Shadow of the Colossus, recensione del remake di un classico intramontabile
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a cura di Domenico Musicò
Deputy Editor
“Le opere di Fumito Ueda sono una preziosa rarità, destinate a essere sempre meno presenti nel mercato moderno: fiabe incantate, cristallizzate nel tempo, che mai invecchiano e che si rivolgono in special modo a quel gruppo di accoliti dalla grande sensibilità che è disposto ad accettare dei compromessi, pur di accogliere a braccia aperte i lavori di un autore unico e inimitabile“, dissi quando dovetti confrontarmi con la sua ultima opera, di certo la più controversa. Shadow of The Colossus è invece il suo lavoro più audace e rappresentativo, l’incarnazione di una visione onirica dai toni epici, dal carattere unico e inimitabile. È un classico senza tempo che oggi, a distanza di dodici anni e di due generazioni di console, beneficia di un remake capace di rendere ancor più fulgida e indimenticabile quella storia d’amore maledetta e carica di misticismo che ha segnato la storia del medium.
L’ombra dei Colossi
Quando il giovane Wander intraprende un lungo viaggio fino a sconfinare nelle Terre Proibite, in sella al proprio cavallo Agro porta con sé la salma della sua giovane amata, sacrificata e spirata anzitempo per via del suo destino maledetto. In quel luogo dove nessun uomo dovrebbe mai giungere, l’anima di un defunto può rientrare nel corpo che ha abbandonato, ma l’impresa richiesta affinché ciò avvenga va ben oltre le possibilità umane; eppure, la forza dell’amore e della disperazione spingono Wander a tentarla: dopo l’intercessione di una misteriosa divinità chiamata Dormin, al giovane avventuriero viene chiesto di sconfiggere i sedici mastodontici colossi che abitano le Terre Proibite. Solo dopo aver soddisfatto questa richiesta, Wander potrà esaudire il proprio desiderio, consapevole del fatto che il prezzo da pagare sarà altissimo.
Non ci sono altri dettagli narrativi che vi accompagneranno lungo questo incredibile e magnetico percorso di ricerca accidentato, né troverete risposte alle tante domande che vi baleneranno in mente: come tutte le opere di Ueda, molto dovrà essere interpretato, ma al di là delle più ovvie cripticità, quella di Shadow of the Colossus rimane una storia semplice, essenziale e asciutta. Una storia di portentoso coraggio, d’amore incondizionato e di sacrificio.
Si tratta di un’avventura senza eguali, che vi lascia liberi di viaggiare tra le lande sconfinate di un luogo abbandonato dagli uomini, attraversando una lussureggiante foresta immersa nella penombra degli arbusti, fiancheggiando i monti che digradano scoscesi fino a un enorme lago da cui si ergono antichi ruderi, cavalcando sulle sabbie di aree desertiche e in quei terreni brulli dove l’impeto della terra fa eruttare poderosi geyser. Ed è sollevando la spada verso il cielo che Wander individuerà la posizione dei colossi, caratterizzati in maniera sublime e in grado di offrire sempre numerose variazioni di gioco nonostante lo scopo sia sempre il medesimo: inerpicarsi sui loro corpi, fronteggiare la loro furia e colpirli lì dove dei tatuaggi luminosi indicano i loro punti deboli. Shadow of the Colossus è la parabola eroica di un giovane uomo che non ha paura di affrontare il proprio destino per tentare di cambiare quello della persona amata, un continuato atto di cieca spavalderia che è al contempo totale abnegazione e rinuncia di sé, la rappresentazione poetica e decadente di una mancata rassegnazione che dura il tempo necessario per lasciare un segno indelebile nella memoria di chi quella storia l’ha vissuta insieme a Wander.
Arrampicarsi sulle incarnazioni delle statue che sostano silenti all’interno del sacrario maledetto, mentre le magistrali note della colonna sonora sembrano convincere Wander a tentare la titanica impresa, fa ancora vibrare l’anima di autentiche emozioni. Le composizioni di Kô Ôtani sono tra le più belle ed evocative mai ascoltate nella storia dei videogiochi, con temi solenni ed eroici come le indimenticabili The Opened Way, Counterattack o A Violent Encounter; ed altri ora dall’aria misteriosa, ora dolci e soavi, capaci di fare sfoggio di una verve artistica di rara sensibilità.
