Retrospettiva Metal Gear - Ultimo episodio: Il Dolore Fantasma
Il momento di raccontarvi Metal Gear Solid V è finalmente giunto: ecco l'ultimo episodio della retrospettiva di Metal Gear
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a cura di Stefania Sperandio
Editor-in-chief
Sindrome dell’arto fantasma. La scienza chiama così quel disturbo per il quale, dopo aver subito l’amputazione di un arto, si continua ad avvertirne la presenza, le sensazioni, soprattutto il dolore. Il cosiddetto dolore fantasma in qualche modo perseguita chi ha subito la perdita e questo ci dice, in maniera cristallina, che dell’intera epopea della saga, Metal Gear Solid V è, senza timore di smentita, quello che porta con sé il titolo più calzante e più straordinariamente dolceamaro di tutti.
La parentesi del ritorno di Raiden
Dopo l’avvento di Metal Gear Solid: Peace Walker, Hideo Kojima non si risparmiò: per lui, il viaggio di Big Boss e dei suoi MSF era a tutti gli effetti da considerarsi come un Metal Gear Solid 5. Dopo che il gioco venne accolto positivamente da pubblico e critica, la serie tentò l’esperimento con uno spin-off, annunciato come Metal Gear Solid: Rising. Affidati al team di Kojima, i lavori non andarono esattamente come previsto e il gioco venne in parte reinventato e affidato a Platinum Games.
Arrivò così, nel 2013, Metal Gear Rising: Revengeance, action game ambientato in seguito agli eventi di Metal Gear Solid 4 e che consentiva al giocatore di seguire le vicende di Raiden, tornato nei suoi panni di cyborg ninja. In questa sede, non ci dedicheremo a sviscerare gli eventi di Rising, poiché Kojima non lo ha eletto episodio canonico e i suoi avvenimenti non fanno quindi parte della timeline ufficiale della serie, come già accaduto in precedenza a Metal Gear Solid: Portable Ops.
Metal Gear Solid V iniziò con il sorriso
In quegli anni, Kojima Productions era assorbita dai lavori su FOX Engine, il suo nuovo engine che avrebbe mosso i futuri videogiochi firmati da Konami. Nel frattempo, agli Spike Video Games Award 2012 venne annunciato il misterioso videogioco Phantom Pain, firmato dalla sconosciuta svedese Moby Dick Studios, a sua volta guidata dall’ancora più misterioso Joakim Mogren.
La somiglianza tra il protagonista di Phantom Pain e uno qualsiasi degli Snake della saga Metal Gear portò fin da subito in evidenza il sospetto che potesse, in realtà, trattarsi solo dell’ennesima, proverbiale, trollata di Hideo Kojima. Inoltre, Joakim era proprio anagramma di Kojima, mentre Mogren includeva la parola Ogre, che faceva parte del working title del nuovo progetto del game designer, fino ad allora conosciuto come Project Ogre.
L’arrivo di Ground Zeroes
Fu solo alla GDC 2013, che emerse finalmente la verità: il gioco mostrato era Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, episodio finale della saga di Kojima Productions e primo sviluppato proprio con FOX Engine. Dal nuovo motore grafico, nacque lo slogan da FOX nacquero due Fantasmi, che con il senno di poi nascondeva molta più verità, sul gioco, di quanto si potesse anche solo immaginare.
I lavori su The Phantom Pain, che sarebbe stato il primo Metal Gear open world, procedevano nei loro tempi e, considerando quanto questi ultimi fossero estesi, Kojima Productions e Konami decisero di dare pubblicazione al primo fantasma di FOX: Metal Gear Solid V: Ground Zeroes.
Pubblicato nel 2014 sulla vecchia generazione e sull’attuale, Ground Zeroes ci metteva nei panni di Big Boss, chiamato a una missione presso un campo di prigionia conosciuto come Camp Omega, a poco tempo di distanza dai fatti di Peace Walker. Il gioco venne però accolto in modo abbastanza controverso da pubblico e critica: sebbene consentisse di assaggiare la straordinaria rivoluzione apportata al gameplay della saga, ora più aperto, più generoso negli scenari, lontano dalla linearità e che includeva addirittura la possibilità di guidare dei veicoli, Ground Zeroes venne etichettato come una vera e propria demo a pagamento. Al suo interno, includeva una missione di storia che, nella prima run assoluta, si poteva completare più o meno in un’ora e mezza, oltre ad altri cinque incarichi extra, tutti ambientati presso lo scenario di Camp Omega.
L’assaggio era gradito e aveva un buon sapore, ma immaginate se ai tempi di Metal Gear Solid 2 avessimo dovuto comprare separatamente il Tanker e il Plant. O se a quelli di Metal Gear Solid 3, la Missione Virtuosa fosse uscita un anno prima del gioco che proponeva la Missione Snake Eater.
Finalmente, The Phantom Pain
I giocatori dovettero aspettare fino al 1 settembre 2015 per mettere finalmente le mani su The Phantom Pain, che manteneva le promesse fatte da Kojima: ai tempi di Ground Zeroes, il game designer ci tenne a precisare che quanto visto a Camp Omega fosse solo una minima parte di quanto offerto dal suo gioco in lavorazione, sia nelle meccaniche che negli scenari.
Ambientato nel 1984, il gioco era il seguito diretto di quanto visto nel prologo precedente e, secondo gli annunci, avrebbe finalmente messo in scena la definitiva caduta di Big Boss. Quello che fu l’eroe di Tselinoyarsk, il Vic Boss di Peace Walker, avrebbe chiuso il suo ciclo ad anello, divenendo l’uomo che affrontò Solid Snake ad Outer Heaven nell’originale Metal Gear.
Quel 1 settembre, al primo lancio di The Phantom Pain, i cuori di milioni di fan battevano più forte che mai. Metal Gear Solid era giunto al suo epilogo e il nuovo viaggio fianco a fianco con il leggendario Big Boss era pronto ad essere vissuto. Se, però, c’è una cosa che dal 1987 al 2015 abbiamo imparato, tra un episodio e l’altro, è che difficilmente ci sono delle cose da dare per scontate. Ground Zeroes e The Phantom Pain non solo non fecero eccezione, ma anzi divennero a loro volta la maggior prova mai esistita di questo concetto. L’anello di giunzione con il primo Metal Gear? Kojima aveva detto sì, lo avremo. E lo abbiamo avuto. Sempre, solo e rigorosamente a modo suo.
Mi chiamo Metal Gear Solid e non sono come mi ricordavi
Prendiamo ora ordinatamente in analisi le vicende di Metal Gear Solid V nelle sue due anime, quella di Ground Zeroes e di The Phantom Pain, prima di passare ad ulteriori considerazioni che, purtroppo, esulano dell’universo narrativo del gioco e che non possono scindersi dall’analisi relativa all’episodio finale dell’epopea dei Serpenti.
