Until Dawn
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a cura di Domenico Musicò
Deputy Editor
La struttura dell’opera di Supermassive Games non lascia spazio a dubbi: Until Dawn appartiene allo stesso filone di Heavy Rain e Beyond: Due Anime, offre una libertà illusoria convogliata in binari ramificati, tanti quick time event, pochi elementi dello scenario con cui interagire e scelte multiple che influiscono più o meno pesantemente sugli sviluppi di gioco immediati e futuri. Si tratta insomma di un genere con pochi compromessi, per nulla preoccupato di offrire un gameplay più ingessato del solito pur di utilizzare al meglio un linguaggio più vicino al cinema che non ai videogiochi, spesso oggetto di dibattito in una community che si divide tra grandi elogi e forti dubbi.
Eppure gli estimatori di questa formula non mancano affatto, a dimostrazione del fatto che con le giuste accortezze è possibile offrire un prodotto onesto, capace di coinvolgere fino alla fine e di dare anche discrete soddisfazioni. Per farlo, però, serve una trama all’altezza che controbilanci la grande semplicità del sistema di gioco, e anche qualche buona trovata che possa destabilizzare le certezze di giocatori sempre più difficili da sorprendere. Until Dawn possiede entrambe le caratteristiche, che si abbinano a un’intelaiatura da teen horror classica, in grado di avvantaggiarsi di una storia costruita bene e sviluppata con cura, senza cadere in eccessive banalizzazioni.
Sopravvivere fino all’alba
Non vedere di buon occhio i cliché narrativi di Until Dawn è il peggior errore di valutazione che possiate fare. Supermassive Games ha avuto dall’inizio alla fine la chiara intenzione di costruire il più classico dei teen horror, che non basa il suo terrore sulla sensazione di angoscia comunicata da ambienti oppressivi e malsani, ma su una sequela di scarejump continui, talvolta buoni, altre volte un po’ scontati. E non potrebbe essere altrimenti: la conduzione di gioco molto controllata e chiusa si presta meglio a spaventi effimeri e quasi sempre efficaci, anziché a un orrore duraturo che opprime e crea ansia. Va inoltre considerato che Until Dawn mostra la sua facciata horror solo nella seconda parte, mentre nella prima offre una sceneggiatura dai toni thriller di cui autori come Wes Craven e Kevin Williamson sarebbero orgogliosi.
Gli elementi sono tra i più classici del genere: otto amici si ritrovano in una baita in montagna, un anno dopo la misteriosa morte di due ragazze del gruppo; nei pressi della zona c’è un terreno appartenuto ai Nativi Americani; uno psicopatico mascherato minaccia l’integrità dei ragazzi; nel circondario ci sono torbidi segreti che verranno lentamente a galla e non mancano nemmeno alcuni elementi mitologico-sovrannaturali a condire la trama. A vederli elencati così, si potrebbe pensare al più tipico e confusionario dei pot-pourri, e invece Until Dawn riesce a mescolare questi elementi creando un amalgama organico e solido, a cui non manca mai la coerenza. Alcuni personaggi sono meno in vista di altri e sembrano più di contorno, quasi come se fossero più sacrificabili, ma la verità è che riuscire a salvarli tutti non sarà in ogni caso una passeggiata, soprattutto durante la prima partita. In fondo l’obiettivo è esattamente questo: sopravvivere fino all’alba mantenendo in vita tutti i personaggi, raggiungendo così uno dei finali migliori. A proposito di finali, bisogna specificare che non sono poi così tanti come si voleva fare intendere durante le fasi promozionali; si tratta piuttosto di variazioni che spesso sono minime e che si configurano più come esiti alternativi che non stravolgono completamente quello che è in sostanza il vero epilogo. Tuttavia alcune conclusioni sono migliori di altre, talune persino più chiarificatrici, ma per sbloccarle dovrete compiere le scelte migliori e imboccare i bivi narrativi che in precedenza avevate completamente ignorato. Until Dawn è insomma costruito per essere giocato più volte, ma va comunque ammesso che dopo la prima partita l’interesse tende giocoforza a scemare, soprattutto perché si tratta di un titolo che fondamentalmente segue la stessa linea guida narrativa dall’inizio alla fine. Sarete senza dubbio voi a plasmare la storia, ma non aspettatevi porzioni di gioco aggiuntive da portare a termine col personaggio che avete salvato: nella migliore delle ipotesi assisterete infatti a delle co-presenze durante determinate scene, che non spostano gli equilibri e non cambiano mai la sostanza. Discorso completamente diverso, invece, per quanto riguarda la variabilità degli eventi regolati dall’effetto farfalla, in cui le scelte dei giocatori – ponderate o istintive – sono sempre determinanti.
