Trials of Mana, la rinascita di un classico - Recensione
Un remake all'altezza per un signor JRPG
Advertisement
a cura di Gianluca Arena
Senior Editor
Informazioni sul prodotto
- Sviluppatore: Nintendo
- Piattaforme: PC , PS4 , SWITCH
- Generi: Gioco di Ruolo
- Data di uscita: 24 aprile 2020
Qualche settimana dopo la nostra prova approfondita della demo rilasciata sugli store digitali tanto di Sony quanto di Nintendo, eccoci arrivati al momento delle sentenze: Trials of Mana ci ha tenuto compagnia durante tutta l’ultima settimana, e siamo pronti a dirvi se vale la pena investire i vostri sudati risparmi (anche) nel secondo remake made in Square Enix di questo travagliato 2020.
Preparate i vostri preziosi file di salvataggio, c’è un regno da mettere al sicuro!
Mana morente
Come già sottolineato poco più di un anno fa su queste pagine, in occasione della recensione della Collection of Mana, Trials of Mana è di sicuro il più ambizioso e vasto tra i giochi appartenenti al franchise, con sei personaggi principali ed altrettante storyline convergenti, che si intersecano in una storia di background in maniera efficace e credibile.
Ciò che era vero per il titolo originale, che solo da pochi mesi noi occidentali possiamo apprezzare (quantomeno con una traduzione non amatoriale), lo è anche per questo remake, rimasto perlopiù fedele alla struttura ludica e narrativa del titolo originale ma non privo di rifiniture ed aggiunte di vario tipo, che ne ampliano l’intreccio e le relazioni tra i personaggi.
In un mondo in cui il mana è la forza vitale del cosmo, e nel quale la Dea ha sigillato otto bestie immonde per far sì che la pace regnasse sul suo creato, il flusso di mana si sta pericolosamente indebolendo, e, dopo millenni di pace, i regnanti di vari stati sono in subbuglio, alla ricerca spasmodica del potere proibito garantito dai Benevodons, ovvero le otto creature di cui sopra.
Sei eroi tra i più improbabili, mossi da desideri personali ed assolutamente ignari delle macchinazioni in atto per far piombare nuovamente il mondo nell’oscurità, si imbarcano in un viaggio che li cambierà per sempre, e con loro anche i destini di un mondo rigoglioso che non sembra volersi rassegnare ad essere avvolto dalle tenebre.
Se, com’era lecito aspettarsi da un titolo con tanti anni sul groppone, il plot in sé non si discosta dai topoi classici del fantasy medievale, tra spade bloccate nelle rocce, arcicattivi dalle risate inquietanti ed eroi senza macchia né paura, sono piuttosto il modo in cui la storia è raccontata ed i legami tra i personaggi che riescono a mantenere alta l’attenzione del giocatore.
Oggi come un quarto di secolo or sono, Trials of Mana dota ognuno dei suoi protagonisti di un background narrativo credibile, visibile (o meno) all’unirsi di quel dato personaggio al party del giocatore: per la nostra run, abbiamo scelto Duran, lo spadaccino del regno di Valsena, come personaggio principale, e Charlotte ed Angela come suoi fidi scudieri.
Ogni volta che abbiamo incontrato un nuovo membro del party ci è stata data la possibilità di vedere come era arrivato fino al punto in cui lo abbiamo conosciuto, con dei brevi prologhi giocabili che ne spiegano la provenienza e le motivazioni.
Qualora foste confusi, per dare un punto di riferimento, potremmo dire che questa struttura è stata in parte ripresa ed ampliata da un titolo come Dragon Age Origins di Bioware durante la scorsa generazione di console, e restituisce un senso di continuità narrativa e di immersione senza pari all’interno del mondo di gioco.
A fronte di un arco narrativo tutto sommato banale nella sua esecuzione, allora, questa peculiare (e, per i tempi, innovativa) struttura consente non solo di affezionarsi come non mai agli eroi della storia, ma anche di rigiocare con piacere il titolo più volte per esplorare meglio le storie di ognuno di essi.
A questa apprezzata ossatura narrativa, questo remake aggiunge nuove linee di dialogo, che approfondiscono notevolmente l’interazione tra membri del party, nonché una traduzione largamente rivisitata rispetto a quella (pur apprezzabile) vista nella Collection of Mana: l’assenza di limitazioni legate alla memoria e il tono più moderno dato al prodotto necessitavano di una rinfrescata allo script, e da questo punto di vista il lavoro svolto è stato egregio, tanto nel rispetto del materiale originale quanto in quello delle nuove generazioni, abituate ad un differente tipo di storytelling rispetto ai primi anni novanta.
Ammodernare un classico
Il lavoro svolto per adeguare Trials of Mana agli standard moderni, pur nel rispetto del materiale originale (che rappresenta un freno alle ambizioni del gioco in certi frangenti), è stato diffuso e di buona fattura sotto diversi punti di vista.