Il fantasma di FOX: XOF
Dopo gli eventi che hanno scosso i fatti di Peace Walker, Cipher è a sua volta divisa in due anime. Più debole che mai, il gruppo di Zero sta vedendo crescere al suo interno il germe del suo vice comandante, un uomo conosciuto come Skull Face. Alto ufficiale del corpo, quest’ultimo è a capo del distaccamento XOF, che si è sempre occupato dei “lavori sporchi” ai tempi di FOX. Addirittura, il gruppo ha seguito da vicino l’operazione Snake Eater di Naked Snake, per assicurarsi che gli obiettivi della missione arrivassero a compimento senza intoppi.
Ora, però, a Skull Face il lavoro va stretto: l’ufficiale non sposa i piani di dominio totale attuati da Zero e ha deciso di rovesciarlo. Il cammino è chiaro: per riuscirci, deve eliminare il maggiore, ma deve anche eliminare gli MSF e la loro icona, l’eroe creato proprio da Zero: Big Boss. Così Skull Face vuole prendersi la sua liberazione. Così, l’uomo pensa di avere finalmente la sua rivalsa. Per la prima volta, sentiamo parlare del tema chiave alla base di Metal Gear Solid V: la vendetta.
L’ispezione dell’AIEA
Big Boss ha respinto l’attacco di Paz, che si era impadronita del Metal Gear ZEKE e aveva tentato di ucciderlo per essersi rifiutato di piegarsi a Cipher, di tornare sotto gli ordini di Zero. Nella Mother Base, però, non è ancora il momento di restare sereni: le truppe MSF ricevono infatti comunicazione che la AIEA sarebbe intenzionata ad ispezionare la base, poiché avrebbe appreso che essa custodisce delle armi nucleari.
Big Boss e Kaz si rendono conto che non è un’ipotesi percorribile: in primo luogo, perché le troverebbero. In secondo luogo, perché gli MSF non sono una nazione e sono al di fuori della giurisdizione delle Nazioni Unite. Quando, tuttavia, i due ufficiali sono sempre più intenzionati a negare il consenso per l’ispezione, apprendono invece che il dottor Huey Emmerich, ha invece già inviato la risposta positiva. Secondo l’uomo di scienza, infatti, potrebbe essere un’ottima occasione per togliersi di dosso gli occhi sospettosi di molti ostili, che si sentirebbero tranquillizzati dall’intervento dell’ONU. Questo, ovviamente, a patto che le armi nucleari in mano agli MSF non vengano rinvenute.
Big Boss può solo accettare la scelta oramai già compiuta dal suo sottoposto e ordina alle sue truppe di far sparire il Metal Gear ZEKE e tutte le testate in possesso del suo esercito, nascondendoli sotto il mare che circonda la Mother Base.
In quello stesso periodo, gli MSF apprendono che Pacifica Ocean, vero nome di Paz, è sopravvissuta al brutale scontro a bordo dello ZEKE, che l’aveva vista precipitare in mare. Viene quindi tenuta prigioniera da Cipher presso Camp Omega, un campo presso Cuba. Invaghito di lei, il giovanissimo Chico parte di nascosto per salvarla, ma viene a sua volta fatto prigioniero.
A questo punto, la decisione di Big Boss è nuovamente obbligata: l’uomo decide di recarsi in prima persona a Camp Omega, per salvare Chico e recuperare anche Paz. Entrambi i giovani, infatti, sono in possesso di informazioni che, se rivelate, potrebbero compromettere gravemente la sicurezza degli MSF.
Nel frattempo, però, l’irreparabile è già accaduto: Skull Face ha torturato instancabilmente Paz, senza però riuscire a piegarla. Conscio dei sentimenti di Chico per la ragazza, l’ha prima stuprata e ha poi costretto il ragazzo a fare lo stesso, facendolo crollare. Il giovane Chico, a sua volta torturato e reso incapace di camminare dalle sevizie, invia contro la sua volontà una richiesta d’aiuto a Big Boss. L’eroe non può abbandonarlo e la accoglie: Skull Face non fa altro che mettersi comodo ad aspettare il suo arrivo.
L’inferno di Camp Omega
16 marzo 1975: è questa la data in cui Big Boss, in solitaria e assistito via radio da Kaz, che è rimasto alla Mother Base, raggiunge Camp Omega. La notte è tetra e piovosa, mentre il leggendario eroe di guerra penetra nel campo di prigionia scoprendo detenuti tenuti in condizioni inumane e annoiati Marines di guardia che li sorvegliano.
Nello stesso identico momento, con il suo leader lontano dalla Mother Base, gli MSF ricevono la visita d’ispezione della presunta AIEA. Tutto, a quanto pare, sta però andando per il verso giusto, come assicura Huey al suo comandante.
Big Boss riesce a trovare Chico all’interno di una gabbia e a portarlo in salvo. Sotto shock, il giovane riesce a blaterare qualcosa su quanto è stato fatto a Paz e consegna al Serpente un nastro che gli consente di localizzarla. L’uomo riesce a trarre in salvo anche la ragazza che, sfigurata dalle torture, continua a implorarlo di non salvarla e lasciarla morire. Big Boss, però, riesce con successo a portare con sé sia Chico che Paz, quando l’elicottero degli MSF che lo accompagnava si solleva da Camp Omega per lasciarsi per sempre alle spalle il terrificante campo di prigionia.
Mentre siede nell’abitacolo dell’elicottero, Chico nota degli inquietanti tagli sul ventre di Paz, stesa su un lettino e stremata. Big Boss e il medico degli MSF intervengono, temendo una trappola che si rivela tale: all’interno del corpo di Paz, tra le sue viscere, trovano infatti una carica esplosiva. La ragazza è stata usata come cavallo di Troia da Skull Face, che ha tentato di utilizzarla per far saltare in aria Big Boss. Infastidito per la sua ingenuità, l’eroe getta l’ordigno dall’elicottero, quando finalmente l’elicottero giunge alla Mother Base.
La devastazione degli MSF
Lo spettacolo è raccapricciante: quella stessa base madre che noi giocatori avevamo costruito con centinaia di ore di gioco, in Peace Walker, è devastata. Le sue piattaforme sono teatro di battaglie e sparatorie, le strutture sono in fiamme, i cadaveri degli MSF si impilano uno sull’altro. L’ispezione dell’AEIA si è rivelata essere una copertura di XOF per attaccare le truppe di Big Boss e spazzarle via.
Presi di sorpresa e devastati, gli MSF possono solo crollare. Dopo aver provato a rispondere al fuoco, Big Boss può solo portare con sé il vice comandante Kazuhira Miller, ordinando poi al suo pilota sull’elicottero di decollare. Sotto i suoi occhi, la Mother Base si accascia su se stessa.
Kaz è una furia. Sicuro della complicità di Paz nell’attacco alla Mother Base, l’uomo attacca la ragazza, che riprende finalmente conoscenza. Nel panico, la giovane avvisa Big Boss di avere una bomba all’interno del suo corpo, quando apre il portellone dell’elicottero. L’uomo la rassicura, dicendole che è già stata rimossa, ma Paz scuote inquietantemente il capo. In un sussurro, la ragazza rivela di averne una seconda, che le è stata impiantata nella vagina. Scegliendo di salvare Big Boss, Paz si lascia cadere dall’elicottero, ma è troppo tardi: l’esplosione è devastante e fa perdere il controllo del mezzo al pilota. Il medico degli MSF, nel tentativo di salvare il suo comandante, si frappone tra Big Boss e l’esplosione di Paz.