Battiti d’ali e uragani
Il cosiddetto butterfly effect è probabilmente la caratteristica migliore di Until Dawn: dà più dinamismo alla storia, influisce in modo decisivo sul destino degli otto personaggi e regola anche le loro relazioni interpersonali, influendo su sentimenti di rivalità e fiducia e sui diversi gradi di affinità.
Gli eventi che generano un effetto farfalla sono sempre puntualmente segnalati su schermo, ma non saprete mai quale sarà il peso effettivo delle vostre azioni. Capiterà pertanto di avere conseguenze future di gravissima entità o effetti talmente blandi da essere totalmente trascurabili, che danno al limite solo un po’ di “colore”. Queste azioni particolari sono strettamente connesse alle scelte più comuni, ai cosiddetti bivi decisionali che si presentano con grande frequenza, ed è per questo motivo che capiterà sovente di rimanere sorpresi da alcuni fallimenti che arriveranno in maniera del tutto inaspettata. C’è un sostanziale equilibrio tra le scelte ponderate e quelle istintive, e non è affatto semplice capire preventivamente quale sia la logica che regola la consequenzialità di certe azioni. In alcuni situazioni può andarvi bene, mentre in altre il caso potrà giocarvi dei pessimi scherzi; ad ogni modo, risulta evidente come gli sviluppatori abbiano fatto di tutto per non permettere ai giocatori di salvare gli otto personaggi al primo tentativo. Potrete riuscirci, certo, ma solo perché avrete avuto davvero molta fortuna.
Un altro aspetto importante di Until Dawn è la funzionalità dei totem sparsi lungo gli ambienti. Ce ne sono di cinque tipi (morte, guida, perdita, pericolo, fortuna) e ciascuno di essi predice un possibile evento futuro sotto forma di premonizione, che può avverarsi o meno a seconda della condotta di gioco. Solo trovandoli tutti otterrete il video completo che mostra gli eventi del passato, altrimenti potrete visionare un filmato composto da spezzoni che non vi faranno comprendere fino in fondo quale sia l’origine di tutto. Al reperimento dei Totem è però legato un problema che risiede nella rigida struttura di gioco di Until Dawn: trattandosi di un titolo su binari in cui lo spazio di manovra è fortemente limitato, che avanza senza darvi modo di tornare indietro, scegliere una strada al posto di un’altra può farvi perdere per sempre uno di questi oggetti o alcuni preziosi indizi. Se avete la memoria corta e non ricordate esattamente il percorso della prima partita potreste perderli nuovamente, mandando così in fumo il vostro buon proposito di non lasciarvi nulla alle spalle. Non fatevene però una colpa, perché ad onor del vero non è un vostro problema di disattenzione o di errata valutazione delle situazioni; è al contrario una scelta di game design un po’ infelice, che si affida a qualche casualità di troppo. Se avete intenzione di esplorare a tappeto una zona e imboccate fortuitamente la strada giusta, facendo così partire il filmato successivo che vi proietta in avanti senza farvi mai voltare, potrete solo prendervela con gli sviluppatori. Una volta terminato Until Dawn potrete rigiocare i singoli capitoli rimediando a questi “errori”, ma per mantenere le nuove decisioni prese dovrete comunque proseguire fino all’epilogo.
