Un tempo ci fu un'esplosione.
Probabilmente, è l'esplosione che ci fu nel 2015 quando, dopo una vita lavorativa che ha dato i natali a un franchise come Metal Gear, Hideo Kojima e Konami arrivarono alla frattura definitiva. È da quella che nacque, a dicembre dello stesso anno, l'indipendente Kojima Productions, che a novembre 2018 diede i natali alla sua prima fatica sotto etichetta Sony Interactive Entertainment: Death Stranding.
Un tempo, ci fu un'esplosione. Uno scoppio che diede origine al tempo e allo spazio.
L'esplosione successiva fu quella del 1 novembre 2018: l'uscita delle recensioni di Death Stranding. In un mondo che si (e ci) chiedeva cosa questo gioco facesse o non facesse, pubblicammo su queste pagine la nostra disamina in cui sottolineammo fin dal titolo che sarebbe stata un'esperienza da bianco o nero: amore oppure odio. O si verrà rapiti dal nuovo universo creato da Kojima, o si rimarrà impantanati nelle sue meccaniche ludiche incentrate sulla collaborazione asincrona e, soprattutto, sull'itinerante solitudine.
Un tempo, ci fu un'esplosione. Uno scoppio che portò un pianeta a ruotare in quello spazio.
Nonostante fosse un videogioco che parlava del bisogno di unire le forze – anche non vedendosi, non importa – per qualcosa di più grande dell'individuale, Death Stranding finì esattamente nella polarizzazione che vi preannunciammo in sede di recensione. Lo fece dimostrando in modo disarmante la necessità della sua stessa esistenza, dividendo il panorama degli appassionati in fronti inconciliabili di sostenitori del gioco, posti di fronte ad altrettanto inconciliabili detrattori – nessuno dei quali interessato davvero ad ascoltare l'altrui visione, solo a rimarcare la propria.
C'era un punto, uno solo, comune a probabilmente entrambi i poli: il contesto narrativo di Death Stranding affascinava tutti. La decostruzione del nostro mondo fatta da Hideo Kojima, che lo ricomponeva in una distopia post-apocalittica che vista nell'epoca post-COVID ha del profetico, non passava inosservata, né agli uni né agli altri. E furono tantissimi anche gli esponenti di altri media, come il cinema o l'animazione – tra cui JJ Abrams (Lost, Star Wars), George Miller (Mad Max) e Mamoru Oshii (Ghost in the Shell) – a dirsi intrigati da quell'America che non trova più l'America di Death Stranding.
Un tempo ci fu un'esplosione. Uno scoppio che generò la vita così come la conosciamo.
Kojima è sempre stato innamorato della rimediazione: di recente vi abbiamo parlato del suo Il gene del talento e i miei adorabili meme, una raccolta di saggi dove cita le opere più influenti per i suoi processi creativi, e questo è valso anche per i linguaggi utilizzati all'interno delle sue opere mediali. C'è da attingere dal cinema e dalla lingua delle motion picture? Non c'è problema. C'è da strutturare dei testi sulla scia dei romanzi? Si fa. Il formato fumetto sarà più efficace per comunicare i dialoghi, al posto delle tradizionali cut-scene? Allora lo facciamo.
A tenere incollato tutto, come si confà ai videogiochi, è ovviamente il gameplay. Che, nel caso di Death Stranding, è stato proprio l'elemento di divisione, per un titolo che ha un'anima estremamente di nicchia e molto più vicina a una simulazione gestione che a un action adventure di massa. Cosa succede, allora, se togli l'elemento di divisione e tieni l'universo di Death Stranding, i suoi arcobaleni capovolti, le sue intersezioni tra vivi che si comportano come se fossero morti da un pezzo e morti che gattonano anelando disperatamente di tornare tra i vivi? Succede, probabilmente, il romanzo di Death Stranding.
E poi... arrivò un'altra esplosione.
Mi hanno detto che ti chiami Sam Porter...
Precisiamo: questa recensione non contiene spoiler. Non faremo anticipazioni né dai contenuti del gioco né, tantomeno, da quelli dei romanzi. Per coloro che, tuttavia, fossero finiti su SpazioGames senza avere idea della premessa narrativa di Death Stranding, sappiate che seguirete il viaggio di Sam Porter Bridges.
L'uomo è nato in un mondo in cui il confine tra i vivi e i morti non esiste più: la vita, rappresentata dalla terraferma, e la morte – che è invece nell'abisso acquatico – si incontrano sulla Spiaggia, una dimensione sospesa dove alcune anime che sperano di tornare alla vita o, semplicemente, non sono ancora libere di riposare per l'eternità, finiscono bloccate. Si tratta delle Creature Arenate (CA), che nelle loro scorribande nel mondo dei vivi possono creare dei disastri.
