La nostalgia ha un problema: idealizza, eleva e crea un amore incondizionato nei riguardi di quello che proviene dal passato. La concezione del «prima era tutto più bello», del «si stava meglio quando si stava peggio», quell'unità di misura dell'anzianità interiore per cui le cose di oggi sono «brutte» o nel caso migliore «incomprensibilmente apprezzate», mentre «ai miei tempi... ma che ne sapete voi?».
La nostalgia ha un impatto forte anche sul mondo dei videogiochi. Al di là dei si stava meglio quando si stava peggio generali con cui ci si misura tutti i giorni, infatti, i videogiocatori sono particolarmente nostalgici. Noi over trenta odierni, va detto, siamo cresciuti in un'epoca d'oro dell'evoluzione del medium, quella in cui si ponevano le prime certezze negli ambienti di gioco tridimensionali, con il risultato che quel senso di meraviglia per il salto tecnologico è stato difficile da replicare per gli hardware successivi.
Come sempre, però, le cose vanno viste nel loro contesto: a volte, tornando al prima con gli occhi dell'oggi è facile rendersi conto in modo più realistico della distanza passata tra gli amori di gioventù e l'apprezzamento che ora siamo in grado di riservare a questo o quel gioco.
Non c'è niente di male, a essere un videogiocatore nostalgico. Voglio dire, noi siamo quelli del RetroGiovedì sul nostro canale Twitch, ed è proprio dalla chiacchierata delle scorse ore con voi, nel RetroGiovedì, che nasce questa riflessione: lunga vita alla nostalgia. Ma a patto che ci sia lunga vita anche per i videogiochi che anziché guardare indietro guardano avanti.
Il bello dei ricordi e l'idealizzazione della nostalgia
Non è vero che, su un livello assoluto, i giochi erano più belli, quando eravamo bambini. Ogni cosa va misurata in senso relativo, messa nel suo contesto – non solo per il gioco in sé, ma anche per il fruitore.
The Legend of Zelda: Ocarina of Time, Metal Gear Solid, Tomb Raider 2, Resident Evil 2, Super Mario 64 sono, capiamoci, videogiochi di livello assoluto. Giochi che hanno preso le linee guida del medium e le hanno fatte proprie, reinventando nell'epoca storica che vivevano i modi di concepire un videogame, arrivando a svettare come eccellenze assolute nella storia del gaming.
Ma, al di là dell'analisi critica sui grandi classici, bisogna ricordare che quando ci guardiamo indietro, quando lasciamo prendere il sopravvento alla nostalgia, la grande bellezza è accompagnata dalla sensazioni che abbiamo provato con quel gioco. La bellezza e genialità della prima volta in cui riuscivi a compiere quell'assurdo enigma in Tomb Raider 2 non è solo nel level design e nell'enigma in sé, ma anche in quello che hai provato quando ce l'hai fatta.
Questo fa in modo che la nostalgia finisca con l'addobbare di sensazioni meravigliose anche giochi che in realtà non potevano permettersi di svettare come eccellenze assolute. Voglio dire, io ho ricordi meravigliosi con Hogs of War, ma questo non significa che fosse un gioco da elevare a eccellenza. Però ti voglio bene, Hogs of War. Te ne vorrò sempre, anche se sono stata una pappamolle e non riuscivo a sparare ai maialini che si proteggevano la faccia davanti ai fucili puntati.
L'industria dei videogiochi di oggi e la leva dell'effetto nostalgia
Come si diceva, non c'è niente di male nella nostalgia di per sé, fintanto che non le si permette di fare da spartiacque tra tutto il bello – solo quello che è stato ieri – e il brutto – quello che c'è oggi o ci sarà domani. Molto meglio la nostalgia che scalda il cuore, di quella che toglie prospettive.
L'industria dei videogiochi è ben consapevole della forza della nostalgia. Da qualche generazione, infatti, ha cominciato a guardarsi prepotentemente indietro, e per quanto assurdo possa sembrare abbiamo comprato, ricomprato e ricomprato ancora sempre gli stessi giochi. Perché? Perché ci ha spinto l'affetto che provavamo per loro.
La conservazione dei videogiochi è un aspetto fondamentale del dibattito odierno sul medium, intendiamoci: è importantissimo che i giochi di ieri rimangano disponibili, accessibili, non finiscano in soffitta, perché è importante che il medium abbia una memoria culturale. Chi si avvicinerà al videogioco tra ottant'anni, quando chissà quante altre evoluzioni avrà vissuto, dovrà poter toccare con mano, in modo attivo, così ci fosse di peculiare in Ocarina of Time rispetto ai suoi fratelli della stessa epoca.
Se, però, nella conservazione vera e propria degli originali l'industria ha ancora molto da affinare (retrocompatibilità mancanti o migliorabili, come quelle di PlayStation 5 o del catalogo di Nintendo Switch Online), col tempo è diventata estremamente solerte nel monetizzare la nostalgia.
