Rune: Viking Warlord | Vichinghi in Unreal Engine
Alla riscoperta di un titolo interessante a tema mitologia nordica
a cura di Adriano Di Medio
Redattore
Da una decina d’anni l’Unreal Engine è un po’ sulla bocca di tutti. Potente e flessibile, oltre che incredibilmente diffuso tra gli addetti ai lavori, su di lui sono stati realizzati i videogiochi più disparati, dai Gears of War ai Mortal Kombat. Persino le case nipponiche si sono imparate a usarlo, tanto che Square Enix vi ha riconvertito Kingdom Hearts III. Quello che è meno noto è che l’Unreal Engine ha avuto un inizio piuttosto oscuro: oggi siamo qui per parlare di Rune: Viking Warlord, uno dei primi videogiochi (se non il primo) a essere stato sviluppato con l’Unreal Engine su licenza.
Un’idea è come il nocciolo di un’oliva
L’idea di un videogioco a tema vichinghi si fa strada negli anni novanta in due dipendenti della statunitense Raven Software. Costoro sarebbero stati i futuri fondatori degli Human Head Studios, il cui primo progetto fu un sequel del videogioco di John Romero Daikatana. Questa idea ben presto cadde nel vuoto, ma la Epic decise di lasciar loro continuare a usare l’Unreal Engine: inevitabilmente gli Human Head tornarono all’idea originaria dei vichinghi. L’impiego di tale mitologia li spinse però a virare l’Unreal non verso il first-person shooter ma verso l’action in terza persona. Ecco quindi che il gioco (intitolato semplicemente Rune) arrivò su PC a novembre del 2000.
Al villaggio vichingo di Wotankeld il giovane Ragnar viene iniziato nella Lama di Odino, la cerchia di guerrieri che si occupa di difendere la Pietra Runica. Questo dono di Odino, insieme alle altre custodite nel resto del mondo, mantiene stabile il regno di Midgard. Tuttavia il terribile Conrack, seguace di Loki, sta portando avanti un percorso di conquista e distruzione. Il tentativo dei guerrieri di Wotankeld di fermarlo è un disastro e Ragnar si ritrova a esserne l’unico sopravvissuto. La sua ricerca di vendetta per il padre e per i suoi compagni lo porterà a viaggiare nelle viscere del pianeta e a ottenere l’aiuto di Odino stesso per evitare lo scatenarsi del Ragnarok.
Stiamo nei fatti parlando di un grosso minestrone riscaldato a tema mito norreno anche per l’anno 2000. Bastano però pochi attimi nel gioco per capire come il motore trainante del giocatore non sia il plot, ma il contesto e il mondo che sono stati costruiti per ospitarlo. Rune infatti concepisce per sé un mondo fantasy vichingo esteso e saporito, che gioca sui contrasti chiuso-aperto e caldo-freddo per impostare un’atmosfera grezzamente epicheggiante. Lo stesso libretto di istruzioni originale addirittura alternava indicazioni tecniche a stralci di un breve racconto che fa da prologo alla vicenda del gioco. Cose che sono sempre interessanti, non solo ai cultori del fantasy.
Pochi poligoni e inaspettatamente carismatici, ma appena li muovi…
L’azione di Rune si consuma attraverso una trentina di livelli di lunghezza variabile, in cui sconfiggere i nemici, raccogliere oggetti e risolvere qualche basilare enigma ambientale. Incapace di difendersi a mani nude, Ragnar punterà in toto sulle tre categorie di armi (spade, mazze/martelli e asce) da recuperare dai nemici caduti o nelle ambientazioni. La componente più fantasy si concretizza nelle rune, pietre magiche che una volta raccolte riempiranno un’apposita barra, che servirà ad attivare un’abilità magica diversa a seconda dell’arma impugnata. Le altre rune o estendono la barra della salute oppure permettono di ottenere istantaneamente lo status di berserk. Chiaramente una simile progressione mantiene un grezzo senso di appagamento, specialmente quando si affrontano i nemici: gli smembramenti e le armi che si sporcano di sangue sono decisamente viscerali. Chiaramente il passare degli anni ha trasformato questi effetti da truculenti a grotteschi.
Anche perché il gameplay ha dei grossi limiti. Alla Human Head Studios avevano fatto ben pochi sforzi per riadattare alla terza persona un motore grafico palesemente nato per gli FPS. La visuale a figura intera da dietro arranca, Ragnar pattina ogniqualvolta gira sul posto, l’intelligenza artificiale dei nemici è non pervenuta, le bossfight praticamente non esistono e le sparute fasi in cui si cerca di imbastire del platforming sono abbastanza dimenticabili: vedere un massiccio guerriero vichingo che spicca salti di molti metri da una pelle d’animale tesa o che cavalca il burrascoso vento montano lasciava e lascia perplessi. Forse è anche per mascherare questi momenti “surreali” che il gioco spinge sulla pacata esagerazione delle armi.