Quando una CA riesce a entrare in contatto con un vivo e a trascinarlo alla spiaggia, infatti, l'incontro tra materia e anti-materia genera un'esplosione e un annichilimento di violenza tale da cancellare intere città. In un mondo simile, Sam è un corriere: gli uomini vivono in città isolate le une dalle altre e sono pochi coloro che hanno il coraggio di avventurarsi dall'una all'altra per rifornire gli altri dei beni di cui necessitano per sopravvivere. E non è tutto, perché Sam è un riemerso: quando viene attaccato e risucchiato dalle CA, un essere umano muore nell'esplosione. Sam torna. Sempre. E nessuno sa dire perché.
Nella vita di Porter Bridges, però, compare qualcosa di più: nonostante non sia di suo interesse, viene chiamato a realizzare il sogno di ricostruire l'America, ora un insieme di città-stato individualiste e attente solo a se stesse. Come può Samuel, un uomo che si è accontentato della sua solitudine, riunire i vivi sotto un'unica bandiera e incoraggiarli a guardare tutti nella stessa direzione, quando è egli stesso frammentato da un milione di divisioni interiori?
Il cofanetto di Death Stranding
Partiamo dall'analisi dei libri che abbiamo ricevuto da J-Pop per questa recensione. Usciti nel 2019 in giapponese e diversi mesi fa in inglese per conto di Titan Books, i due volumi sono delle brossure a filo refe estremamente fedeli allo stile delle altre stampe dell'editore e alla controparte in lingua madre. Abbiamo pagine bianche e luminose, un'impaginazione estremamente gradevole con font serif e grande attenzione per tutti i dettagli – con tanto di pagine nere a contrasto, per presentare personaggi, parole chiave e volume.
Considerando che siamo anche in possesso dell'edizione di Titan Books, siamo rimasti colpiti dalla superiorità dell'edizione italiana: se quella statunitense si accontenta di una brossura fresata con una copertina cartonata, in questo caso abbiamo la copertina cartonata flessibile in carta lucida con una sovraccoperta plastificata e opaca (rimovibile) su entrambi i volumi, con anche le alette. Il risultato è straordinariamente più bello, ponendo i volumi fianco a fianco, in favore dell'edizione firmata da J-Pop, molto più bella a vedersi e "toccarsi" (se anche voi amate l'oggetto-libro come la sottoscritta sapete cosa intendiamo) della controparte anglofona.
A coronare il tutto e fare la gioia dei collezionisti è il fatto che i due volumi che compongono il romanzo arrivino in un cofanetto slipcase di cartone rigido che riprende lo splendido artwork di copertina di Pablo Uchida e che vi permette di tenerli insieme, chirali metà di un unico tutto, senza rischiare che si stropiccino o che ne smarriate uno.
... ma tu sei Sam Bridges
La scelta operata da Kojima Productions per l'adattamento a romanzo del suo Death Stranding è molto interessante: se per Metal Gear Solid si era partiti con le novelization di Raymond Benson, lontanissime dai giochi originali e dimenticabili a voler usare un eufemismo, in Metal Gear Solid 4 l'adattamento venne curato dal talentuoso e rimpianto Project Itoh, scrittore giapponese e amico di Kojima che dimostrò di conoscere perfettamente la materia di origine e curò un vero epilogo onnicomprensivo dell'epopea di Solid Snake.
Ed è proprio a quel romanzo che Death Stranding somiglia tanto, con un plus: questa volta, a scrivere l'adattamento è stato nientemeno che Hitori Nojima, nome d'arte di Kenji Yano e già autore dei romanzi di Metal Gear Solid: Peace Walker e Metal Gear Solid V: The Phantom Pain. Se il suo nome non vi suona nuovo, è perché è anche il co-scrittore della sceneggiatura di Death Stranding come videogioco.
Questo significa, in sintesi, che il romanzo di Death Stranding è scritto da chi ha scritto, con Kojima e Shuyo Murata, anche il gioco stesso. E questo mette un freno a qualsiasi interpretazione distorsiva come quelle che vedemmo da parte di Benson per Metal Gear Solid.
Lo stile della scrittura è scorrevole, la localizzazione curata da Davide Campari puntuale e con tanto di diverse note a pie' di pagina che approfondiscono alcuni dei giochi di parole che sono al centro dell'universo di Death Stranding – come bridges, "ponti", stranded, "spiaggiato" ma anche "legato", e via dicendo.