Frammenti di elicottero ed esseri umani si accartocciano su se stessi, quando il pilota non può più nulla: l’elicottero di Big Boss è fuori controllo e, dopo aver cominciato a ruotare su se stesso, si schianta in volo con un altro.
Gli MSF non esistono più. L’attacco di Skull Face a Big Boss è compiuto. E lo stesso eroe leggendario è ridotto in coma. L’ONU e l’AIEA, quando la notizia diviene pubblica, assicurano di non aver avuto in programma nessuna ispezione per domenica 16 marzo 1975.
Le fiamme sui resti della Mother Base, sono così alte da essere visibili dalla costa.
Vivere in simbiosi, vivere in nemesi
Nel frattempo, la vita dell’universo intero continua: un navajo conosciuto come Code Talker ha deciso di dedicarsi agli studi scientifici per avere la sua rivalsa contro coloro che hanno scacciato il popolo diné, privandolo delle sue terre. Arriva così a lavorare a dei letali parassiti delle corde vocali, che sono in grado di attivarsi al riconoscimento di una predefinita lingua, infettare l’ospite, riprodursi all’interno del suo corpo e infine ucciderlo.
Le sue ricerche, però, proseguono a doppio binario: quando i navajo riescono a tornare nelle loro terre natie, scoprono che sono ormai contaminate dall’uranio. Lavora quindi a degli archeobatteri, o archea metallici, che possano consentire al suo popolo di sopravvivere all’uranio. La differenza tra i suoi due campi di studio è notevole: un’arma che distrugge l’ospite per compiere la vendetta dei navajo; un’arma che convive con il corpo dell’ospite per salvarlo da un rischio esterno.
Lo studio dei parassiti delle corde vocali è arrivato fino alle orecchie di Cipher e questi parassiti sono anche gli stessi che consentivano a The End e agli altri membri della Cobra Unit di avere le loro capacità soprannaturali. In ogni caso, la dottoressa Clark ha approfondito gli studi di Code Talker, poiché Zero intendeva attaccare tutte le lingue all’infuori dell’inglese: in questo modo, la lingua parlata da Cipher sarebbe rimasta l’unica consentita e questo avrebbe accresciuto il dominio e il controllo del gruppo di Zero.
Ora che Skull Face si è occupato di Big Boss, è intenzionato a risolvere il problema Major Zero: obbliga quindi Code Talker a proseguire i lavori sui parassiti delle corde vocali, in modo che possano finalmente essere utilizzati attivamente come un’arma.
From Zero to nothing
Skull Face decide di passare all’azione: prima di essere uccisa dagli ordigni, dopo essere stata torturata, Paz ha rivelato che Zero si nasconde in un appartamento a Hell’s Kitchen, a New York. Conscio dell’impossibilità di raggiungerlo, il comandante di XOF invia in dono a Zero una spilla, cimelio che ricorda i tempi passati ai SAS e l’eroina The Boss. Dopo un diverbio telefonico tra i due, proprio Zero si punge accidentalmente con la spilla, infettandosi con i parassiti. Conscio che gli rimanga poco da vivere con coscienza, perché presto perderà ogni capacità cognitiva, Skull Face può esultare: dopo Big Boss, anche Zero sta per cadere.
Il sistema messo in piedi da Cipher è l’unica reale preoccupazione di Zero: per questo, chiede alla dottoressa Strangelove, luminare nel campo delle intelligente artificiali, di sviluppare un sistema che consenta al controllo attuato da Cipher e ai suoi ideali di sopravvivere anche a Zero stesso. Nasce così un sistemi di quattro intelligenze artificiali, GW, AL, TJ e TR, tenute insieme dall’unità centrale JD. Cipher diventa i Patriots.
Forse per affetto, forse per dare un pericoloso nemico ai Patriots e così rendere manifesta la necessità della loro esistenza, Zero decide anche di prendersi a cuore il salvataggio di Big Boss. Dall’incidente post-Camp Omega, l’eroe di mille battaglie è sprofondato in coma e il maggiore sa che, prima o poi, Skull Face scoprirà dove riposa e verrà a prendersi la sua vita.
Nel 1977, per l’ultima volta, Major Zero va a fare visita a Big Boss. Saluta il vecchio amico, pronto in qualche modo a proteggerlo.
Nel frattempo, nel 1980 il dottor Huey Emmerich e la dottoressa Strangelove lavorano insieme a un prototipo di arma bipede conosciuto come Sahelanthropus. Dal rapporto tra i due, proprio nello stesso anno, nascerà il piccolo Hal Emmerich.
V Has Come To
Big Boss apre finalmente gli occhi l’11 marzo 1984. Il coma è finito e, con orrore, l’uomo scopre non solo che alcuni detriti dell’esplosione sono irrimediabilmente nel suo corpo — tra cui anche una sorta di corno metallico che potrebbe causargli allucinazioni — ma anche di aver perso l’avambraccio sinistro.
Mentre l’uomo sta ancora tentando di metabolizzare la sua perdita, di assorbire il dolore fantasma che lo attanaglia, l’ospedale viene preso d’assalto: truppe di XOF inviate da Skull Face hanno appreso del risveglio di Big Boss e hanno deciso di finire il lavoro rimasto in sospeso nove anni prima.
Aiutato da un misterioso uomo il cui viso è celato da bende, che si fa chiamare Ishmael, Big Boss sopravvive all’attacco di una donna sicario che lo aveva sorpreso nel letto, che viene data alle fiamme proprio da Ishmael. Insieme all’uomo, riesce a stento a tenersi in piedi per fuggire, mentre l’ospedale viene preso d’assalto da due inquietanti figure: la prima, Tretij Rebenok, il Terzo Ragazzo, è un giovane russo dotato di poteri psichici, capace di entrare in sintonia con le emozioni degli altri. Proprio grazie ai suoi poteri, è seguito dal temibile Uomo di fuoco, che si rivela essere quello che rimane del colonnello Yvegeniy Borisovitch Volgin: saputa la posizione di Big Boss, il devastato colonnello è pronto a prendersi, tanto per cambiare, la sua vendetta, accompagnato dal Terzo Ragazzo.
L’ospedale è pura devastazione: lo staff medico e infermieristico viene ucciso e, quando Ishmael e Big Boss guadagnano l’uscita, l’ambulanza sulla quale fuggivano ha un grave incidente. Quando Big Boss riapre gli occhi, Ishmael è scomparso, ma a venirgli in soccorso è nientemeno che Ocelot. Dopo aver ribattezzato l’uomo Venom Snake, il pistolero accompagna il ritrovato Big Boss su una nave che lo condurrà in una nave, dove il grande eroe potrà riprendere in mano la sua vita e, soprattutto, vendicare la memoria degli MSF uccisi. Skull Face, per l’ennesima volta, non è riuscito ad ucciderlo: Venom Snake si promette che non avrà ulteriori occasioni per farlo.