Quello che sicuramente salta all’occhio con maggiore prepotenza è il nuovo sistema di combattimento, simile nella sua immediatezza a quello del 1993 ma estremamente più fluido e profondo, capace di concedere qualche ora di button mashing ai novizi per poi pretendere pianificazione strategica in tempo reale e accurata gestione degli oggetti e delle risorse per sopravvivere, quantomeno selezionando il massimo livello di difficoltà
Lo stesso team di sviluppo, in una recente intervista, ha ammesso come il livello di difficoltà di default sia più abbordabile rispetto al gioco originale e, sebbene si possa cambiare la difficoltà dal menu delle opzioni in qualsiasi momento, il nostro consiglio, per gli appassionati del genere, è di optare da subito per il livello di sfida massimo.
Nel dettaglio, il nuovo combat system si basa su tre soli pulsanti, ma anche su infinite combinazioni di essi: un tasto adibito all’attacco rapido, uno a quello forte e uno alla schivata, che prende la forma di una rotolata utile a uscire dal raggio delle magie nemiche, con un frame di invincibilità abbastanza generoso.
Combinando le due varianti di attacco, e aggiungendo al menu anche il salto, è possibile creare diverse tipologie di offesa, utili ad affrontare le diverse situazioni di combattimento: attacchi ad area, utili per il crowd control, attacchi caricati, che scoprono il giocatore per qualche secondo ma colpiscono duro, ed attacchi respingenti, che costringono i nemici ad indietreggiare.
Infliggendo e subendo danni si riempiono poi delle barre nella parte bassa dello schermo, con la possibilità di svuotarle vomitando addosso al nemico attacchi speciali decisamente devastanti, che si riveleranno un toccasana soprattutto contro i boss, decisamente impegnativi dalla seconda metà dell’avventura in poi.
A tutto questo si aggiunge il consueto menu ad anello, che torna dall’episodio originale, con il quale gestire incantesimi curativi ed offensivi e la gestione degli oggetti, che sono limitati per ogni scontro.
Nell’ottica di non banalizzare gli scontri più lunghi, infatti, il team di sviluppo ha scelto di limitare il numero di utilizzi per singolo combattimento di questi oggetti, che saranno disponibili in numero assai inferiore (ad esempio otto sui cinquanta totali posseduti).
Questo costringe a prendere decisioni in un centesimo di secondo, e a gestire con oculatezza le risorse al fine di non arrivare con il fiato corto alle fasi finali delle lunghe battaglie con certi boss.
Sebbene sia possibile passare da un personaggio all’altro con la semplice pressione di un tasto, affidarsi all’ottima IA per la gestione degli altri due membri del party rappresenta spesso la soluzione più immediata per quanti vogliano concentrarsi sul combattimento.
Nonostante l’apparente semplicità del combat system, la sua immediatezza e la rapidità ne fanno uno dei punti di forza della produzione, che si è però ampliata anche sotto altri punti di vista – dal rinnovato sistema di crescita, con abilità da sbloccare legate ad ogni singola statistica (alcune delle quali condivisibili con gli altri membri del party), all’introduzione di una quarta classe sbloccabile nell’endgame, con nuove sfide che attendono i giocatori anche una volta completata la main quest.
Da una serie di dettagli traspare lo sconfinato amore del team di sviluppo per il titolo originale e come, a distanza di un paio d’anni, gli sviluppatori abbiano fatto tesoro degli errori commessi con il poco convincente remake di Secret of Mana, che avrebbe meritato il medesimo livello di cura.
Qualche esempio? Ci sono scrigni segreti ed oggetti da raccogliere sparsi per le mappe, che premiano i giocatori che si prenderanno il tempo per esplorare un po’, un piccolo cactus che cambia location ogni volta che lo troviamo, e che ci regala piccoli vantaggi in-game (come sconti ai negozi o la possibilità di vedere gli scrigni presenti in ogni mappa) e una serie di abilità del tutto opzionali da acquisire semplicemente parlando con determinati personaggi in punti precisi della storia.
Insomma, Trials of Mana sprizza amore e cura per i dettagli da ogni poligono, e riesce nel non facile compito di rendere appetibile un prodotto vecchio di ventisette anni anche ad un pubblico moderno, che magari non era ancora nemmeno nato alla data della pubblicazione originaria.
Quasi tutte le cose che ci hanno convinto di meno di questa operazione di Square Enix dipendono, più che dal lavoro del team di sviluppo, dalla natura stessa di remake del progetto: avremmo gradito qualche quest opzionale in più, ad esempio, un respawn rate dei nemici inferiore, e una minore linearità della storia, che, al di fuori dei protagonisti, presenta villain e comprimari piuttosto bidimensionali.
Ovviare a queste limitazioni, tuttavia, avrebbe significato snaturare completamente il tono da fiaba moderna del titolo, che non possiede una mappa talmente densa da potersi aprire a modalità di esplorazione open world: ci sentiamo quindi di concordare con gli sviluppatori, e speriamo in un nuovo episodio che possa godere di un respiro (e di un budget) più ampio.
Unreal engine croce e delizia
Per la traslazione del mondo di gioco apprezzato nella versione originale di Trials of Mana, il team di sviluppo ha scelto di affidarsi ad uno dei motori più affidabili e versatili sul mercato, ovvero l’Unreal Engine, e questa scelta, come i giocatori più assidui sapranno, comporta tanti vantaggi ma anche qualche problematica.