Il romanzo mantiene la stessa suddivisione in episodi vista all'interno del gioco, con poche eccezioni che non vi spoileriamo. La più grande differenza rispetto al gioco è, però, il fatto che si prenda la libertà di approfondire personaggi che nel videogame rimangono per forza di cose marginali: quando Sam è impegnato nei suoi itinerari, ossia quando il romanzo tratta la parte interattiva del gioco, ecco che cambia prospettiva e, anziché raccontare dal punto di vista del protagonista, ci svela i retroscena di co-protagonisti e prepper.
Scoprirete di più sul legame di Igor e Victor, ad esempio, ma anche su Målingen e Lockne, perfino sull'Anziano in cima alle montagne nei pressi di Lake Knot City: il romanzo di Death Stranding parla soprattutto a chi conosce già l'universo del gioco e vuole vedere al suo interno nuove sfumature, sfaccettature, parole usate per spiegare simbolismi che nell'opera interattiva erano lasciate alla pura interpretazione, tra cordoni e vite sospese.
Il risultato è un romanzo scorrevole ma che ha su di sé l'onere di dover introdurre alla stravagante lore del mondo post Death Stranding senza poter contare sul devastante impatto delle immagini. Nojima riesce nel suo intento ma riteniamo che potrebbe essere complicato, per chi si avvicinasse a questo universo passando prima per il romanzo, riuscire a seguire il filo tra creature arenate, dispositivi chirali e bridge baby.
Per riuscire al meglio in questo scopo – e affermarsi come una prospettiva diversa su una storia che in questo modo ha perso la forza delle immagini manifeste, quella della musica (usata straordinariamente nel gioco) e soprattutto quella dell'interazione – Nojima mette nero su bianco tantissimi pensieri di Sam e non solo, descrivendo a parole le emozioni, i dubbi e le perplessità dei diversi personaggi e permettendo di cogliere così i loro stati d'animo e le loro evoluzioni.
Si tratta di una scelta stilistica che rende la lettura facilmente fruibile, da questo punto di vista, ma che contrariamente a quanto invece fa il gioco apparecchia abbastanza la tavola dell'interpretazione, in qualche modo depotenziando la forza dei muti gesti.
Per fare un esempio indicativo dello stile scelto da Nojima, se nel gioco il legame che si sta formando tra Sam e il BB si può notare da gesti privi di vocalità, come il fatto che il corriere quando si fermi a riposare si addormenti abbracciando il pod del piccolo, nel libro ci viene detto più volte attraverso i pensieri di Sam che questi si senta legato al bambino e voglia tenerlo con sé.
In conclusione
Il romanzo ufficiale di Death Stranding è un'opera piena di sfaccettature, come il gioco che omaggia: ricalca fedelmente gli eventi del videogame ma si prende l'interessante licenza di mutare qua e là le prospettive, raccontando un contesto narrativo complesso, affascinante, che ha anche alcune tinte horror nel venire ritratto da Nojima ponendo l'accento su odori e sintomi fisici che il contatto continuo con i morti spiaggiati genera nei vivi.
Il risultato è un libro che si fa leggere piacevolmente, che riprende i pregi della narrazione di Death Stranding ma che, per forza di cose, perde un elemento fondamentale che rende questa storia estremamente più personale: l'interazione. Leggere l'adattamento del più recente gioco di Hideo Kojima si rivela così sia una conferma della cura messa dal team di autori giapponesi nella creazione di questo universo, sia una del fatto che il videogioco possa valicare confini narrativi, grazie all'interazione, che risultano più spigolosi se vissuti attraverso altri mezzi di comunicazione.
Il messaggio di disarmante attualità e di cui abbiamo viscerale bisogno, però, rimane lo stesso – e quello di Death Stranding è sicuramente uno dei romanzi più fedeli alla controparte videoludica su cui abbiamo messo mano. E, considerando il livello dell'opera di partenza di questa controparte, oltre alla grande cura riposta da J-Pop in questa localizzazione, il risultato non poteva che essere positivo e proporre una lettura raccomandata soprattutto a chi ha già vissuto il gioco.
Se, invece, non avete ancora messo sulle spalle lo zaino di Sam Porter Bridges, zavorrato da una vita di aspettative disattese e dal peso di un'umanità che si è dimenticata di essere umana, armatevi di controller e partite. Quando arriverete all'epilogo, ad aspettarvi, per dare qualche pennellata in più alla lezione che porterete con voi nel mondo reale, ci sarà anche questo bel romanzo.
Dettagli bibliografici
- Titolo: Death Stranding
- Autore: Hitori Nojima, traduzione di Davide Campari
- Uscita: 30 giugno 2021
- Editore: J-Pop
- Pagine: 612
- Formato: copertina flessibile
- ISBN-13: 978-8834915448
Se volete portare a casa un volume che vi porti dietro alle influenze che hanno portato Hideo Kojima a creare i suoi videogiochi, date un'occhiata a Il gene del talento, edito 451.