Ueda’s Legacy
Dopo una remastered arrivata su PS3 assieme a ICO, Sony imbocca la strada del remake, affidato ai texani Bluepoint Games, già al lavoro su altre simili operazioni dell’azienda giapponese. Ci si potrebbe dunque chiedere se ci fosse la reale necessità di riproporre Shadow of the Colossus con una veste grafica rinnovata, se questa potesse davvero essere un valore aggiunto o meno.
Chi non ha mai avuto l’occasione di abbandonarsi in quel mondo mistico e misterioso, lottando strenuamente contro i sedici colossali nemici per ribellarsi a un destino infausto, troverà la migliore versione di un capolavoro assoluto e imprescindibile; chi invece già all’epoca decise di fare questa tappa obbligata, riscoprirà un mondo di gioco senza più zone grigie, senza più quei limiti tecnici che impedivano in parte al titolo di mostrare il suo magnifico corpo sotto la giusta luce.
Lì dove i terreni erano aridi e poco definiti ci sono adesso le screpolature di una terra invecchiata e tramortita dal tempo, al piatto manto verde e senza vita si è sostituita una distesa erbosa folta e sempre sferzata dal vento, l’orizzonte offuscato e poco definito ha lasciato spazio a panorami di una bellezza unica, e finalmente viene resa più solida quella visione che Ueda ha avuto sin dall’inizio.
Non si pensi che sia solo un lavoro dedicato ai ritocchi grafici, perché Bluepoint ha di fatto riacceso quella fiamma che il tempo stava facendo affievolire, rendendo giustizia all’opera e trattandola col massimo rispetto. Basti pensare ai miglioramenti dei controlli, all’hud ridisegnato e a una serie di evidenti migliorie che fanno brillare di una nuova luce il gioco. Si potrebbe muovere qualche appunto al volto di Wander che pare stolido e di porcellana, e alla sua pelle che solo lievemente accusa i segni del male oscuro che lo divora boss dopo boss; o ancora, dei fenomeni di pop-up che si presentano quando al galoppo si attraversano ponti di pietra e sterminate vallate, ma sono in fin dei conti delle quisquilie che non intaccano significativamente la bellezza di quest’ottimo remake.
Abbiamo provato il gioco soprattutto su PS4 standard, ma chi avesse in casa una PS4 Pro potrà beneficiare della modalità Performance che assicura il frame rate a 60 o della modalità Cinema, che esalta la qualità dell’immagine. E chi non possiede una TV 4K e sceglie quest’ultima soluzione avrà una risoluzione nativa a 1080p generata da un render a 1440p, avendo come risultato un’immagine più nitida e con meno aliasing.
+ Colonna sonora di una sensibilità e bellezza fuori parametro
+ Le migliorie e la nuova veste grafica danno pienezza agli ambienti e li rendono ancor più evocativi
- Qualche fenomeno di pop up
9.5
Come è ormai consuetudine nei giochi moderni, una volta terminato Shadow of the Colossus avrete accesso al new game plus e a delle prove a tempo a difficoltà standard e difficile, ma anche alla modalità “Mondo Speculare”, curiosa ma non poi così rilevante. Ciò che vi rimarrà scolpito nella memoria, però, è uno dei più bei videogiochi mai realizzati, e indiscutibilmente l’opera migliore e più ambiziosa di Fumito Ueda. Questo remake coi fiocchi ne enfatizza ogni aspetto e non fa altro che rinverdire i fasti di un tempo.
Voto Recensione di Shadow of the Colossus, recensione del remake di un classico intramontabile - Recensione
Voto Finale
Il Verdetto di SpazioGames
Pro
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Uno dei più originali e riusciti concept di gioco, ancora oggi incredibile
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Colonna sonora di una sensibilità e bellezza fuori parametro
-
Le migliorie e la nuova veste grafica danno pienezza agli ambienti e li rendono ancor più evocativi
Contro
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Il restyle grafico di Wander non convince appieno
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Qualche fenomeno di pop up
Commento
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