We are Diamond Dogs
Negli anni di coma di Big Boss, Kazuhira Miller ha dato i natali ad un nuovo esercito privato, che ha una Mother Base al largo delle Seychelles: sono i Diamond Dogs. La prima missione del redivivo Big Boss è proprio quella di recarsi in Afghanistan per recuperare il suo vice comandante, mutilato e fatto prigioniero durante un’operazione.
Privato di un braccio e di una gamba, Kaz non ha più niente dell’uomo chiacchierone e vitale dei tempi degli MSF: consumato dall’avidità e dalla vendetta, il vice comandante vuole semplicemente versare il sangue di chi ha attaccato gli MSF.
Skull Face, però, non impiega molto a scoprire che Big Boss sta operando in Afghanistan: ben presto, mentre inizia a compiere degli incarichi per conto dei clienti dei Diamond Dogs, Venom Snake viene attaccato da una misteriosa e taciturna donna cecchino, contro la quale vince lo scontro.
Sebbene Kazuhira sia contrario, mentre l’ufficiale Ocelot è favorevole, Venom decide di portare la donna con sé alla Mother Base anziché di ucciderla. La sua decisione, però, scatena ire ed insubordinazioni, quando è lo stesso eroe leggendario a promettere che Quiet non darà problemi e che, in caso contrario, sarà lui stesso a risolvere il problema, eliminandola. La donna viene quindi rinchiusa in una cella della base, con le sue capacità uniche che iniziano ad attirare le attenzioni degli alti ufficiali dei Diamond Dogs.
Il ritorno di Huey Emmerich
Tra un’operazione e l’altra, i Diamond Dogs ricevono un messaggio d’aiuto inviato da uno scienziato che chiede di essere liberato e si trova proprio in Afghanistan. Venom, Kaz e i loro comprendono che si tratta probabilmente di Huey Emmerich e l’occasione è troppo ghiotta per non raggiungerlo e regolare definitivamente i conti per quanto accaduto dopo la finta ispezione dell’AIEA, autorizzata proprio dallo scienziato.
Venom Snake raggiunge l’uomo e scopre che è costretto a lavorare per Skull Face, ma sta cercando di liberarsi. Quando fa per estrarlo e portarlo alla Mother Base, con orrore però l’uomo vede il letale Metal Gear Sahelanthropus braccarlo, guidato dai poteri del Terzo Ragazzo. Con fatica, Venom riesce a nascondersi e far perdere le sue tracce, portando finalmente Huey alla Mother Base con sé.
L’accoglienza, per l’uomo, non è delle migliori: Ocelot, in pieno stile del suo soprannome di Shalashaska, lo tortura fino a piegarlo, quando l’uomo di scienza ammette di aver autorizzato consapevolmente la falsa ispezione della AIEA. A suo dire, gli MSF accettando di avere un deterrente nucleare sono diventati realmente pericolosi e, in cambio della possibilità di poter continuare le sue ricerche e della sua sopravvivenza, Huey ha letteralmente deciso di farli spazzare via, per cancellare il pericolo da loro rappresentato.
Huey si guadagna la sopravvivenza rivelando un’informazione fondamentale: Skull Face sta lavorando in Africa a una nuova rivoluzionaria arma, più letale anche del Sahelanthropus che ha appena braccato Venom Snake. La prossima tappa dei Diamond Dogs è già decisa. Da cacciati, gli uomini di Venom Snake sono ora i cacciatori: la vendetta contro Skull Face si prepara al suo prossimo passo.
Gli orrori dell’Africa
Mentre cerca di scoprire i segreti di Skull Face, Venom Snake vede venirgli affidato un contratto che chiede di uccidere alcuni bersagli. Quando si reca sul posto, scopre però che i bersagli sono invece bambini. Anziché rispettare il contratto, decide di salvarli e portarli sulla Mother Base, ordinando ai Diamond Dogs di insegnargli a leggere e scrivere.
Il suo prossimo incarico è quello di rimettersi in contatto con il capo della banda di ragazzini, che sembra sia tenuto in un inquietante luogo conosciuto come Casa del Diavolo. Purtroppo, il nome non promette bene e la realtà è anche peggiore: all’interno dell’edificio, Venom Snake trova alcuni individui che sembrano aver subito un’infezione, con delle grosse cisti che sembrano uscire dai loro polmoni, dei tagli nella gola con all’interno degli auricolari dai quali vengono emesse parole in alcune lingue.
Inorridito, Big Boss ha poco tempo di ragionarci, quando sul posto incontra proprio Skull Face: su suo ordine, c’è anche l’Uomo di Fuoco, che ha l’ordine di bruciare tutto per far sparire la Casa del Diavolo. A fatica, aiutandosi con delle cisterne d’acqua, Venom riesce ad abbandonare la zona e a salvarsi dai resti del feroce Volgin.
Non c’è stato niente da fare, per il giovane capo della banda dei ragazzi. Nel frattempo, però, ci sono altri giovanissimi con cui avere a che fare: si tratta del gruppo capitanato da un giovane conosciuto come White Mamba, un dodicenne agguerrito e indomito, con il quale Veonm è costretto a scontrarsi e che decide di portare a sua volta alla Mother Base. Il nome del ragazzo, scoprirà, è Eli. Il tentativo di educarlo e istruirlo come fatto con gli altri bimbi, però, si rivelerà complicato per i Diamond Dogs: Eli non accetta imposizioni e sembra, anzi, mosso da un odio indefinibile verso l’uomo che l’ha condotto alla Mother Base.
L’epidemia tra i Diamond Dogs
Mentre Venom Snake completa alcuni contratti in Africa, la Mother Base vive un’emergenza: scoppia un’epidemia. Risulta difficile capire cosa la abbia originata, ma molti dei Diamond Dogs cominciano ad infettarsi. I nostri riescono a scoprire che un ricercatore conosciuto come Code Talker potrebbe aiutarli a risalire alle origini del problema e decidono di raggiungerlo mentre veniva tenuto segregato da Skull Face.
L’uomo rivela loro l’esistenza dei parassiti delle corde vocali che ha sviluppato, spiegando che l’intento di Cipher era quello di usarli per cancellare ogni lingua all’infuori dell’inglese per assodare ulteriormente la sua posizione egemone. XOF, invece, sembra voglia utilizzarlo per lo scopo opposto: infettare tutti gli anglofoni.
Code Talker sta già però lavorando a una cura per farsi perdonare il peccato dei parassiti: sta infatti sviluppando dei Wolbachia che sono in grado di evitare la riproduzione dei parassiti. In questo modo, questi ultimi non possono infettare l’ospite fino al punto di portarlo alla morte. Grazie al suo aiuto, l’epidemia alla Mother Base viene così arrestata, dopo che si era originata in seguito all’arrivo dei bambini africani.