La morte in un istante
La struttura di gioco è dunque chiara: ci si muove lungo ambientazioni quasi sempre al chiuso, si esplorano le aree alla ricerca di indizi e totem, si prendono decisioni tutte le volte che il gioco vi chiede di farlo e si affrontano le scene d’azione azzeccando i quick time event o – al limite – prendendo la mira durante una scena rallentata e sparando prima che scada il tempo. La gestione dei QTE è tuttavia un po’ controversa. Durante le sezioni non particolarmente pericolose vi è concesso di fare qualche errore e ripetere da capo la sequenza; in quelle dove bisogna scappare o fare in fretta potrete sbagliare qualche tasto senza subire conseguenze negative; in quelle critiche, invece, gli esiti sono terribili. Potrete dare il massimo per fare le scelte ideali e mantenere così in vita i personaggi, potrete curare i rapporti interpersonali senza creare attriti, ma fate anche un solo errore in determinate scene cruciali e uno dei personaggi morirà. Finito. Andato per sempre. Un solo tasto sbagliato, una mancanza di riflessi o un piccolo tentennamento prima che il tempo scada può – in determinate sequenze – provocare la morte di uno degli otto ragazzi. È una scelta di game design che probabilmente farà discutere, perché eventi così importanti non possono e non devono essere decisi da un solo QTE fallito. Allo stesso modo, durante le fasi finali, il destino di un personaggio dipende dal ritrovamento di un indizio considerato cruciale. Come nel caso dei totem, dunque, se imboccate la strada corretta senza ficcare prima il naso in una diramazione chiave, rimarrete fregati.
Complessivamente Until Dawn è una gradevole sorpresa, un teen horror ben orchestrato che sa come tenere sulle spine il giocatore, lasciando nelle sue mani grandi responsabilità. I valori produttivi sono molto buoni, ma siamo poco sotto la qualità delle opere di Cage, che vantano al contrario performance recitative meno altalenanti e più incisive. La prova di Hayden Panettiere è ottima, mentre quella di alcuni attori è un po’ più nella media, quando non addirittura appena accettabile. Peter Stormare nei panni dello psichiatra è semplicemente perfetto, anche se talvolta le sua mimica facciale è un po’ troppo caricata e teatrale. Tecnicamente il gioco regge bene e i problemi emersi in sede di anteprima sono stati tutti risolti: il labiale è adesso sincronizzato (in lingua originale lo si apprezza maggiormente), il frame rate non è più così ballerino e i drop sono davvero rarissimi, quasi impercettibili. Anche graficamente e artisticamente Until Dawn si attesta su buoni livelli, con sbavature prossime allo zero, ambientazioni ben realizzate e una digitalizzazione degli attori molto credibile. Il buon uso degli scarejump, uniti a una trama superiore alle produzioni cinematografiche “teen horror”, hanno dato vita a un prodotto onesto, superiore alle aspettative iniziali. Ma è chiaro che dovete essere dei grandi amanti del genere per accettare tutte le sue congenite limitazioni.
+ La meccanica dell'effetto farfalla è intrigante e rende il titolo rigiocabile
+ Le scelte sono determinanti e regolano anche i rapporti tra i personaggi
- In alcune sezioni, i QTE hanno un peso maggiore delle scelte compiute
- La rigida struttura di gioco può farvi perdere per sempre degli oggetti fondamentali
8.0
Pensato originariamente per essere un gioco per PlayStation Move su PS3, il progetto di Supermassive Games è stato infine spostato su PS4 ed è cambiato radicalmente. La scelta è stata vincente, perché Until Dawn è un prodotto che funziona bene ed è dotato di caratteristiche capaci di mantenere la curiosità del giocatore fino alla fine. A livello recitativo ha qualcosa in meno rispetto alle opere di Cage e alcune scelte di game design sono un po’ controverse, ma il suo modo di proporsi riesce tutto sommato a controbilanciare alcune piccole debolezze strutturali.
Voto Recensione di Until Dawn - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
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Trama ben costruita
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La meccanica dell'effetto farfalla è intrigante e rende il titolo rigiocabile
-
Le scelte sono determinanti e regolano anche i rapporti tra i personaggi
Contro
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Qualche casualità di troppo
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In alcune sezioni, i QTE hanno un peso maggiore delle scelte compiute
-
La rigida struttura di gioco può farvi perdere per sempre degli oggetti fondamentali
Commento
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