basterebbero poche sferzate di Kusabimaru per vincere.
Finché non capisco una cosa: ogni volta che sta per far partire uno dei suoi terribili fendenti non resiste alla vanità di estrarre leggermente la lama dal fodero, cosa che la fa luccicare per un istante. I miei occhi lupeschi si stringono e mi concentro su quella, solo su quel brevissimo luccichio. Appena lo vedo schivo in avanti o in diagonale, e colpisco. Ogni errore lo pago caro, ma per la prima volta non sento la frustrazione per le morti che colleziono. Come con Gyoubu, lo spadaccino si merita un duello giusto, che vada oltre il concetto di “vincere” e “perdere”. E forse proprio per questo che, quando cade, il mio istinto non mi fa infierire su di lui con un’esecuzione; anzi compongo il suo cadavere lì dove era solito sedersi. Quando finalmente riposa in pace, leggo la pergamena sulla parete dietro di lui: parla di un’antica mossa che poteva essere utilizzata per evitare gli attacchi elettrici, chiamandola “inversione del fulmine”. Mi riposo all’Idolo dello Scultore all’entrata, prima di saltare fuori dalla finestra che la nebbia teneva prima bloccata.
Giorno 25: Diversivi
Oltre la finestra, mi trovo di nuovo sui tetti del Castello Ashina, subito sotto quella che non può che esserne la cima. C’è una gigantesca tettoia con pavimento di legno, con alcune decorazioni scolpite sui tetti che non sono altro che appigli per il mio rampino. Ormai ho capito che quando ci sono spazi così grandi e vuoti è perché c’è qualcuno in attesa di una sfida. Una sfida che devo per forza raccogliere, ma non subito. Dal medesimo tetto si intravede una ulteriore cima, con un paio di stanze che sembrano accessibili: lo segnalano i vapori violacei degli incensi lasciati dai ninja corvini. Con un po’ di equilibrismo e rampino lo raggiungo: il complesso è vuoto e i paraventi di carta sono fragili come impone il loro nome. Trovo una lettera abbastanza lunga, del quale riesco a cogliere solo il nome Isshin Ashina. Forse Emma potrebbe saperne di più, ma adesso non posso deconcentrarmi a tornare indietro: devo quantomeno vedere cosa c’è sulla grande tettoia.
In un certo senso, quello che vi ho trovato era esattamente quello che volevo: Genichiro Ashina chiede per l’ennesima volta all’Erede Divino di renderlo parte del Retaggio del Drago, ricevendo anche stavolta un rifiuto. A sorprendermi è il fatto che nella discussione sia presente anche Emma, a cui Genichiro chiede “come sta il nonno”. La donna risponde che è un miracolo che Lord Isshin sia ancora vivo. Tuttavia io sopraggiungo quando il mio signore Kuro non vuole esaudire la richiesta di Genichiro, asserendo non a torto che il suo shinobi verrà a salvarlo.
Genichiro è un avversario forte, mostruosamente forte. Utilizza in maniera precisa e brutale tanto l’arco quanto la katana, approfittando di quando mi allontano per cercare di curarmi. Oltre a degli ovvi attacchi imparabili, è meno ovvio che ha anche dei colpi che seppur classificabili come contrastabili, richiedono un tempismo tale da subirli per buona parte delle volte. Il combattimento non si smuove per lungo tempo, e solo dopo una lunga serie di morti piazzo il primo colpo mortale, che lo fa infuriare ancora di più e amplificare gli attacchi e i colpi. Non posso continuare a insistere, devo potenziarmi o quantomeno allontanarmi da quello che pare sempre di più un pozzo senza fondo.