La nuova egemonia nucleare
Il piano relativo all’uso dei parassiti non è il solo a cui Skull Face sta lavorando: Code Talker, ora in salvo presso la Mother Base, rivela infatti di essere stato costretto a sviluppare gli archaea metallici per generare delle potenti e rivoluzionarie armi nucleari, arricchendo l’uranio che importa senza destare sospetti. L’intento del leader di XOF è quello di venderle, conscio anche che potrebbe controllarne il funzionamento a distanza proprio grazie agli archaea. La situazione è molto grave, perché in questo modo Skull Face potrebbe avere in mano l’intero mercato della deterrenza nucleare, rifornendo i blocchi della Guerra Fredda e causando sì una paralisi nella corsa agli armamenti, ma anche una situazione in cui sarebbe lui e solo lui a poter armare o disarmare a piacimento gli schieramenti, grazie all’utilizzo degli archaea.
In questo piano politico, il Metal Gear Sahelanthropus è il manifesto della forza militare delle ricerche condotte da Skull Face, una stella che con il suo brillare attirerà gli acquirenti per le armi atomiche. Skull Face ne sta facendo terminare lo sviluppo ed è già pronto a venderlo alle forze URSS, così da innescare automaticamente la corsa a nuovi armamenti da parte del blocco Occidentale.
Per questo motivo, proprio Sahelanthropus è il primo elemento da eliminare per far crollare il suo piano. Oltretutto, le ruggini con Venom Snake, Kaz e i loro sono ancora vivissime e i Diamond Dogs sono molto più che intenzionati a far saltare in aria i suoi piani. E lui.
Abitare una lingua
Venom Snake parte alla volta del sito conosciuto come OKB Zero, in Afghanistan, dove stanno venendo ultimati i lavori su Sahelanthropus. Mentre si infiltra, però, l’uomo viene sorpreso proprio da Skull Face e in questo modo trasportato al cospetto del Metal Gear. Mentre il tema del gioco, Sins of the Father, giganteggia sulla scena, seguiamo i due uomini seduti faccia a faccia su una jeep, con Skull Face che rivela le sue macchinazioni a un Venom Snake surrealmente muto.
Nato in Ungheria, Skull Face ha vissuto il trauma di vedersi venire privato della sua stessa lingua, quando la sua nazione ha subito le dominazioni della Germania nazista prima e dei sovietici poi. Secondo il comandante di XOF, però, gli esseri umani abitano non una nazione, non un’ideologia: abitano una lingua. Per questo motivo, i parassiti delle corde vocali possono consentirgli di far provare quello a cui è stato costretto il suo popolo. Si tratta dell’ennesima storia di vendetta che si intreccia agli intestini di Metal Gear Solid V, a sua volta popolato da personaggi che sono divorati dai tormenti che li guidano.
La resa dei conti
Nemmeno Skull Face, però, è in grado di prevedere ogni mossa: quando pensa di far giganteggiare il suo Sahelanthropus davanti a Venom Snake, infatti, scopre con orrore che il giovane Eli ha seguito il leader dei Diamond Dogs e che, aiutato dall’immancabile Terzo Ragazzo, si è messo alla guida del Metal Gear.
Inferocito contro Venom Snake, il ragazzo si scaglia contro i presenti e riesce perfino a polverizzare l’Uomo di fuoco. La devastazione circonda OKB Zero, l’utero del progetto di Skull Face, che viene a sua volta ferito e rimane intrappolato sotto le sue macerie. Attaccato dal Metal Gear, Big Boss è costretto a ingaggiare lo scontro e ha una sola opzione: vincerlo.
Quando la battaglia è conclusa, il momento della resa dei conti con Skull Face è finalmente giunto: intrappolato sotto le macerie, l’uomo viene martoriato dalle ferite da parte di Venom Snake e Kaz, che gli amputano degli arti per restituirgli quel dolore fantasma che lui stesso li ha costretti a provare. La loro intenzione è quella di lasciarlo ad agonizzare, ma Huey lo finisce con un colpo ravvicinato, risparmiandogli la sofferenza ed esultando per aver finalmente compiuto la sua vendetta sull’uomo che lo aveva tenuto in trappola in Afghanistan.
Nel frattempo, il ceppo di parassiti fatto sviluppare da Skull Face viene dato alle fiamme, ma il Terzo Ragazzo riesce inquietantemente a sottrarne un esemplare…
La vendetta dei Diamond Dogs, nove anni dopo il crollo degli MSF, è compiuta. La morte si è portata via Skull Face senza nessuno scontro equo, vedendolo immobilizzato e brutalizzato. Eppure, i compagni morti non sono tornati in vita. Eppure, la sofferenza per la loro perdita non si assopirà con la morte di chi lo ha causato. I Diamond Dogs sono condannati: il dolore per i loro lutti li perseguiterà come un fantasma.
Race
La vendetta è compiuta, ma il gioco non è finito. Quasi a sorpresa, dopo i suoi titoli di coda, Metal Gear Solid V si apre a un capitolo 2 che ci racconta la vita dei Diamond Dogs nella Mother Base, vero scenario di questo episodio conclusivo. Ora che il Sahelanthropus è stato trasportato nella Mother Base, Eli diventa sempre più irrequieto. I sospetti di Ocelot sembrano però puntare nella giusta direzione: il ragazzo è probabilmente così irrequieto perché è uno dei prodotti del progetto Les Enfantes Terribles, ossia uno dei figli cloni che Big Boss ha sempre voluto respingerle.
Conscio di questo dubbio, Venom Snake autorizza un confronto per verificare l’effettiva corrispondenza con il suo potenziale “figlio”, ma l’esito degli esami è inaspettatamente negativo.
Eli non è comunque l’unico problema dei Diamond Dogs: la truppa non si fida di Huey e, scavando a fondo nei trascorsi dello scienziato, scopre da una registrazione che, quando Strangelove rimase intrappolato dentro il pod dell’IA che stava sviluppando, l’uomo decise deliberatamente di lasciarla morire soffocata, nonostante fosse la madre di suo figlio Hal. Il motivo di disaccordo tra i due era proprio il bimbo, di cui Huey voleva servirsi come utente “sperimentale” per la progettazione di Sahelanthropus, contro il parere della mamma.
I won’t scatter your sorrow to the hearthless sea
La situazione precipita ulteriormente quando la Mother Base viene colpita da una nuova epidemia. I Diamond Dogs iniziano ad ammalarsi senza che si riesca ad arginare l’emergenza, al punto che la struttura di quarantena della base continua a riempirsi. La malattia è irreversibile e Venom Snake non riesce ad arginarla.
Costretto, deve raggiungere la struttura di quarantena dove ha spostato tutti gli infetti e, con la morte nel cuore, eliminare uno ad uno decine dei suoi fedelissimi soldati, che accettano la morte salutando il loro comandante, da veri soldati.
La situazione è atroce quando i Diamond Dogs apprendono che tutte quelle morti sono state generate proprio da Huey: l’uomo, infatti, ha scoperto come evitare che i Wolbachia impediscano la riproduzione dei parassiti ed era intenzionato a vendere la sua scoperta a Cipher, in modo tale da potersi liberare dal gioco dei Diamond Dogs, che iniziava a farsi preoccupantemente stringente intorno a lui.