Nel corso della live dello scorso giovedì, ad esempio, un lettore mi raccontava la sua amarezza perché il ritorno di MediEvil non era stato come lui si aspettava – e questo, oltretutto, potrebbe aver tagliato le gambe anche a un possibile ritorno del secondo amato capitolo. E già che in questo caso si parlava quantomeno di un remake.
Tuttavia, il discorso a cuore aperto del lettore è assolutamente condivisibile: «perché far tornare un classico se non fai un lavoro alla sua altezza?».
È la settimana di GTA Trilogy - The Definitive Edition, per fare un nome a caso. Nella nostra recensione abbiamo evidenziato il grande valore che i tre giochi ancora hanno, come esponenti della storicità del free roaming (e la player expression di San Andreas è tutt'oggi notevole), ma abbiamo anche fatto notare come il lavoro tecnico sia stato pigro, rispetto a quanto fosse lecito aspettarsi da un titano come Rockstar.
La scorsa settimana è stata quella del ritorno di Pokémon Diamante e Perla, per l'occasione Diamante Lucente e Perla Splendente, riemersi con furore dall'epoca Nintendo DS per darsi una svecchiata grafica e migliorare alcuni aspetti di gioco – ma senza rivoluzioni. E soprattutto senza Platino, ma lo sapete già.
La settimana prima abbiamo ricomprato per la quarantaduesima volta The Elder Scrolls V: Skyrim, perché Skyrim è Skyrim e non fa niente se aggiungi solo le canne da pesca e qualche armatura, molti di coloro che gli vogliono bene continueranno a seguirlo di release in release per perdersi nelle lande nordiche di Tamriel. Dato che ci siamo, sappiamo anche come sono andate alcune cose, nella community, nello scontro tra nostalgia e realtà avvenuto in Diablo II: Resurrected.
Qualche tempo fa, se ricordate, venne accusato di pigrizia (a buon motivo) anche Final Fantasy VIII Remastered (e qui parliamo di rimasterizzazione, come per GTA, e non di remake, come per MediEvil), la riproposizione di un grande classico dove praticamente tutto rimaneva intoccato, al di là dei modelli dei personaggi e della gradita aggiunta del moltiplicatore della velocità, che migliorava le possibilità di grinding evitando la frustrazione dei tempi di attesa in entrata e in uscita dalle battaglie.
Si potrebbe citare anche la rimasterizzazione di Crysis, che giocando sul «ci gira?» non si presentò esattamente come paradigma dell'ottimizzazione.
Gli esempi che si possono fare potrebbero essere tantissimi, ma è la tendenza a contare più dei nomi: la schiera delle rimasterizzazioni è popolosissima e spesso, tra videogiocatori, sentiamo alcuni invocarne nuovi. «Fate tornare questo gioco», «fate un remake di questo», «ma perché non rimasterizzate in HD questo?».
Videogiocatori e videogiocatrici: i giochi nuovi, i nuovi episodi, gli inediti assoluti, ci fanno proprio così schifo?
Conservazione è bello, stagnazione è brutto
Domanda retorica: la risposta è no. Ma dal momento che la nostalgia è quella forma di amore che ti fa fare cose razionali – che ti fa dire «ci ho giocato ottanta volte, ma potrei valutare di pagare il doppio Nintendo Switch Online per giocare Ocarina of Time emulato malino su Switch» – anche l'industria si è adattata.
Creare nuovi videogiochi costa sempre di più e ci si può prendere sempre meno rischi, perché parliamo di investimenti corposi, che devono avere un ritorno. La nostalgia, l'usato sicuro dei franchise di maggior richiamo (ma anche di altri non di primissima fila, come sappiamo) è un modo sensato di garantirsi delle entrate, spendendo meno e rischiando poco – se non si considera che si rischia di rovinare la reputazione del classico che si va a riesumare, ma questo è un altro discorso.
Questo, però, non deve portare a una stagnazione delle proposte nel mercato videoludico. I publisher hanno bisogno, perché è il loro lavoro, di monetizzare in sempre nuovi modi (e sempre più costanti) i loro lavori di maggior attrattiva; i videogiocatori hanno in mano la bilancia, una monetina alla volta, che decide quanto questa conservazione possa tramutarsi in pigra stagnazione.
I grandi classici li amiamo tutti. Rispolverarli e dare loro nuova linfa vitale è affascinante e quasi magico, quando pensiamo all'evoluzione delle tecnologie videoludiche rispetto ai tempi andati. Rispolverarli e dare loro nuova linfa vitale lavorandoci in modo approssimativo, pensando anche di non rendere più accessibili gli originali (era l'idea iniziale di GTA Trilogy), per spingere verso una nuova monetizzazione a prezzo pieno, no.
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