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Pro
- Il fascino dell'open world di Cyrodill rimane maestoso.
- La sensazione di avere un impatto nel mondo di gioco fa ancora scuola.
- Colonna sonora strepitosa e immutata.
- Bel colpo d'occhio con Unreal Engine 5...
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Contro
- ... ma c'è ancora tanto lavoro di ottimizzazione da fare.
- Sente tutti i suoi anni, pur essendosi rifatto il trucco.
Il Verdetto di SpazioGames
All'immutato fascino di una Cyrodill che non solo è magnifica nel suo essere "open", ma che è anche bravissima a farsi "world", si affiancano però una componente tecnica che, almeno su PC, è problematica e spigolosa, oltre a un fatto innegabile: pur con il filtro dell'amore negli occhi di tutti noi, Oblivion sente il peso di tutti i suoi anni, che mostra in ogni spigolo di rozzezza, nel bilanciamento non perfetto, nella densità del suo stesso mondo.
Ci troviamo allora di fronte a un'operazione che rende omaggio all'Elder Scrolls che è stato il primo amore per molti giocatori, ma che, con una mano di trucco, non riesce del tutto a trasportarlo nel 2025: trasporta più che altro noi nel 2006, con tutto ciò che di bellissimo e al contempo dissonante questo implica.
Informazioni sul prodotto

- Sviluppatore: Virtuos
- Produttore: Bethesda Softworks
- Distributore: Zenimax Media, Microsoft
- Testato su: PC
- Piattaforme: PC , PS5 , XSX
- Generi: Gioco di Ruolo
- Data di uscita: 22 aprile 2025
Ci sono due anime che vivono dentro The Elder Scrolls IV: Oblivion Remastered. Proprio come l'altra faccia della medaglia della luminosa Cyrodill sono le infernali piane di Oblivion dominate da Mehrunes Dagon, in un certo senso.
È contemporaneamente un gioco del 2006 e un gioco del 2025. Il passaggio a Unreal Engine 5, che rifà il trucco al gioco – ma che rimane una bestia difficile da domare, come vedremo – fa in modo che ogni scorcio di Cyrodill abbia davvero l'aspetto con cui noi già lo vedevamo vent'anni fa, con negli occhi il filtro dell'amore. I laghi, i boschi, le caverne – tutto splende, tutto è moderno e scalda il cuore.
Allo stesso tempo, però, tutto è ancorato al momento dell'uscita di Oblivion: gli spigoli, i sistemi di gioco, il bilanciamento, gli scontri con i nemici, la densità dei suoi borghi.
Sì, ci sono due anime dentro Oblivion Remastered e, prese da sole, entrambe sono molto belle. Messe insieme, però, si scontrano in più di uno spigolo.
È l'anno di Akatosh 433
«Sono gli ultimi giorni della Terza Era. E le ultime ore della mia vita».
Se, sentendo l'imperatore Uriel Septim VII pronunciare queste parole, mentre la musica saliva, siete rimasti indifferenti, probabilmente potete già concludere la vostra esperienza con Oblivion Remastered. È evidente fin dai primi istanti, infatti, che questo ritorno mira più a coinvolgere chi il gioco lo ha già amato nelle sue vesti originali, che non a conquistare nuovi proseliti.
Se può aiutarvi a contestualizzare questa disamina, ancora oggi Oblivion è il mio preferito tra i The Elder Scrolls: l'esperienza offerta da questo gioco di ruolo a mondo aperto è sempre stata di più della sola somma delle sue parti. È un videogioco fondato sulla proiezione pura: crei il tuo personaggio, puoi essere chi vuoi, avere la morale che vuoi, e andare dove vuoi.
C'è anche una storia, certo, che però è cucita sul mondo creato da Bethesda Game Studios, e non il contrario: alla scomparsa dell'imperatore Uriel Septim VII e di quelli che sembrano essere tutti i suoi eredi, sarà l'alter ego del giocatore a cercare di concretizzare le ultime volontà del sovrano – che gli rivela di avere un figlio segreto, Martin.
Il trono vacante e le incertezze sulla discendenza aprono le lande di Cyrodill, la regione del continente di Tamriel dominata dai Septim, al sanguinoso principe daedrico Mehrunes Dagon: per tutta la regione compaiono infernali portali per le piane di Oblivion, dai quali emergono mostri pronti a prendere d'assalto le città. Qualcuno deve fermare il principe daedrico e i suoi folli seguaci. E quel qualcuno, in un contesto di riscatto sociale fuori scala (a inizio gioco, come da tradizione, siete solo un detenuto, ndr), siete voi.
E con voi, in The Elder Scrolls, si intende letteralmente voi: il personaggio che deciderete di ruolare, che sia basato su voi stessi o creato sulla pura fantasia, sulla vostra morale o su ciò che nella vita reale non fareste mai.