Torno al Monte Kongo: nel tempio apparentemente chiuso trovo uno squarcio nel legno e mi ci arrampico, entrando nella parte interna del giardino. L’atmosfera raggiunge nuovi limiti di surrealismo: gli alberi sono terribilmente carichi di foglie aranciate, e quelle già cadute hanno ricoperto il lastricato sotto. La vegetazione fitta mi permette di nascondermi ed esplorare. Oltre ad altri monaci dalla pelle grigiastra vi sono anche dei komosu, i monaci mendicanti che portano quel grande cappello rettangolare che nasconde completamente la testa. Sono avversari molto duri con quelle loro armi che presentano una lama ricurva di naginata ad entrambe le estremità. Dopo un primo tentativo in cui li sconfiggo, decido semplicemente di girar loro intorno. Il ponte è rotto, ma continuando a esplorare e raccogliere oggetti scopro una serie di appigli e sottili camminamenti in legno. Più volte rischio di cadere nel vuoto per via dei terribili appigli cui solo la protesi e la sua mancanza di dolore mi permette di aderire e arrampicarmi. Vi sono altri esemplari di quegli strani e spietati folletti spazzini, ma trovo anche un Idolo dello Scultore. Più avanti c’è un grosso sperone di roccia con molti fiori dai colori caldi e un grande ponte di legno. Salgo prima sullo sperone e istintivamente mi siedo. Il vento neanche fischia, sussurra e fruscia tra l’erba e i petali. Mimetizzate tra i fiori trovo due girandole di carta, una completamente bianca e l’altra macchiata di rosso. Trovo un modo di farle stare in piedi sulla superficie rocciosa, e aspetto. Per lungo tempo osservo il panorama brullo e inospitale dell’orizzonte… è proprio da lì che sto scrivendo questa pagina. Il sole proietta una luce intensa come l’oro, bloccato in un crepuscolo eterno che però respira e fa respirare, l’oppressiva neve cenerina evapora e invita quasi al sonno, al silenzio, al buio.
Giorno 26: Armatura
La missione cui sono legato ha prevenuto dal farmi rimanere sul Monte Kongo a far niente, ma mi ha anche impedito di capire che il grande ponte di legno che c’è dall’altra parte l’avevo già visto. Mi è bastato alzare la testa per vedere da lontano la pagoda con la grande campana che ha scritto da tutte le parti “non suonarmi”. Il ponte è invece abbastanza tranquillo… finché all’estremità opposta non si manifesta un colosso in armatura. Quella che indossa è qualcosa di completamente diverso da quella tradizionale di queste terre: è a piastre e luccica al sole, tutta segmentata in modo che gli offra il massimo movimento possibile. È un’armatura d’acciaio, proveniente da Occidente. Riesco a malapena a capire che maneggia una spada, perché è mostruosamente grande e con la lama piatta e tagliente da entrambi i lati: ennesimo segno della sua natura gaijin.
Le sue parole “Per mio figlio, metti giù la spada” sono perentorie e rimbombanti dal suo elmo ugualmente chiuso. In un’inspiegabile sensazione di già visto capisco immediatamente che la parata è fuori discussione e comincio a schivare. A parte qualche morte accidentale le prime volte, il punto debole di questo mostro corazzato sta nella sua lentezza nel girare sul posto. Con il giusto livello di attenzione riesco per la maggior parte delle volte a rimanergli alle spalle e a colpirlo, mentre il suo spadone taglia l’aria e distrugge con una semplicità imbarazzante le paratie di legno del ponte. Per quanto lo colpisca le sue condizioni fisiche non peggiorano, per merito dell’armatura. Ma nessuna corazza, non importa quanto ben realizzata, può proteggere dalla perdita di postura, quindi mi armo di pazienza e continuo a colpirlo. Dopo qualche altro minuto finalmente si sbilancia e lo colpisco a morte, spingendolo in avanti… Ma il cavaliere occidentale non muore, anzi si puntella sull’arma e si lancia nuovamente all’assalto. “La tua spada non può penetrare la mia corazza! Perché non capisci?”: le sue parole sono a metà tra il l’autocompiacimento e il compatimento nei miei confronti. Con le cure esaurite e la breve disattenzione che mi ha provocato questa rivelazione, l’occidentale mi prende e mi ferisce brutalmente, prima di spingermi nel vuoto in una grottesca rievocazione di quando avevo a che fare con l’Orco Incatenato.