Il tribunale improvvisato delle truppe di Venom Snake vuole la sua messa a morte, ma il comandante non accetta: ordina che a Huey venga data una zattera, delle provviste e la libertà che tanto agognava. Messo in mare, lo scienziato è libero di andare alla deriva, con ancora la sua vita. La sola cosa di cui gli sia mai importato.
If only we shared a common tongue
Il panico scatenato dalla nuova epidemia porta i Diamond Dogs a scoprire che anche Quiet è infettata dai parassiti: la donna, che non ha mai proferito parola da quando è arrivata, ma ha apprezzato il modo in cui Venom Snake l’ha protetta e ha scelto di portarla con sé per completare dei contratti, viene torturata, ma non rivela nessun dettaglio relativo alla sua infezione.
Solo Code Talker, spingendola a parlare in navajo, riesce a farsi dire che la donna è stata medicata con i parassiti dopo le bruciature che riportò all’ospedale a Cipro, quando Ishmael la diede alle fiamme e le impedì di uccidere Big Boss. Da allora, grazie ai parassiti respira attraverso la pelle e non ha bisogno di nutrirsi.
Ora che la situazione è precipitata, Quiet sfrutta le potenzialità date dai parassiti per scappare dalla Mother Base: teme, infatti, di subire mutazioni e quindi di infettare i Diamond Dogs, con il timore che evitare di parlare in inglese per non attivare l’infezione non basti più.
Quando arriva in Afghanistan, però, la donna cecchino viene catturata e Venom Snake parte per cercare di salvarla. I due affrontano insieme un vero e proprio esercito, con la donna che viene ferita. Per portarla in salvo, Big Boss attraversa il deserto dove viene, però, ironicamente morso da un serpente velenoso, un venom snake. Quando perde conoscenza, è Quiet a compiere la scelta più difficile: rendendosi conto che il suo comandante ha bisogno di aiuto e, soprattutto, che ha iniziato a provare qualcosa per lui, apre le comunicazioni radio per chiamare i soccorsi, parlando in inglese.
I Diamond Dogs si mettono sulle tracce di Venom Snake per salvarlo. La donna, conscia di aver attivato l’infezione dentro di lei, si allontana solitaria nel deserto per morire senza contaminare nessun altro. Senza avergli mai potuto proferire nemmeno una parola, si era innamorata di Snake. Avrebbe voluto poter avere una lingua comune di cui servirsi per parlare con lui, ma in fin dei conti non ce n’è stata necessità: l’amore non ha bisogno di parole.
Il vuoto lasciato da Quiet è incolmabile. Il dolore fantasma è più forte che mai. E alla Mother Base, intanto, Eli è riuscito ad impadronirsi del Sahelanthropus e a scappare…
La verità
Mentre il giocatore avanza tra incarichi secondari e missioni ripetute, si sblocca una misteriosa missione intitolata La Verità. Quest’ultima consente di rigiocare interamente il prologo, con la fuga dall’ospedale di Big Boss e l’aiutante Ishmael, per scoprire la realtà dei fatti: non abbiamo mai vestito, in Metal Gear Solid V, i panni del vero Big Boss. Il gioco chiedeva all’inizio di creare un avatar che si rivela essere nientemeno che il medico degli MSF che entrò in coma dopo aver fatto da scudo a Big Boss sull’elicottero, in seguito alla distruzione della Mother Base.
Mentre gli sono stati impiantati tutti i ricordi del vero Big Boss, l’uomo si è convinto durante il coma di essere egli stesso, il reale Big Boss: un piano voluto da Zero per proteggere il vero eroe leggendario, e di cui anche il discepolo di The Boss ha deciso di avvalersi. Aiutato da Ocelot, Venom Snake diventa così un vero e proprio Big Boss. Il suo passato, la sua precedente personalità: tutto viene cancellato. Venom Snake è un guscio vuoto sul quale è stata applicata la personalità di Big Boss.
Ocelot ha compiuto questa operazione servendosi del bipensiero, una tecnica che anni dopo utilizzerà per convincersi anche di essere Liquid, e quando affianca Venom Snake nelle sue operazioni in Afghanistan la parte cosciente di sé si è ormai convinta a sua volta che si tratti del vero Big Boss. Solo al momento opportuno, dovrà ricordare la verità.
La notizia è stata appresa, poco dopo il ritorno di V, anche da Kaz: l’ufficiale la prende malissimo, maledice Big Boss per averlo abbandonato mandandogli alla Mother Base un impostore e giura a se stesso che aiuterà Venom Snake e i cloni di Big Boss affinché il traditore paghi per le sue colpe. L’ennesima vendetta che l’uomo ha intenzione di compiere è sul piatto.
Sono trascorsi anni dagli eventi di The Phantom Pain. All’interno di una base militare, Venom Snake riceve un nastro, from the man who sold the world, in cui è Big Boss stesso a rivelargli la verità. L’ex medico degli MSF viene ringraziato dall’eroe leggendario, che non risparmia le sue parole: io e te, questa leggenda, questo Big Boss, lo siamo insieme. Io sono Big Boss, ma lo sei anche tu. Il sacrificio di Venom Snake ha consentito al reale Big Boss di portare avanti nell’ombra i suoi piani, mentre Skull Face bersagliava il fantasma di Big Boss, credendolo il vero eroe leggendario.
La missione di Venom, che accetta in qualche modo il suo ruolo: non è finita. Ad attenderlo, nel nastro, ci sono le indicazioni per la Operation Intrude N313. È il 1995 e Venom Snake è atteso da un’ultima, spaventosa missione.
La chiusura del cerchio
Negli anni vissuti nell’ombra, Big Boss è riuscito a tornare nei ranghi ufficiali degli Stati Uniti, lo stesso Paese che lo ha in qualche modo costretto ad uccidere The Boss. Intenzionato a seguire da vicino i Patriots per fermarli, è un membro effettivo della già leggendaria squadra ad alta tecnologia Fox-Hound, ma è anche il fondatore di Outer Heaven.
Quando gli allarmi sulla sua nazione-fortezza salgono, perché si teme che sia in possesso di un armamento nucleare, Big Boss tenta di tenere tutto sotto controllo affidando a Venom Snake la custodia della nazione e inviando a verificare la situazione un ragazzino. Un novizio del gruppo Fox-Hound addestrato da Kaz e destinato a diventare leggenda, conosciuto solo con il nome in codice di Solid Snake…
La rivoluzione di Metal Gear Solid V
Metal Gear Solid V prende tutto quello che è stata la serie fino a quel punto e lo rivoluziona. Attingendo a piene mani dai contesti e la struttura di Peace Walker, anche nella sua natura gestionale, The Phantom Pain si eleva alla natura di open world, sebbene le missioni siano comunque circoscritte ad aree limitate allontanandosi dalle quali l’incarico viene annullato.
Il gameplay scorrevole risulta irresistibile, il level design seppur migliorabile spinge a cercare approcci diversi e la componente della Mother Base stimola il giocatore a far salire di livello le proprie unità, per ottenere equipaggiamento e un supporto sempre migliore.
