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capace di appassionare una grande schiera di pubblico, nonostante fosse stato prodotto con appena 25 milioni di dollari. Il cavallo di battaglia della pellicola fu anche la campagna marketing virale che spinse l’acceleratore su alcuni temi specifici, in primis il mistero che si celava dietro l’arrivo delle temibile minaccia che rappresenta poi la vera protagonista del film. Tra i produttori di
Cloverfield compare anche
J.J Abrams
, nome assai conosciuto dagli spettatori e per questo indice, in qualche modo, di “risultato assicurato”. La pellicola dedicata alla spaventosa bestia che invade e distrugge New York è un successo: i 170 milioni di dollari incassati s’affiancano ai favori di critica e platea ed è cosi che gli autori decidono di creare un nuovo franchise, un universo narrativo distante da quelli classici che conosciamo bene (Star Wars, Marvel ecc) e composto invece da una serie di storie antologiche ambientate nello stesso mondo, utili a risolvere pezzo dopo pezzo l’intricato puzzle. L’idea è originale, la mitologia di
Cloverfield è appassionante e tutto procede a gonfie vele. Tutto tace fino al al 2016, quando venne annunciato
10 Cloverfield Lane, “secondo capitolo” della saga iniziata nel 2008. Si tratta di un thriller claustrofobico dai risvolti molto particolari. Il progetto di Dan Trachtenberg ha un grande pregio: concentrarsi sulla psicologia dei personaggi per poi sviluppare il contorno. Siamo chiusi in un bunker nel bel mezzo di quella che -pare- un’epidemia che ha decimato la razza umana, quello che succederà sarà un crescendo di tensione e rivelazioni, che legheranno in qualche modo 10 Lane al franchise di
Cloverfield. Siamo di fronte a un’operazione completamente nuova, storie autoconclusive dal mood sempre diverso legate però da un filo che, per quanto debole o comunque “appiccicato”, trasmettono un senso di continuità intrigante. Ieri è arrivato
The Cloverfield Paradox, la terza storia che avrebbe dovuto fornire qualche spiegazione più precisa e regalarci un’esperienza di qualità, tanto quanto i suoi predecessori. Questa volta, però. qualcosa è andato storto.
Annunciato nel corso del Super Bowl e reso disponibile pochi secondi dopo, The Cloverfield Paradox racconta l’avventura dell’equipaggio di una stazione spaziale intenta a trovare una soluzione per risolvere il problema energetico che affligge la terra, ormai sull’orlo di una furiosa guerra. Per trovare dunque una fonte di energia inesauribile, gli scienziati dovranno effettuare degli esperimenti molto rischiosi con un acceleratore di particelle in grado, potenzialmente, di donare al mondo la soluzione per la salvezza dell’umanità. Il film, inizialmente conosciuto con il nome di God Particle, è appunto il terzo capitolo del franchise di Cloverfield e dopo una serie di problematiche legate alla difficoltà nel trovare un distributore, approda su Netflix in modo roboante, assicurandosi così un eco mediatico da non sottovalutare.
Dopo il found footage e il thriller claustrofobico, Cloverfield passa allo sci-fi puro: siamo nello spazio (ma anche sulla terra, in parte minore) e la struttura di Paradox pesca a piene mani da pellicole quali Life, Interstellar e tante alte produzioni fantascientifiche più o meno recenti. Il risultato creato da Julius Onah, regista nigeriano praticamente agli esordi per questo tipo di cinema, crea un quadro privo di originalità e, al contrario, si avvale di tanti espedienti già visti e rivisti, dimenticandosi di dare una vera alla anima alla sua opera. I personaggi sono poco approfonditi, il gancio emotivo sul quale dovrebbe reggersi tutta la vicenda pecca di forza e trasporto e, più in generale, la struttura narrativa proposta dalla sceneggiatura non è mai incisiva, infarcita invece di tanti momenti privi di una spiegazione logica. Il tempo, bisogna dirlo, scorre bene e il film è guardabile, ma manca un elemento distintivo in grado di alzare la qualità del prodotto.
I collegamenti con il resto del franchise trovano sfogo in modo concreto solo nel finale, lasciando anche qui molti dubbi su quanto in realtà Paradox sia stato concepito sin dall’inizio come un nuovo arto cinematografico di Cloverfield. Il vero problema però è che il film ha troppe pecche e momenti scritti in modo eccessivamente mediocre e impossibili da non notare. Se da un lato quindi la storia scorre veloce, dall’altro la stessa storia manca di mordente, qualità e originalità. Il quadro dipinto da Paradox è dunque solo tratteggiato e ispirato a cose più grandi di lui. La mancanza di coraggio, personalità e cura dei dettagli plasmano il peggior capitolo della saga Cloverfield, che si dimentica completamente i motivi che l’hanno reso grande provando in qualche modo a giocare sul sicuro. Questa volta l’obbiettivo è stato mancato.
Lo guarderete senza difficoltà, ma ve ne dimenticherete molto in fretta
La sequenza finale ha il suo perché
Trama banale
Setting visto e rivisto
I legami con gli altri Cloverfield sono molto ambigui e un po’ forzati
Personaggi anonimi
The Cloverfield Paradox, prima ancora dei problemi di continuità, deve fare i conti con la qualità scadente di un film che sembra già vecchio. Mai originale, mai incisivo, mai appassionante; l’entusiasmo si esaurisce nei primi 15 minuti e, nonostante la pellicola si lasci guardare, finisce per annoiare, salvo i cinque secondi finali che appiccicano forzatamente Paradox agli altri Cloverfield, lasciando però tanto amaro in bocca per l’occasione sprecata.