Sekiro e l'elogio della difficoltà
Sekiro e la filosofia di From Software potranno cambiare il mercato e l'idea distorta che le aziende hanno dei giocatori.
a cura di Domenico Musicò
Deputy Editor
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: From Software
- Produttore: Activision
- Piattaforme: PC , PS4 , XONE
- Generi: Avventura
- Data di uscita: 22 marzo 2019
“Lo so che a questo mondo non siamo tutti uguali, ma non sopporto i posti che lo sottolineano“. Veniva detto in un libro chiamato Un giorno questo dolore ti sarà utile, di Peter Cameron.
Della frase estrapolata ne sono convinti molti giocatori, del titolo di un romanzo che sottintende un doveroso percorso di crescita traumatico ne sono convinto soprattutto io. Da questi due punti di vista nascono delle considerazioni importanti che mettono in mezzo l’utenza, la filosofia (necessaria) di From Software e l’incidenza che una scelta così intransigente potrebbe avere sul mercato.
Muori e gioisci
L’abitudine ad avere tutto con enorme facilità e senza troppi ostacoli ci sta distruggendo.
Sta distruggendo il nostro senso critico, quello del dovere, e sta soprattutto creando una voragine sociale che giorno dopo giorno guadagna metri verso una profondità senza fine. Faticare per ottenere i frutti migliori è spesso un rifiuto, la ricerca ossessiva delle scorciatoie è la massima priorità, e far diventare le difficoltà oggetto di vituperio è una delle giustificazioni che ci serve per tentare di dare una motivazione ai nostri fallimenti o al nostro incredibile lassismo.
In questi giorni ho letto un po’ ovunque la frase: “Sekiro non è un gioco per tutti”. Ma cosa significa esattamente questa enorme fandonia? Escludiamo per ovvie ragioni chi ha poco tempo da dedicare, per qualunque motivo personale o lavorativo. Perché tutti gli altri dovrebbero sentirsi non adatti ad approcciare Sekiro o anche solo ad avvicinarglisi con la dovuta convinzione nei propri mezzi? Per nessun motivo, perché Sekiro non è mai ingiusto col giocatore, non bara, non raggira, non è scorretto e non si prende gioco di chi è convinto di non potercela fare aprioristicamente. Sekiro è uno dei videogiochi più meritocratici presenti nel mercato, e in quanto tale taglierà fuori solo chi non ha intenzione di prendere tantissime mazzate, farne tesoro e diventare sempre più forte e consapevole di sé a ogni rovinosa caduta. Non è forse una metafora della vita? Non è forse “un dolore che un giorno vi sarà utile”? È esattamente così.
Giunti alla fine della prima settimana dalla pubblicazione, alcuni lo avranno finito con le proprie forze, altri con l’aiuto di guide su YouTube che negheranno di aver usato, mentre altri sono ancora alle prese coi boss e con le oggettive difficoltà del gioco più arduo mai creato da From Software. Poi c’è chi lo ha mollato, chi ha deciso di darlo via dopo poche ore, chi ha semplicemente deciso (forse in preda a una grande frustrazione che non riesce a sopportare) che non fa per lui, che non riesce ad andare avanti. Ci sono coloro, appunto, che vogliono il meglio senza faticare per averlo. “Certo“, direte voi, “È assurdo, si parla solo di un gioco, ma che diamine!” Ed è difficile da accettare quando una software house ha in mente una filosofia ben precisa, che non fa sconti a nessuno e che prevede solo una strada per la gloria: impegno e dedizione totale.
L’impatto di Sekiro
Dieci anni fa Demon’s Souls ebbe un impatto deflagrante sulle nuove consuetudini del mercato e sulle abitudini dei giocatori. Era un periodo dove i giochi stavano diventando di una semplicità disarmante. Erano guidati, senza nessun ostacolo, con indicazioni chiarissime su cosa fare e suggerimenti ovunque. Le aziende si nascondevano dietro la grande falsità dell’inclusività, ma in realtà puntavano a massimizzare i profitti e basta. La curva della difficoltà ebbe una parabola discendente, rovinosa, in perfetta controtendenza rispetto al passato, ma grazie a From Software qualcosa cambiò.
È un fenomeno che si presenta anche oggi, sia chiaro. Eppure, sono convinto che con Sekiro la tendenza s’invertirà nuovamente, perché l’asticella si è alzata ancora più in alto di quanto si potesse pensare per questo preciso periodo storico. Una nuova frontiera della difficoltà, e il superamento della stessa tramite modalità nuove e sperimentali, renderà possibili concept inediti e in grado di puntare a livelli di sfida ancor più stimolanti. L’aver osato ha determinato i risultati che oggi stiamo osservando, pertanto, in un ottica legata ai prodotti da immettere sul mercato, ci si potrà spingere ancora oltre. Non mancheranno gli emuli, né mancherà chi vorrà prendersi lo scettro di “gioco più difficile”, un po’ come fece Nioh e una serie di altri titoli che si aggrappavano con forza a quel filone che da dieci anni a questa parte è ancora molto attivo e apprezzato.
Se è vero che sono aumentati i giocatori, è vero anche che una grande fetta di utenza è composta da chi non è affatto assiduo, da chi appunto vede il primo impatto con Sekiro come una cannonata in pieno stomaco. Ed è comprensibile.
Si tratta di un modello che dieci anni fa, con le dovute proporzioni, ha influenzato il mercato. È stato visto come una novità, ma era in realtà un salutare ritorno al passato, una sorta di reset, un ripristino dei valori della difficoltà media che all’epoca era un’inconsuetudine. Pensateci: quanti giochi ci sono, oggi, la cui difficoltà standard corrisponde alla modalità “easy” di una volta? Tantissimi. Si tratta di un rigurgito di quel cambio di guardia, ma a ben vedere sono senz’altro di meno, perché molte aziende hanno capito che eccessiva semplificazione non fa il paio con la tanto decantata inclusione. Tentare di acchiappare i molti che ti abbandoneranno e scontentare quelli che ci saranno sempre non è mai una buona idea.
Inclusività non si significa creare prodotti che trattano i giocatori come degli stupidi. Non significa guidarli dall’inizio alla fine e renderli partecipi solo facendoli interagire in modo non spontaneo, senza approcci creativi e senza una partecipazione priva di iniziative. L’esempio di Sekiro, che crea un curioso e importante precedente, potrebbe quasi essere un esperimento sociale e di analisi molto accurato per profilare le diverse tipologie di utenti. Molti parametri sono destinati a cambiare di nuovo.