Non è tutto, perché The Phantom Pain consente anche di giocare nei panni di un qualsiasi soldato dell’unità di combattimento anziché in quelli di Venom Snake — e offre anche la possibilità, nella schermata di pianificazione della missione, di farsi affiancare da personaggi spalla, come Quiet o il fedele cane D-Dog.
La ricchezza, da un punto di vista del mero gameplay, è straordinaria: i giocatori di Metal Gear Solid non si sono mai trovati davanti a un episodio che avesse così tanta ricchezza interattiva. Questo, ovviamente, a discapito delle proverbiali sequenze filmate, delle quali discuteremo tra un attimo.
Anche facilitato dalla Reflex Mode, che si può disattivare ma che consente di avere l’ultima parola prima che un nemico dia l’allerta, Metal Gear Solid V regola la sua difficoltà studiando l’abilità del giocatore e lo spinge in un’infinità di missioni primarie e secondarie — spesso poco fantasiose nei loro obiettivi, ma in cui si divaga facilmente andando a caccia di soldati da reclutare e risorse da raccogliere — in mezzo alle quali, di tanto in tanto, come un premio, si ottiene un breve assaggio di storia.
Sono in pochi a dubitarne: The Phantom Pain ha dalla sua un gameplay fluido, efficace, coinvolgente, straordinario. A questo affianca Metal Gear Online, l’oramai tradizione gioco competitivo online, ma anche la modalità FOB che consentiva di avere una propria Mother Base in un universo online, di armarla e proteggerla mentre si tentava, contemporaneamente, di infiltrarsi in quelle degli altri per arraffare uomini e risorse utili. Proprio questa modalità spalla nasconde, in realtà, una grande perla di MGSV, uno dei suoi aspetti migliori. I giocatori possono, infatti, dotare le loro basi di armi nucleari. Se, su una determinata console, tutti decidono di non avere armi atomiche, l’obiettivo viene celebrato con un apposito filmato. Il risultato? Il video è emerso solo per errore, perché nonostante dal 1987 al 2015 Metal Gear Solid non abbia raccontato altro che gli orrori delle armi atomiche, i giocatori non hanno deciso di rinunciarvi. E allora, eccola lì, la sintesi di quello che siamo: l’umanità che non cambia mai.
L’oscurità di un Metal Gear diverso
Metal Gear Solid V è ricolmo di disperazione. Se il precedente Metal Gear Solid 4 era quasi soffocante quando faceva sentire che tutto stava per andare male, in Metal Gear Solid V vediamo realizzata la prospettiva dell’essere senza speranza.
La stragrande maggioranza dei protagonisti si è posta come fine ultimo la vendetta. I protagonisti del gioco sono afflitti in modo strozzante dal loro dolore fantasma e possono solo accettarlo e agire di conseguenza. Inoltre, moltissimi di loro vanno incontro a una fine tragica: intestardendosi sul sogno di Outer Heaven, Big Boss inizia la caduta che rimpiangerà. Venom Snake rinuncia a se stesso per essere il fantasma di Big Boss. Kaz giura vendetta contro il Big Boss che lo ha abbandonato, Quiet è maledetta dai parassiti e l’infezione la costringe a morire e a non poter vivere l’amore che aveva sviluppato.
La crudezza dei toni stessi del gioco è qualcosa di mai visto prima nella serie: l’audio in cui si possono ascoltare le terrificanti violenze subite da Paz, la sequenza in cui il medico fruga tra le sue interiora per estrarre la bomba, l’elettroshock e il waterboarding con cui i personaggi vengono torturati alla Mother Base: Metal Gear Solid V sceglia la via della crudezza per immagini, senza risparmiarsi né risparmiarci niente. Se i precedenti episodi alleggerivano l’atmosfera con trovate kojimane che strappavano più di un sorriso, qui quei momenti sono ridotti all’osso. I protagonisti di MGSV sono a modo loro rovinati da quello che gli è successo e agiscono di conseguenza. Si respira, fin dal primo momento, un’atmosfera tragica. Questo è un epilogo in cui i protagonisti mettono dietro un errore dietro l’altro, a partire del consacrarsi alla vendetta, e che pagheranno uno dopo l’altro per le loro scelte.
La tematica, è riassunta nel conflitto con Skull Face: per la prima volta, non abbiamo modo di sfidare il grande antagonista. Non c’è nessuna boss fight — con le altre già sottotono rispetto alla serie — a premiare la nostra sete di vendetta. La vendetta non restituisce niente. Skull Face è morto in modo penoso e io rimango rovinato da quello che ho provato. La Mother Base vivrà altre atrocità, anche ora che la vendetta è consumata: uno dei messaggi più forti di The Phantom Pain.
Il Dolore Fantasma è il mio
Fin dall’annuncio, Kojima parlò di un approccio in stile serie TV per il suo The Phantom Pain, che sarebbe stato strutturato in episodi. Tra le maggiori fonti di ispirazione il game designer citò Breaking Bad e, virtù di questo approccio, ha rivoluzionato la narrativa. Se i precedenti episodi, fatta eccezione per Peace Walker, vivevano di interminabili cutscene, qui tutto è ridotto all’osso. Addirittura, alcune informazioni fondamentali — come il fatto che Eli fosse effettivamente Liquid e il codice non corrispondesse perché era Venom a non essere Big Boss — sono affidate unicamente a audiocassette da ascoltare. Si tratta di veri e propri filmati di cui è stato girato solo l’audio, che si possono riprodurre anche mentre si gioca e che sono però troppo ricchi per essere relegati a un “ruolo spalla” di questo tipo. Per strizzare l’occhio a chi voleva meno video, insomma, Kojima ha corso il rischio di far storcere il naso a chi quei Metal Gear pieno di filmati li ha amati in ogni loro sfaccettatura.
Prima di introdurci alla missione “La Verità”, Kojima ci ricorda che non ci sono fatti, solo interpretazioni. Viviamo così la nuova interpretazione della missione finale, che ci sbatte in faccia che noi il finale lo sapevamo fin dall’inizio. L’avatar con il vero volto di Venom Snake lo abbiamo creato tutti e poi ignorato, illudendoci di essere Big Boss. Cosa che in effetti siamo, ma non nel modo che credevamo. La caduta del grande eroe, che doveva essere il tema chiave di The Phantom Pain, è totalmente diversa da quello che ci aspettavamo. Kojima che, per l’ennesima volta, gioca con il giocatore e ne sovverte le attese. Sconvolgendolo. A volte, deludendolo e ferendolo.
Il Metal Gear Solid V che ci aspettavamo non è questo. È come se avessi perso qualcosa per strada. Qualcosa che mi apparteneva e ora non c’è più. L’ho provato anche dopo la morte di Quiet: sento la mancanza, forte, dentro, graffiante. Come avete detto che si chiama questa sensazione? Dolore fantasma, giusto?