PlayStation 2 non è il Valhalla
Quando uscì, Rune ricevette però una buona accoglienza. La critica lo definì interessante (seppure ben lungi dall’eccellenza) per il modo esagerato ma ragionato in cui aveva ricreato il contesto mitologico, mentre il pubblico ne apprezzò la grafica e la resa dell’Unreal Engine, che gli Human Head migliorarono autonomamente con un nuovo sistema di animazione, illuminazione e effetti particellari. Anche il cambio di abiti da parte del protagonista a seconda delle ambientazioni era un dettaglio non da poco nei primissimi anni Duemila. Quello che non piacque molto fu la struttura dei livelli, che oltre a essere lunghi erano a volte un po’ troppo contorti. La volontà immaginifica delle ambientazioni riprende tuttavia vigore nei livelli finali, assai più narrativi e particolari.
Forti dei giudizi positivi gli Human Head si rimisero al lavoro e l’anno successivo (2001) ne realizzarono un porting su PlayStation 2, con il quale divenne noto con il titolo completo Rune: Viking Warlord. Purtroppo tale incursione nel mondo delle console si rivelò decisamente debole: il drastico abbassamento di risoluzione fu solo uno dei molti compromessi a cui gli sviluppatori dovettero ricorrere. Oltre alla compatibilità con mouse e tastiera PS2, la presenza delle memory card rendeva nei fatti impossibile mantenere la funzione di salvataggio libero, obbligando il giocatore a memorizzare i progressi solo al termine di ogni livello. Come diretta conseguenza di ciò, buona parte dei livelli venne ridisegnata e semplificata, eliminando buona parte delle trappole in grado di uccidere Ragnar sul colpo e abbassando drasticamente la difficoltà generale. Su PS2 molti livelli sono una versione “spezzettata” di quello che su PC era un’unica area. Ma anche così non si riuscì a ottimizzare adeguatamente il codice, cosa che si tradusse in estesi caricamenti. Tanto che molte volte si cercava di non morire non per la penalità di rifarsi da capo il livello, ma per evitare i trenta e più secondi di attesa prima di ripartire.
Vent’anni di elmi con le corna
Se la versione per PlayStation 2 finì ben presto sotto silenzio, Rune ebbe un’inaspettata fortuna su PC. Il primo fattore fu il multiplayer frenetico e piacevolmente chiassoso, in cui i giocatori si affrontavano all’arma bianca in arene chiuse. Anche in funzione di questo gli Human Head pubblicarono un’espansione (Halls of Valhalla) interamente dedicata al multigiocatore, con nuovi personaggi e funzioni. Fu l’unica vera espansione che Rune ebbe, dato che il finale del single player non lasciava adito a ulteriori sviluppi della trama. Anche su console venne sperimentata una modalità uno contro uno (simil-picchiaduro) che coinvolgeva l’ormai vetusto multi-tap fino a quattro giocatori.
Altra mossa notevole da parte degli Human Head fu il RuneEd: altro non era che un tool che permetteva di cambiare il gioco a piacimento, cosa che portò il popolo del PC a realizzarvi anche qualche conversione totale o anche delle modalità multigiocatore estemporanee come il “cattura la torcia”. Ciò ha portato la vita di Rune a prolungarsi ben oltre l’auspicato, e negli anni successivi venne anche allegato come gioco completo alle riviste videoludiche che trattavano di PC. Ciò rappresentò per gli Human Head l’incoraggiamento a rendere pubblico il codice sorgente del gioco nel 2004. Infine nel 2012 l’avventura di Ragnar è stata ripubblicata su Steam come Rune: Classic, e nel 2018 sono iniziate a circolare prima indiscrezioni e poi un early access sul sequel open-world prima chiamato Rune: Ragnarok e poi semplicemente Rune.
Potremmo definire Rune: Viking Warlord come l’ospite che non ti aspetti. Il pargolo degli Human Head non raggiungeva l’eccellenza in nessuna delle sue componenti, ma ha avuto l’intelligenza (e anche un po’ la fortuna) di uscire nell’epoca giusta al momento giusto. La grande passione nel portare grezzamente in vita la mitologia nordica si sposava a un codice malleabile e a un multigiocatore per i tempi divertente nel suo frenetico chiasso. Pure se pieno di limiti (su cui, per bontà, non ci soffermeremo né sulla colonna sonora insipida né sul doppiaggio, altalenante a dir poco) Rune inspiegabilmente ancora soddisfa quella strana ed inspiegabile voglia di avventura che ogni amante del fantasy e della mitologia ha un po’ dentro di sé.