A fronte di una modellazione poligonale soddisfacente, di un frame rate sorprendentemente solido (quantomeno nella versione per console Sony da noi testata) e di buoni effetti particellari, che rendono discretamente spettacolari alcune delle magie più avanzate, abbiamo riscontrato anche molte delle problematiche (minori, ad onor del vero) che il motore di Epic porta in dote.
Ci stiamo riferendo al caricamento ritardato di tutte le texture di superficie – che rende l’inizio di ogni cutscene piuttosto bizzarro da vedere – a caricamenti abbastanza brevi ma anche abbastanza frequenti e ad una serie di compenetrazioni poligonali che genera situazioni abbastanza ilari.
Non crediamo che una patch al day one (la versione da noi giocata non ne era provvista) possa migliorare più di tanto la situazione, perché questi sono difetti noti del motore di gioco e non di Trials of Mana in sé, ma ci teniamo a sottolineare come nessuno di questi abbia impedito una fruizione corretta e piacevole del prodotto.
In compenso, siamo rimasti ammaliati dalla direzione artistica, capace di traslare in tre dimensioni il mondo di gioco con grande rispetto per il materiale originale, e, soprattutto, dalla colonna sonora, che include sia le tracce originali sia quelle riarrangiate.
Se le prime sono identiche a quelle ascoltate nella recente raccolta dedicata al franchise (e quindi opera del maestro Kikuta), le seconde, pur avendo avuto la supervisione di quest’ultimo, hanno un tono maggiormente spensierato ed arioso, in linea con la palette di colori più brillante e l’atmosfera più leggera di cui questo remake è impregnato.
In entrambi i casi, comunque, siamo al vertice per le produzioni di genere, con motivi ispirati e travolgenti, capaci di insinuarsi nella testa del giocatore e di rimanerci per tutta la durata dell’avventura, quantificabile in circa venticinque ore per i giocatori più frettolosi ed una trentina abbondante per quelli più riflessivi.
Come per il titolo originale, quindi, parliamo di una durata di tutto rispetto per un gioco di ruolo d’azione, considerato anche l’alto livello di rigiocabilità del titolo, che incoraggia quantomeno una seconda run al termine della prima.
Chiosa finale per il doppiaggio: pur avendo apprezzato il lavoro degli attori statunitensi, consigliamo ai fan della prima ora di optare per le voci giapponesi, maggiormente in linea con alcuni personaggi e con l’enfasi che questi mettono nelle loro azioni.
+ Grande rispetto per il materiale originale
+ Traslazione in 3D ben fatta
+ Rigiocabile
- Che fine ha fatto la cooperativa?
8.0
Sebbene esistano action RPG nel complesso migliori tanto nella libreria PS4 quanto in quella Switch, è difficile non apprezzare e premiare il lavoro svolto da Square Enix su Trials of Mana, soprattutto dopo i deludenti risultati dell’operazione legata al remake del precedente capitolo del franchise.
Un nuovo e più coinvolgente sistema di combattimento, nuove linee di dialogo che approfondiscono i rapporti tra i personaggi e un rifacimento grafico e tecnico rispettoso del materiale di partenza sono solo alcuni dei pregi della produzione, che rende giustizia ad uno dei migliori giochi di ruolo dell’epoca a sedici bit, ingiustamente negato ai giocatori occidentali per oltre un quarto di secolo.
Ci sono anche aspetti meno riusciti, ma sono quasi tutti relativi alla natura di remake del prodotto, comunque legato ad un titolo vecchio di oltre due decadi. Speriamo solo che Square Enix si ravveda ed aggiunga la tanto agognata cooperativa in locale e online.
Voto Recensione di Trials of Mana - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
-
Combat system frenetico e moderno
-
Grande rispetto per il materiale originale
-
Traslazione in 3D ben fatta
-
Rigiocabile
Contro
-
A tratti storia e personaggi mostrano la loro età
-
Che fine ha fatto la cooperativa?
Commento
Sebbene esistano action RPG nel complesso migliori tanto nella libreria PS4 quanto in quella Switch, è difficile non apprezzare e premiare il lavoro svolto da Square Enix su Trials of Mana, soprattutto dopo i deludenti risultati dell'operazione legata al remake del precedente capitolo del franchise.
Un nuovo e più coinvolgente sistema di combattimento, nuove linee di dialogo che approfondiscono i rapporti tra i personaggi e un rifacimento grafico e tecnico rispettoso del materiale di partenza sono solo alcuni dei pregi della produzione, che rende giustizia ad uno dei migliori giochi di ruolo dell'epoca a sedici bit, ingiustamente negato ai giocatori occidentali per oltre un quarto di secolo.
Ci sono anche aspetti meno riusciti, ma sono quasi tutti relativi alla natura di remake del prodotto, comunque legato ad un titolo vecchio di oltre due decadi. Speriamo solo che Square Enix si ravveda ed aggiunga la tanto agognata cooperativa in locale e online.
Advertisement