Tutto questo, in Oblivion Remastered, è immutato: il gioco è il trionfo dell'open world che sa essere open e che sa essere davvero world. Una volta concluso il tutorial, viene ribadito perfino su schermo: vai dove vuoi, fai quello che vuoi, buona fortuna.
Lo straordinario senso di libertà, dove si può anche ignorare del tutto la storia principale per dedicarsi ad attività secondarie di ogni sorta – alcune delle quali scritte molto bene, e quel dipinto mi è rimasto ancora nel cuore – si accompagna a una sensazione fondamentale in un gioco di ruolo di questo tipo: Oblivion ti dà l'idea di fare la differenza.
Se questo aspetto si è mitigato un po' nel successivo Skyrim ed è inesistente nel superficiale Starfield, in Oblivion gli NPC si comportano tenendo conto dei gesti del giocatore, lo appellano di conseguenza e, per quanto non proprio fitta sia la popolazione delle diverse città – e con tutti i limiti che il 2006 imponeva –, si ha la percezione di avere un impatto. Di aver davvero salvato quella città (ma anche quell'altra, più avanti, ndr) dai cancelli di Oblivion. Di essere, fino all'ossessione diventata meme, davvero il campione dell'arena della Città Imperiale.
Pur nella sua rigidezza, oggi così evidente, Oblivion mantiene intatte tutte queste sensazioni, chiedendovi un minimo di compromesso: se venite dai giochi di ruolo e dagli open world odierni, le sue città non vi sembreranno davvero così abitate. I personaggi non vi sembreranno davvero così vivi.
Serve ancora quel velo di amore davanti agli occhi, per farsi rapire da quella magia – che è stata un po' indebolita dal passare del tempo, se di Oblivion non vi siete mai invaghiti prima d'ora. Ed è una cosa alla quale il rinnovato comparto grafico non può, da solo, ovviare.
2006 vs 2025
La rimasterizzazione non può ovviare al senso di rigidezza dato dai personaggi (e dai sistemi) di Oblivion semplicemente perché il rinnovamento è stato puramente estetico. Cyrodill non è mai stata così bella da vedere, ma è solo di vedere che si parla. Viverla è un'altra cosa.
A metà tra omaggio, conservazione e la necessità di attualizzare la vendibilità di un gioco con vent'anni sulle spalle – ma senza alienare chi lo ha già amato – Oblivion Remastered mantiene intatto tutto.
Un combat system oggi difficile da concepire, dove si para e si mena un po' alla cieca, che non lascia percepire la sua fisicità e che appare evidentemente obsoleto. Naturale e "casa" per chi lo ha già vissuto, ma inspiegabile per chi si affaccia adesso a The Elder Scrolls.
Una densità delle città che è quella che è: passeggiare per la capitale imperiale e incontra tre o quattro NPC per mappa, escluse le sentinelle, crea una dissonanza ludonarrativa con ciò che si dice della sua grandezza.
Il lavoro di rifacimento si è occupato, allora, solo del comparto tecnico (con delle mancanze), di sistemare alcune cose nella progressione per avvicinarle a Skyrim e di ridoppiare alcuni personaggi – in modo che ogni razza abbia ora un suo registro più caratteristico e riconoscibile.
Ci sono ancora anche le schermate di caricamento per ogni porta che aprite – ma per fortuna, con gli SSD moderni, durano giusto una manciata di secondi.
Per il resto, Oblivion rimane uguale a se stesso. E, quindi, un gioco del 2006 e del 2025 insieme, come dicevamo.
Ha senso: al di là della sua legnosità, il gioco funziona ancora. Questo, di certo, la dice lunga su quanto fosse futuribile quello che faceva già nel 2006, spianando la strada agli open world come oggi li conosciamo: chiudi il tutorial e poi sei libero di andare, ai tuoi ritmi e con i tuoi modi.
Tuttavia, il combat system a cui facevamo riferimento, essendo molto centrale nell'esperienza, è forse quello che soffre di più. Sia nelle meccaniche, obsolete, sia nel bilanciamento in generale, che avrà di certo bisogno di qualche ritocco.
Anche giocando a difficoltà standard e con solo le prime armi, si finisce per arare (perdonate il termine tecnico) un po' chiunque ci si faccia innanzi, e questo depotenzia sia la necessità di sviluppare il personaggio – tra abilità, classe e segno di nascita – sia quella di procurarsi un equipaggiamento migliore.
L'esperienza, proprio nel suo insieme, è quindi un po' ingessata e avrebbe beneficiato di qualche svecchiata aggiuntiva, senza snaturarla: dopotutto, Bethesda si è anche preoccupata di inglobare un miglioramento per la visuale in terza persona, importandolo a piene mani da quanto fatto in Starfield.