Incompleto
Se il finale La Verità ha fatto discutere — anche e soprattutto perché il valore metaforico del giocatore che è egli stesso Big Boss va a cozzare con il fatto che non c’era bisogno del progetto Les Enfantes Terribles, se creare un Big Boss era così facile — le maggiori polemiche sono scaturite quando ci si è resi conto che con Metal Gear Solid V qualcosa è andato storto.
Sembra dimostrarlo il fatto che Kojima passi dall’essere quello che ci spiega perfino la diarrea di Johnny Sasaki, a quello che si dimentica che il Terzo Ragazzo e Eli sono scappati con un ceppo di parassiti e a bordo di un Metal Gear. Scopriamo poi, con la pubblicazione del video della cancellata Missione 51, che questi ultimi venivano ritrovati in Africa e bloccati, ma sta di fatto che questo finale nel gioco non c’è. The Phantom Pain si conclude perdendo per strada gli eventi di alcuni personaggi, come se fosse incompleto.
A suggerirlo è anche il fatto che, nel secondo capitolo, le missioni comincino a ripetersi. L’iterazione è un tema forte, sicuramente, in un gioco che per farci scoprire il finale ci fa rigiocare interamente il prologo. Sono ripetizioni che vogliono spingere a tentare approcci differenti con l’aumentare della difficoltà? O, forse, sono ripetizioni che dovevano fare brodo, perché i lavori per motivi che ora prenderemo in analisi, sono andati irrimediabilmente alla deriva?
Il finale che nessuno — nessuno — si meritava
Qualcosa, dopo l’uscita di Ground Zeroes, ma forse già prima, è andato in pezzi. E qui, la narrativa torna alla vita reale: Konami annuncia la rimozione di tutti gli A Hideo Kojima Game dai materiali di The Phantom Pain. Nel prologo del gioco, nella missione Deja Vu, Kojima chiedeva al giocatore di far sparire i loghi dei giochi da lui non firmati, con Kaz che aggiungeva che si possono cancellare quelli, ma non si possono cancellare i ricordi.
Si capisce che sta succedendo qualcosa di grosso ed è qualcosa che intaccato irrimediabilmente i lavori su Metal Gear Solid V. L’opera più ambiziosa di Kojima diventa quella più tragica: Konami e il game designer arrivano alla rottura e, secondo il giornalista Geoff Keighley, da marzo 2015 Kojima lavorò sul gioco in un piano separato rispetto al resto del team, a distanza. La rottura definitiva sembra essersi consumata a ottobre 2015, subito dopo l’uscita del gioco.
In queste condizioni, che purtroppo non sono mai state né confermate né smentite dalle parti chiamate in causa, sembra già notevole che il gioco sia riuscito ad arrivare sugli scaffali. E perfino il finale La Verità assume un altro sapore: quello che parla, forse, non è Big Boss che parla con Venom Snake. Forse, quest’opera che in qualche modo esalta e al contempo snatura Metal Gear, affermandosi come qualcosa altro, è solo un commiato. A ricevere quel ringraziamento siamo noi, che abbiamo costruito con Kojima la leggenda di Big Boss. Non è il finale che ci aspettavamo e nemmeno che ci meritavamo. Non se lo meritava Metal Gear, che dopo i fasti vissuti non si meritava un epilogo partorito da separati in casa. Non se lo meritava Kojima, per quello che ha fatto, non se lo meritava nemmeno Konami stessa che ha investito per rendere la serie così grandi. È una situazione in cui hanno perso tutti e che ha reso Metal Gear Solid V, più di ogni altra cosa, un poteva essere più che è un ecco cos’è.
Molte caratteristiche di MGSV sono inaspettate per i giocatori dei vecchi episodi, soprattutto nelle sue scelte narrative e nelle tematiche che, ad esempio in Skull Face, sono quasi caricaturali. Ma come fai a non chiederti cosa sarebbe stato di questo gioco, già comunque apprezzabilissimo in molti dei suoi aspetti, se non fosse nato sotto la cattiva stella della diatriba tra Konami e Kojima?
Non lo scopriremo mai. Ai The Game Awards di quell’anno, addirittura, Metal Gear Solid V riceve dei premi, ma nessuno si presenta a ritirarli e a Kojima viene proibito dai legali di Konami. L’imbarazzo è imperante in tutta l’industria, con Geoff Keighley, conduttore dello show, che esprime la sua solidarietà a Kojima, puntando severamente il dito contro il publisher.
Alla scadenza del contratto del game designer, si è arrivati alla spaccatura definitiva. Dopo aver meditato di abbandonare l’industria, il 16 dicembre 2015 Hideo Kojima fonda la nuova Kojima Productions e parte del suo staff lascia Konami per seguirlo. Oggi, mentre Konami si dice interessata ad assumere staff per un nuovo Metal Gear e mentre ha dato i natali allo spin-off Metal Gear Survive, Kojima e i suoi hanno ricominciato dall’inizio. Senza FOX Engine, senza Konami, senza Snake né Big Boss. Il progetto si chiama Death Stranding, le aspettative sono altissime. Ma questa è solo un’altra, speriamo meravigliosa, storia.
Metal Gear Solid è una delle serie più amate dell’industria dei videogiochi. Dal 1987 al 2015 la saga di Hideo Kojima e Konami è cresciuta, ha affermato la sua personalità, ha osato reinventarsi al costo di far storcere il naso. Metal Gear Solid V, con le sue caratteristiche e per il modo in cui è stato sviluppato, rimane in bilico nel cuore degli appassionati, che si aspettavano un approccio narrativo e una caduta del grande Big Boss che di fatto sono stati tutto l’opposto di quello che credevamo. L’anello si è chiuso ma l’amarezza per non poter mai sapere in che modo sarebbero andate le cose, con un altro contesto per lo sviluppo del gioco, non se ne andrà mai. Proprio come il Dolore Fantasma.
C’era una volta, nel 1987, un giovane game designer con l’idea di un action game atipico. 54 milioni di copie dopo, le certezze non mancano. C’è quella di Hideo Kojima, per dirne una. C’è quella di Big Boss e Solid Snake. C’è quella di tutto quello che abbiamo scoperto, amato, imparato e portato con noi in tutti questi anni. Insegnamenti e momenti che riecheggiano dai fasti di una serie che ciascuno di noi custodisce come un tesoro, nelle sue eccellenze e, che ci piaccia o no, perfino nelle sue mancanze.
Per ogni dolore fantasma, c’è un FOXALIVE. C’è un “scegli la vita”, c’è un “lei era una vera patriota”, c’è un “le ha cucinate bene.” Se questa serie è amata da milioni di persone, è perché è capace di arricchirti. E tutto questo, no, non c’è divorzio lavorativo che possa cancellarlo.
“La vita non riguarda solo trasmettere i propri geni. Possiamo lasciarci dietro molto più del solo DNA. Attraverso le parole, la musica, la letteratura, il cinema… tutto quello che abbiamo visto, sentito, provato. Rabbia, gioia, dolore… sono queste le cose che voglio lasciare alle prossime generazioni. È per questo che vivo.”
—Hideo Kojima
Voto Recensione di Retrospettiva Metal Gear - Ultimo episodio: Il Dolore Fantasma - Recensione
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