Il risveglio dalla morte è stato come una di quelle notti senza riposo, in cui si cerca nel dormiveglia un conforto che è solo ingannatore. In cerca di una qualche ispirazione sono tornato allo sperone con i fiori, rimanendo in contemplazione per un altro po’. Ho pensato al gigante e a come fare, prima di rendermi conto che stavo fissando un punto indefinito nel baratro. Quando i miei occhi si sono riabituati, il primo dettaglio che ho notato sono state le foglie che cadevano nel vuoto, esattamente come me… E ho capito che c’è un’altra cosa, oltre alla postura, contro cui un’armatura non può niente: è stato lui stesso a suggerirmela, l’ultima volta che mi ha ucciso.
Metto in tasca entrambe le girandole e torno al ponte. Per quanto forte, il cavaliere corazzato rimane un ariete da sfondamento, e decido di direzionare i suoi colpi in modo che distrugga quante più barriere di legno possibili. L’aria si riempie di schegge e odore di legno marcito, accompagnato dai versi di sforzo del gigante mio avversario. Kusabimaru produce fontane di scintille ogniqualvolta cerca di penetrare quell’armatura: comincio seriamente a pensare che anche lei abbia un qualche arcano incantesimo sopra: qualunque altra katana in una situazione simile si sarebbe spezzata al primo fendente. Finisco le cure e il colosso riesce anche a uccidermi, ma ormai sono arrivato troppo lontano: attingo al Retaggio del Drago. Il corazzato ha la forza di tentare un’ultima presa, prima che la sua postura si spezzi di nuovo. Allora gli salgo sulla schiena, affondo Kusabimaru… e lo spingo in avanti con le gambe, facendolo finire nel vuoto oltre il ponte. Nessuna morte spettacolare, nessuna esecuzione: la nebbia del Monte Kongo lo inghiotte, dando come ultimo segno del suo passaggio uno schianto che fa tremare la terra. Mentre cade il suo grido è una sola parola, un nome: Robert.
In questa puntata dei Diari del Lupo Grigio abbiamo avuto nuovamente un’accoppiata di scontri intensi. Il primo con l’élite Ashina, l’altro con il guerriero corazzato. Quest’ultimo, pur se (apparentemente) senza nome, ha un paio di spunti interessanti. Il primo è storico: la foggia dell’armatura (a parte l’elmo a maschera di ispirazione giapponese) ricorda molto le armature del tardo Medioevo europeo, in special modo quelle di fabbricazione tedesca e italiana. Lo spadone che brandisce invece è del tutto simile alla claymore, lo spadone a due mani gallese. Una spada a due mani era diffusa anche nel Sacro Romano Impero con il nome zweihänder, ma era di fabbricazione differente: andava afferrata con una mano sotto l’elsa e l’altra al di sopra, in modo da utilizzarla come una falce per la mietitura del grano. Un equivalente di “spadone” giapponese era invece la zanbato, effettivamente molto più simile alla claymore ma di norma con un solo lato affilato. Il secondo spunto è più ovvio per i fan FromSoftware: il guerriero corazzato occidentale è una citazione sia alla trilogia di Dark Souls (la sua armatura è simile a quella di un personaggio che si incontra in uno dei DLC del terzo capitolo e ha delle movenze che ricordano alcuni boss della saga) che a Berserk, celebre manga di Kentaro Miura di cui Miyazaki non ha mai fatto mistero di essere fan. Il tutto in ogni caso avvalora ulteriormente l’ipotesi che Sekiro: Shadows Die Twice si ambienti nel tardo Cinquecento. Continuate a seguire le avventure del nostro Lupo!