Il motivo è chiaro: molti dicono di non trovarsi bene a giocare con un titolo in soggettiva, e ora effettivamente Oblivion si può giocare anche in terza persona – cosa che, nell'originale, era impresentabile. Però si può giocare con gli stessi sistemi quadrati e sbilanciati di cui sopra, a prescindere da dove piazziate la telecamera.
Una nota di merito, in tutta questa conservazione non venduta esattamente al prezzo di un retrogioco, è che rimane invariata anche la splendida colonna sonora, composta da brani che possono davvero rimettervi in pace con il mondo – anche mentre il mondo sta per venire inghiottito dall'ennesimo cancello di Oblivion, sì.
Spigoli da smussare
Se hai dormito poco, applicare tanto correttore probabilmente non riuscirà davvero a nascondere in toto le tue occhiaie. Un discorso simile, come abbiamo capito, è valido anche per Oblivion Remastered: la nuova e bellissima veste grafica non nasconde non solo l'età del gioco, ma anche tutti gli spigoli tecnici che il viaggio in lungo e in largo per Cyrodill ha sempre avuto.
Alla primissima quest che ho tentato nella Città Imperiale (ossia, nella sola prima ora di gioco), ho dovuto ricaricare il salvataggio perché i personaggi sono rimasti bloccati a fissarsi e non andavano avanti. Entrando in una locanda, può capitare che tutti gli NPC camminino a casaccio non sapendo dove andare a sedersi, o che si mettano uno sopra l'altro.
I bug dei giochi Bethesda sono diventati a loro modo folkloristici e sappiate che qui non c'è stato (o, quantomeno, non si percepisce che ci sia stato) un lavoro di pulitura per arginarli: vale la formula che per uno che ne viene risolto, probabilmente in un mondo aperto con così tante possibilità se ne presentano altri venti.
Nonostante la loro presenza rompa un po' il coinvolgimento, nell'equilibrio globale delle cose non rovina tutt'oggi l'esperienza di gioco. Più che altro, quando non saprete come proseguire in una quest, sarà onnipresente nella vostra testa il dubbio «non è che si buggato qualcosa?» – una sensazione che i fan di The Elder Scrolls, Fallout e in parte Starfield conoscono bene.
Laddove invece il fianco viene prestato a più problemi è sul fronte tecnico. Abbiamo rivissuto Cyrodill su PC ed evidentemente Unreal Engine 5 è stato più difficile da gestire del previsto. Modificando le opzioni grafiche dalla schermata principale si riesce a ottenere un'esperienza abbastanza stabile – ma con ampie oscillazioni nel frame rate – mentre provando a modificarle in-game possono capitare crolli e uno stuttering che costringe anche al riavvio del gioco.
La sensazione è che manchi proprio uniformità e che l'andamento sia un po' aleatorio. Ho giocato in larga parte su un PC dal prezzo accessibile ma dignitosissimo (RTX 4060Ti da 16 GB, Ryzen 5 3600X, 32 GB di RAM, installazione su SSD) e sono passata da momenti in cui il gioco renderizzava benissimo a 1440p o perfino in 4K ad altri in cui si faticava a completare un combattimento con un topo perché il tutto si riduceva a una specie di gif animata.
Un peccato essere arrivati al debutto tirandosi dietro tutti questi problemi: si è trattato di uno shadow drop e Bethesda poteva scegliere a suo piacimento una finestra di lancio più permissiva, per ripulire un po' di più l'esperienza. Anche perché parliamo di una bene infiocchettata svecchiata tecnica, e se è proprio la componente tecnica a rischiare di claudicare si genera un non-senso.
Inoltre, ora come ora l'utilizzo dei salvataggi in cloud su Steam è afflitto da un problema ammesso da Bethesda stessa, che sta lavorando per risolverlo – e per cui Oblivion punta alla cartella sbagliata per cercare nel cloud i file che magari avete creato su un'altra piattaforma PC. Un vero peccato, considerando che molti (tra cui chi vi scrive) magari giocano sia su desktop che su PC handheld, e qui non possono portare l'avventura da una piattaforma all'altra.
A proposito di handheld, il gioco è ingiustificatamente Verificato per Steam Deck (dove risulta giocabile, ma con grandi compromessi), mentre se la cava un po' meglio su piattaforme più potenti, come ROG Ally X o MSI Claw 8.
Rimangono su tutte quelle testate (compresa l'edizione PS5, quindi purtroppo non è prerogativa del mondo PC) anche delle problematiche che mandano il gioco in crash e costringono saltuariamente a riavviarlo. Ma in un certo senso, forse, anche questo ormai fa parte del pedigree dei giochi Bethesda...
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